I produttori di carne americani, dopo quelli francesi, dichiarano una guerra semantica alla finta carne vegana, sperando che il divieto di indicarla come carne possa scoraggiare i consumatori e riportarli alla bistecca. Nel mese di aprile del 2018 la Francia ha vietato le denominazioni come hambuger di soia, sulla scorta di quanto l’Unione Europea aveva deciso in merito alle bevande vegetali qualche mese prima. Ora ci provano gli allevatori e i produttori americani, interpellando direttamente la Fda, che deve ancora pronunciarsi. Il Missouri è stato il primo stato a introdurre una norma specifica, mentre altri 24 stanno cercando di arrivare allo stesso risultato o ci sono già riusciti, in mezzo a macchinose cause legali. Secondo alcuni ricercatori esperti di orientamento dei consumatori, probabilmente si tratta di una battaglia del tutto inutile.
Lo ricorda il sito The Conversation, che fa il punto in un articolo firmato da due docenti di economia agricola, Trey Malone e Brandon McFadden, dell’Università del Michigan. Nella nota si dice che diversi studi sulla reazione dei clienti, evidenziano come piccole variazioni di etichettatura non hanno grandi effetti.
Se si osserva quanto avvenuto con gli Ogm, si nota che i consumatori preferiscono sapere cosa stanno comprando, e per questo amano le etichette chiare e complete. I ricercatori sono partiti da qui, per capire se un cambiamento nell’etichettatura della finta carne vegana potesse avere conseguenze. L’indagine è stata condotta con i colleghi della Cornell University di New York su 1.500 famiglie (disponibile online in quanto tesi di uno dei loro studenti) ma non è ancora pubblicata come studio scientifico. Il primo obiettivo era verificare la comprensione delle diciture alternative alla parola carne. Per questo sono state mostrate a metà del campione le etichette valide oggi, con la parola carne, e all’altra metà etichette in cui la parola era sostituita il vocabolo proteine.
Le risposte hanno indicato che i consumatori non capiscono del tutto il significato nutrizionale di quanto stanno comprando, tendono a sovrastimare le qualità nutrizionali di tutto ciò che arriva dalle piante. Al tempo stesso, sottovalutano l’apporto di calorie, soprattutto per quanto riguarda i prodotti vegani. Infatti, per le alternative vegetali in media le calorie stimate sono state inferiori del 51% a quelle reali, mentre per la carne vera solo del 24-34%. Il dato conferma la buona fama dei finti hamburger e il fatto che sono più calorici di quanto si pensi. Inoltre è emersa la confusione che regna sui prodotti vegetali: il 30% degli intervistati pensava vi fosse dentro anche carne. Una confusione generalizzata, a prescindere dalla dicitura presente sull’etichetta, carne o proteine.
Per verificare l’impatto del packaging su vari tipi di carne vera e vegetale, compresa quella coltivata (non ancora in commercio), Malone e McFadden hanno compiuto una serie di test. Il risultato è che eliminare la parola carne dalle confezioni di prodotti alternativi non ha alcun effetto sulla scelta di chi preferisce la carne vera. L’unico effetto visibile è che quando le alternative alla carne sono segnalate come tali, aumentano i consumatori disposti a rinunciare ad acquistare qualsiasi prodotto, animale o vegetale. Non sembra quindi una buona idea puntare tutto sulla dicitura carne. La battaglia sembra più che altro motivata dal desiderio di frenare la crescita delle aziende che la producono, più che da benefici dimostrati per i consumatori. Il che appare abbastanza autolesionista, visto che i grandi produttori di carne e in generale le grandi aziende di alimenti si stanno buttando sul mercato dei succedanei. Kellog’s, Kroger, Nestlè, Conagri, Tyson Foods ne stanno sviluppando di propri, o hanno stretto accordi con aziende specializzate per commercializzarne i prodotti.
Secondo gli autori, più che giocare sui termini si potrebbe introdurre l’obbligo di tenere le alternative vegetali separate dalla carne, per esempio in banconi appositi, o trovare altri metodi per evitare la confusione delle due tipologie di merci. Ma, soprattutto, bisognerebbe investire per educare i consumatori e dissipare la confusione che sembra regnare a prescindere dalle diciture.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Giornalista scientifica
In effetti sono appena tornato dalla Food Proteins Conference di Copenhagen, dove ho proprio sostenuto tale punto. Secondo me anche il plant-based food dovrebbe muoversi oltre questa sterile polemica. Se interessa, commento all’evento: https://youtu.be/53DeqTDL0ds
Basta inserire un” reparto vegano “.
Il consumatore non deve essere tratto in inganno, se non c’è carne nella LISTA INGREDIENTI le parole CARNE BISTECCA HAMburger e similari in etichetta non devono comparire, fine.
Tutte le altre considerazioni lasciano il tempo che trovano, indicare in etichetta un ingrediente che non c’è è truffa.
Mauro
ma cosa dice? la gente non è stupida basta leggere e basta. come per le bevande vegetali, la sola differenza tra soia mandorla riso e latte vaccino, per cui se scrivi latte vegetale o bevanda vegetale per me è uguale perchè guardo la parola vegetale non la parola latte.
Mauro lei ha assolutamente ragione e il commento di Carola lo dimostra, il consumatore crede di non essere manipolabile al punto di neppure rendersi conto delle trappole che crea l’advertising ed è pronto a caderci dentro a occhi chiusi.
Se mai deciderà di lanciare una petizione che protegga i consumatori ingenui da sè stessi vietando l’uso di definizioni truffaldine in etichetta quali carne, ham, prosciutto e simili in prodotti che non le contangono nell’elenco ingredienti sarò il primo firmatario.
Mario
Mi domando come si possa essere ingenui come la signora Carola al punto di credere di non essere influenzati dalle false scritte messe in bella evidenza apposta per ingannare il consumatore, se sto cercando degli hamburger VERI con dentro VERA CARNE devo trovarlo SCRITTO chiaramente PRIMA DI TUTTO sull’etichetta del prodotto, e non dovermi andare a cercare in un elenco PICCOLISSIMO SUL RETRO del pacchetto tra venti ingredienti di tutti i tipi se veramente c’è la carne o mi stanno truffando!
Via assolutamente dall’etichetta TUTTI GLI INGREDIENTI BASE CHE NON CI SONO! BASTA TRUFFE!
Rita
E il salame di cioccolato? Aboliamo pure quello?!?
Scherzi a parte, c’è scritto in etichetta “Hamburger di soia” o “Bistecca di seitan”, non ci vedo nulla di male, nessuna truffa.
E poi di solito quei prodotti stanno nel reparto di “alimenti vegetariani” e non certo nel reparto carni…
Forse ai produttori di carne dà fastidio che esistano delle alternative vegetariane agli hamburger, ai ragù, alle bistecche.
Sicuramente questi prodotti non nascono per “ingannare” e “truffare” i mangiatori di carne!
Divertente vedere i vegani in incognito che si affannano a dire che mettere “carne” in bella vista dove di carne non ce n’è è lecito e va benissimo… peccato che si tradiscano clamorosamente chiamando le persone normali “mangiatori di carne”. 😀 😀 😀
Se ne facciano una ragione, alle persone normali della loro moda non importa nulla e non vogliono essere tratte in inganno da false diciture come “bistecca”
Si vadano a leggere sul Treccani la definizione di “bistecca”: – Larga fetta di carne di manzo (o anche, per estens., di bovino giovane, o d’altro animale grosso, nei quali casi si precisa: una b. di vitello, di maiale, di cavallo)…
Quindi chiamare qualcosa “bistecca vegetale” se non è una truffa (ma la è…) è quanto meno un ossimoro.
Mi associo a quello che proponeva una petizione per dare una sveglia al Governo perché vieti una volta per tutte questa pubblicità falsa e ingannevole che spaccia il piombo per oro, e nella lista degli ingredienti di oro non c’è traccia, come di medicinali nei prodotti omeopatici!
Giorgio
Ritengo veramente preoccupante pensare che il consumetore medio sia così imbranato da portarsi a casa un “hamburger di soia” convinto che si tratti di macinato di manzo…
Quindi le indicazioni accessorie della confezione (ingredienti, valori nutrizionali, scadenza ecc.) non servono a nulla?
Se un prodotto a base di seitan è a forma di cotoletta, come dovrebbe essere denominato? “Prodotto a base di seitan a forma di cotoletta”? Solo “cotoletta di seitan”, per abbreviare, è ingannevole?!?
Mah…
E i Baci Perugina? Non sono baci, sono cioccolatini…
E le Macine del Mulino Bianco? Non sono macine, sono biscotti…
E le lingue di gatto? Nono sono lingue di gatto, sono dei dolci…
Devo continuare?