Tre petti di pollo crudi con sale, pepe, rosmarino e limone su sfondo scuro; concept: carne cruda

La lotta alla resistenza agli antibiotici è considerata una delle grandi priorità mediche, perché l’insensibilità ai farmaci da parte dei batteri continua a crescere, e le infezioni resistenti provocano ogni anno milioni di morti. Inoltre, mentre nuovi antibiotici stentano a raggiungere il mercato, quelli già presenti continuano a essere utilizzati troppo spesso non correttamente e, in questo modo, a perdere efficacia. 

Tra le fonti di diffusione meno prese in considerazione, ma più potenti per ampiezza di soggetti coinvolti, c’è il consumo di carne, sia da parte degli esseri umani che dei loro animali domestici, in primo luogo i cani. Con una differenza: le persone, quasi sempre, cuociono la carne, neutralizzando così la stragrande maggioranza dei batteri presenti e, con essi, la potenziale resistenza. Al contrario, quando si tratta di preparare il cibo per gli animali di casa, le stesse persone non di rado optano per la carne cruda, probabilmente ignorando che questo amplifica molto il rischio di diffondere i batteri resistenti, e anche quello di ammalarsi a causa di qualcuno di essi, rimasto per esempio sugli utensili da cucina.

Per inquadrare meglio il fenomeno, un gruppo di ricercatori dell’Università di Bristol, nel Regno Unito, ha analizzato una trentina di campioni di carne cruda, metà dei quali destinati al consumo umano dopo la cottura, metà a quello di cani, e ha poi presentato i dati al recente congresso della Società Europea di Microbiologia e Malattie Infettive svoltosi a Barcellona.

I dati dei campioni di carne cruda

Il risultato è stato peggiore delle previsioni, perché la resistenza agli antibiotici, compresi quelli di ultima generazione, è presente in moltissimi casi.  In totale, i ricercatori hanno analizzato 58 campioni di carne cruda per consumo umano previa cottura –15 di manzo, pollo e agnello, e 13 di maiale – e 15 di carne cruda per cani a base di pollo per la presenza di ceppi di Escherichia coli resistenti agli antibiotici più utilizzati. Nello specifico, hanno trovato che, nella carne di pollo per l’alimentazione umana, il 100% conteneva ceppi resistenti a spectinomicina e streptomicina e il 47% era resistente ai fluorochinoloni. Per agnello, maiale e manzo le percentuali di resistenza sono state pari al 27, al 38 e al 27% per la spectinomicina, rispettivamente, 40, 38 e 47% per la streptomicina, e 7, 8 e 13% per i fluorochinoloni.

Pollo porzionato su un tagliere; concept: carne di pollo
Trovata E. coli resistente a spectinomicina e streptomicina nel 100% dei campioni di carne cruda di pollo per l’alimentazione umana

Non è andata meglio nella carne per cani, da consumare cruda: l’87% di quella di pollo è risultata positiva a spectinomicina e streptomicina, il 47% ai fluorochinoloni. E, dato anche più preoccupante, quasi un campione su tre (27%) era resistente al cefotaxima, un antibiotico riservato alle infezioni più ostiche. Peraltro, gli stessi ricercatori avevano già dimostrato la presenza di ceppi resistenti nelle feci dei cani, e trovato che essa era strettamente dipendente dal tipo di cibo che i loro proprietari avevano dato loro.

I consigli

In generale, hanno sottolineato gli autori, non bisognerebbe dare carne cruda ai cani, perché i batteri resistenti, a cominciare dall’Escherichia coli, possono provocare infezioni urinarie e del tratto gastrointestinale anche molto gravi, cui i proprietari, per primi, sono esposti, e contribuire a diffondere questi ceppi. Se si vuole comunque dare carne cruda, è indispensabile essere estremamente scrupolosi nell’igiene delle mani e di tutto ciò che entra in contatto con essa, nonché nella raccolta delle feci, che possono essere contaminate.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock

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