Per l’Italia il clamore suscitato in Gran Bretagna e Irlanda dalla scoperta, in molti prodotti industriali surgelati e non, targati Findus ma anche Tesco, Lidl, Iceland e Aldi, della presenza di carne di cavallo al posto di quella di manzo, può sembrare esagerato. In realtà la vicenda potrebbe avere ripercussioni che vanno al di là dello scandalo nato in un paese dove i cavalli sono amati quanto i cani e i gatti, e dove nessuno o quasi si sogna di mangiarne le carni. Perché quanto si è scoperto mina alla base la fiducia dei cittadini europei nel sistema di controllo e nella tracciabilità di alimenti che oggi fanno sovente viaggi lunghissimi prima di giungere sulle nostre tavole.
Ecco i fatti. Circa un mese fa, quasi contemporaneamente in Gran Bretagna e Irlanda vengono ritirate alcune partite di hamburger di manzo surgelati per la presenza, in alcuni campioni, di carne di cavallo. Da quel momento le segnalazioni e i sequestri hanno coinvolto anche la Francia e altri Paesi. Le grandi catene di supermercati segnalano la presenza di carne di cavallo, confermata dal DNA specifico, in preparati a base di manzo, in percentuali che vanno dal 60 al 100% dei campioni analizzati.
Tra gli alimenti contraffatti si trova di tutto: hamburger, lasagne, spaghetti alla bolognese e varie pietanze contenenti carne macinata. Mentre il primo ministro britannico David Cameron parla di intrigo internazionale e di scoperta sconvolgente, le indagini portano direttamente in Francia, all’azienda Comigel. A questo punto il governo francese ricostruisce il tortuoso percorso della carne venduta al di là della Manica. La Comigel dichiara infatti di aver comprato la carne da un’altra azienda franco-lussemburghese, la Poujol, che avrebbe a sua volta acquistato carne surgelata da un commerciante cipriota il quale, avrebbe subappaltato l’ordine a un’azienda olandese rifornita da un macello romeno. Le autorità romene hanno identificano due possibili macelli responsabili della fornitura e ritengono che uno dei due abbia dato sufficienti garanzie, a differenza del secondo che al momento è sotto indagine.
Nel frattempo, l’EFSA fa scattare i controlli e chiede a tutti i produttori di alimenti contenenti carne di manzo macinate di fornire gli esami necessari entro il 15 febbraio, mentre l’Agenzia britannica per la sicurezza alimentare denuncia di aver rinvenuto in qualche campione, in quantità molto basse un farmaco vietato, il fenilbutazone. In tutta Europa scatta l’allarme, e si moltiplicano le segnalazioni di ritiri di prodotti sospetti anche in Francia e in Svezia.
In Italia, per ora, non sembra siano state trovate partite contraffatte. Proprio oggi la società che detiene il marchio Findus in Italia, la Compagnia Surgelati Italiani, ha comprato alcuni spazi pubblicitari sui quotidiani ( vedi foto a sinistra) per spiegare di non essere in alcun modo coinvolta, di non vendere alcun prodotto confezionato con le carni provenienti dai fornitori coinvolti e di essere l’unica azienda autorizzata a commercializzare Findus, potendo quindi garantire la qualità e l’aderenza rispetto a quanto indicato in etichetta.
La carne di cavallo, di per sé, non comporta rischi diversi da quelli associati a qualunque altro tipo di carne e in Italia è più apprezzata che in altri paesi. Ma tutta questa vicenda, oltre all’enorme danno di immagine per Findus e per alcune catene alimentari, pone pesanti interrogativi sulla tracciabilità degli alimenti. È vero che i controlli sulla carne macinata e più in generale su tutti quegli alimenti che sono composti da più ingredienti di provenienza varia, sono molto complicati e se le triangolazioni commerciali sono numerose si può risalire all’origine solo attraverso una complessa documentazione cartacea. Da un altro punto di vista, questa vicenda dimostra che i controlli ci sono, che l’Europa interviene anche se qualcosa ancora sfugge, ma i consumatori europei possono stare relativamente tranquilli.
Agnese Codignola
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E’ vergognoso che non ci debbano essere delle regole fisse e soprattutto le certificazioni adeguate per chi acquista la carne a quei livelli.
Io dico quello che succede da noi: tutta la carne che acquistiamo deve avere tassativamente la tracciabilità di legge (cioè il certificato di nascita delle bestie unitamente a dove vengono macellate, corredato di confezionamento e scadenza).
L’etichetta di tracciabilità (bella grande e chiara) deve essere conservata e attaccata sulle confezioni che possiamo creare mettendo sottovuoto i pezzi che ricaviamo dal pezzo grande.
Insomma, a controlli dell’ASL dobbiamo mostrare tutte le etichette di rintracciabilità per ogni singolo pezzo di carne che abbiamo in casa (per non parlare poi del pesce, addirittura le etichette sulle reticelle delle cozze vanno conservate di legge per 60 gg – e consumiamo circa 2-3 kg di cozze al giorno, noi che ne usiamo poche).
PERCHE’ NON E’ COSI ANCHE PER LE MULTINAZIONALI?
E’ vero peraltro che in Italia la legislatura concernente la somministrazione di alimenti e bevande (e ovviamente la manipolazione) è molto rigida (forse la più rigida d’Europa) ma, trattandosi di alimenti, non si può scherzare.
Dire che la carne di cavallo “non comporta rischi diversi da quelli associati a qualunque altro tipo di carne”, non è del tutto corretto. In effetti questo tipo di carne soffre di alcuni problemi specifici, per esempio una certa facilità all’accumulo di metalli pesanti, l’infestazione da Trichinella spp. (e provenendo, nel caso in esame, da paesi dell’est europa la questione va considerata, sebbene il congelamento offra una buona garanzia), e la questione dei trattamenti farmacologici. Infatti il cavallo è l’unico animale che beneficia di un doppio sistema per l’utilizzo di sostanze farmacologiche a seconda che sia o meno destinato al consumo umano. Nel caso in esame, essendo fraudolento l’uso di questa carne non essendo dichiarata in etichetta, è lecito sospettare e verificare se la carne proviene da animali non destinati al consumo umano e che quindi potrebbero essere stati sottoposti a trattamenti con medicinali potenzialmente dannosi per l’uomo…