Lo scandalo della “carne fraca” brasiliana continua a destare preoccupazioni nei consumatori europei e italiani che, allarmati dalle notizie provenienti dal Sud America, temono di trovare nel piatto tagli di carne adulterata, mascherata da additivi. L’Italia è infatti un grande importatore di carni bovine dal Brasile, secondo l’Istat si tratta di 27 mila tonnellate nel 2016. Non ne fanno mistero le aziende del Consorzio di tutela della Bresaola della Valtellina Igp che, spinte dall’impossibilità del nostro paese di soddisfare le esigenze di qualità e quantità di materia prima, importano la quasi totalità della carne bovina dall’estero, Francia e Brasile in testa.
Dal paese sudamericano arriva prevalentemente carne di zebù (Bos taurus indicus), da cui discende anche la razza Piemontese (utilizzata nella produzione di bresaola) che viene poi lavorata e trasformata in Bresaola IGP. Il rapporto tra la bresaola valtellinese e il Brasile è così stretto che la società Rigamonti è controllata da JBS, azienda brasiliana il cui nome spunta tra le carte dell’inchiesta come una delle principali protagoniste dello scandalo.
Le rassicurazione del Consorzio della Bresaola della Valtellina IGP
“Non esiste un problema di sicurezza per la Bresaola della Valtellina IGP” rassicura il Consorzio, contattato da Il Fatto Alimentare. “Nessuno stabilimento dei nostri fornitori brasiliani è stato coinvolto dai blocchi alla produzione messi in atto dalle Autorità”, che hanno imposto uno stop alle attività di esportazione a 21 impianti. Il blocco. E anche il blocco totale a tre stabilimenti riguarda impianti che non lavorano carne bovina. L’attenzione è comunque alta e le aziende assicurano di aver intensificato i controlli sulle carni provenienti dal Brasile.
Ma è possibile che della carne adulterata sia finita nel processo produttivo della Bresaola della Valtellina? Secondo il Consorzio “è impossibile che tagli non idonei vengano lavorati e messi in commercio”, grazie a numerosi controlli sanitari ed esami di laboratorio, eseguiti lungo tutta la filiera dalle aziende e dalle autorità italiane e comunitarie. Inoltre, per assicurare il rispetto del disciplinare di produzione Igp, a vigilare sull’operato delle aziende sul territorio italiano, ci pensa un ente terzo di controllo (CSQA Certificazioni).
In seguito allo stop alle importazioni dagli stabilimenti coinvolti dall’inchiesta annunciato dall’Unione Europea, non si prevedono ripercussioni per la produzione della Bresaola Igp della Valtellina, per ora. Tuttavia, se le dimensioni dello scandalo dovessero ingigantirsi e l’Europa imponesse un blocco totale all’import di carne dal Brasile, secondo il Consorzio è certo che molte aziende italiane ed europee si troverebbero in gravi difficoltà.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Scusate la mia ignoranza:leggendo l etichetta IGP credevo si trattasse di un salume esclusivamente prodotto con bovini della Valtellina e lavorato in regione. Ne resto delusa e a questo punto il prezzo maggiorato rispettp ad altre bresaole non ha senso….
IGP (a differenza di DOP) presuppone che la tipicità di un prodotto derivi da una delle fasi di produzione e che sia appunto questa fase a dover essere strettamente eseguita nel territorio previsto dal disciplinare. Evindentemente l’origine della materia prima utilizzata, ai fini della tipicità della bresaola non è rilevante. E’ stato invece probabilmente considerato come tipicità il metodo di produzione.
Poi considerando quanto è grande la Valtellina e quanto è grande il volume di vendita del prodotto è evidente che i bovini non possano essere tutti valtellinesi…
“spinte dall’impossibilità del nostro paese di soddisfare le esigenze di qualità e quantità di materia prima” può essere vero per la quantità, ma che non ci facciano passare che la scelta dell’importazione sia dovuta ad una maggiore qualità (?) e non al minor prezzo. Comunque esistono molte piccole aziende locali, qui in Valtellina, che, pur non avendo l’IGP, producono bresaola da bestiame allevato in Italia, spesso con meno conservanti e a prezzi minori dei tanto decantati prodotti IGP, che, almeno secondo la mia opinione, hanno in genere un prezzo eccessivo per il prodotto offerto.
Credo che gli appezzamenti di terra di cui possono godere alcuni stati Nord Americani e Sudamericani siano ben difficilmente paragonabili ai nostri territori ristretti; trovo assolutamente verosimile che questo comporti effetti in positivo anche dal punto di vista qualitativo sui bovini utilizzati per la bresaola…
Mi creda, se lei avesse mai assaggiato della bresaola artigianale e non industriale la sua opinione sulla qualità del prodotto finito sarebbe diversa.
Le varie denominazioni esistenti non sono assolutamente indice di alta qualità dei prodotti. Come per il prosciutto di Parma anche la bresaola della valtellina, la materia prima arriva dall’estero perchè le carni sono meno pregiate e costano meno. in italia ormai non si produce quasi più niente, per colpa di una scellerata politica agricola comunitaria che costringe gli allevatori nostrani a chiudere le stalle a causa degli alti costi di produzione e gravosi adempimenti burocratici.Negli ultimi venti anni il patrimonio zootecnico così come altri importanti comparti agricoli si sono dimezzati per volere di varie lobby che hanno industrializzato e mortificato la vera essenza dell’agricoltura italiana.
Valentina, potrei rispondere lo stesso per la “bresaola artigianale” realizzata con carni bovine sudamericane…
Si tratta di confrontare prodotti con pari processo altrimenti il paragone non regge