spesa supermercato 176855416Si tratta di fattispecie di reato che sono state costruite dal legislatore come reati di pericolo. A differenza dei reati di danno che si configurano quando l’offesa si sostanzia nella effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice, nei reati di pericolo l’offesa è rappresentata dalla probabilità del danno. Dal punto di vista politico – criminale, tale ultima categoria di reati implica un’anticipazione della tutela, dato che si protegge un determinato bene giuridico per il sol fatto di essere stato messo in una situazione di potenziale pericolo. Per l’integrazione delle fattispecie criminose sopra citate non è necessario il “dolo”, ossia la coscienza e volontà della condotta, ma è sufficiente la “colpa” derivante dall’omissione dei doverosi accertamenti di conformità che avrebbero evitato il fenomeno vietato. Escluse le prescrizioni contenute nella lett. a), che sono di natura prettamente commerciale, in quanto si riferiscono esclusivamente alle caratteristiche che il prodotto deve contenere al momento della sua immissione in commercio, nelle altre ipotesi, non vengono punite solamente la produzione e la commercializzazione, ma anche la detenzione del prodotto, non solo nel luogo di vendita, ma anche al di fuori dell’esercizio commerciale come nel caso in cui, per esempio, la merce si trovi ancora in magazzino. Il reato si fonda sulla relazione di fatto tra soggetto e prodotto[4], relazione che non postula necessariamente una vendita, ma anche una semplice cessione a titolo gratuito.

Per la contestazione dell’art. 5 lett. b) sotto il profilo della condotta dell’autore «non occorre né la cessione, né la somministrazione né la produzione di un danno per la salute pubblica», ma è sufficiente la semplice detenzione di sostanze alimentari che per il luogo, per le condizioni ambientali, per il sistema di conservazione, per i recipienti, contenitori ecc., sono conservate in modo inidoneo a scongiurare il pericolo di una alterazione o insudiciamento del prodotto; e sotto il profilo del bene oggetto del reato, per la configurabilità dell’illecito non è richiesto che le sostanze alimentari siano variamente alterate o depauperate (situazioni sanzionate da altri precetti contenuti nell’art. 5 della legge in esame), ma è sufficiente che siano destinate o avviate al consumo in condizioni che ne mettano in pericolo l’igiene e la commestibilità.

 

La Corte di Cassazione, Sez. III penale, con sentenza n.11996 del 25 marzo 2011, ha stabilito che ai fini della configurabilità del reato di detenzione o vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione (art. 5, lett. b L.283/1962) non è necessario accertare la sussistenza di un concreto danno per la salute o un concreto deterioramento del prodotto. Trattandosi, infatti, di un reato di pericolo, è sufficiente che le modalità di conservazione possano determinare il pericolo di tale danno o di deterioramento. La Suprema Corte ha, pertanto, incluso tale fattispecie di reato nella categoria dei reati di pericolo e non di danno, a volere intendere che risulta preminente la tutela del consumatore rispetto anche al mero pericolo di una cattiva conservazione di sostanze alimentari che ne alteri o deteriori le proprietà organolettiche, a prescindere dal concreto ed effettivo verificarsi dell’evento. Pertanto, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 5 lett. b) legge 283/62, la vendita o detenzione per la vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario accertare la sussistenza di un concreto danno per la salute o un concreto deterioramento del prodotto, poiché, trattandosi di un reato di pericolo, è sufficiente che le modalità di conservazione possano cagionare il pericolo di un tale danno. Art. 5 lett. c). La disposizione che vieta la produzione e commercializzazione di alimenti con cariche microbiche nei limiti superiori a quelli prescritti, ha potuto trovare applicazione dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 327/80 che costituisce il “Regolamento di Esecuzione” della Legge 283/62.

 

pesca barcaLo stesso Decreto, determina la fissazione dei limiti; tuttavia anche le “Ordinanze Ministeriali” possono fissare limiti relativi alle cariche microbiche; ciò è avvenuto per esempio con l’Ordinanza Ministeriale dell’11 Ottobre 1978 in tema di latte, prodotti d’uovo, gelati e loro preparati. Trattasi di fonti tassative che non possono essere allargate oltre i casi previsti, pena la violazione del principio di “stretta legalità” di cui all’articolo 25 Cost. che non può in alcun modo essere trascurato avuto riguardo della natura della Legge 283/62 che prende in considerazione la salute quale bene tutelato dalla Costituzione stessa. In ogni caso, qualora non esista un’ordinanza specifica per un determinato genere, o comunque non vengano superati i limiti dalla stessa fissati, è possibile l’applicazione dell’articolo 444 del Codice Penale, tenuto conto che indipendentemente dalla carica microbica riscontrata, in un determinato prodotto, può comunque essere presente una determinata “patogenicità” .

Quanto alla fattispecie criminosa di cui alla lettera d), la giurisprudenza ha osservato che essa non riguarda solamente i prodotti destinati immediatamente alla vendita, ma anche le materie suscettibili di trasformazione in vivande, purchè presentino corpi estranei che ne alterino la purezza e l’igienicità. La locuzione legislativa “o comunque nocive per la salute pubblica” costituisce un’ipotesi autonoma di reato, qualora nella sostanza alimentare possano essere riscontati difetti che prescindono dal superamento delle cariche microbiche.

 

Tuttavia, si impone una riflessione sulla portata dell’espressione “o comunque nocive” prevista della lettera d) dell’articolo 5 della legge 283/62. Invero, la portata di tale espressione dovrebbe assumere rilevanza penale solo se e in quanto connotate dalla “nocività” della sostanza alimentare («insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione»), ovvero dalla sua sicura attitudine ad arrecare danno alla salute del consumatore, mentre nella quotidiana applicazione della disposizione si dà spesso per scontato che ogni forma di “insudiciamento” equivalga alla “nocività” dell’alimento. Relativamente alla “nocività potenziale” è necessario rilevare che la recente giurisprudenza ha mutato in parte la propria interpretazione richiedendo che nel caso concreto sussista effettivamente una situazione di pericolo che permetta l’applicazione della norma[5], ovvero non basterebbe più l’enunciazione di principio di violazione della norma, ma il perché averla violata nella circostanza concreta abbia determina un pericolo!

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Costante Pinelli
Costante Pinelli
14 Marzo 2014 10:45

Finalmente una trattazione completa, serena, onesta e coerente di un tema a me caro (come a tutti gli OSA) che periodicamente ripropongo da oltre 10 anni nelle sedi più disparate, compreso IL FATTO ALIMENTARE : l’ASSOLUTA NECESSITA’ dell’adeguamento dell’OBSOLETO articolo 5 della legge 283 ,tramite sua riscrittura nell’ambito di un TESTO UNICO, ai principi e dettami della MODERNA legislazione CE.
Ora si acceleri “a tutti i livelli ed in tutte le sedi, e con tutti gli strumenti utili” per convincere i(finora riluttanti) ministeri competenti, ascoltando finalmente i suggerimenti di chi opera giornalmente con tante difficoltà sul campo , affinché IN UN TEMPO DEFINITO venga steso ed approvato un TESTO LEGISLATIVO SEMPLICE E CHIARO che ridefinisca in chiave europea tutta la materia e fornisca sicurezza interpretativa al diritto alimentare