Il 6 aprile nel Regno Unito è entrata in vigore la nuova normativa sui menu: tutti gli esercizi commerciali (ristoranti, bar, takeaway) dovranno segnalare il contenuto calorico dei piatti su tabelloni e listini, compresi quella online. La regola si applica solo alle aziende che hanno 250 dipendenti o più, con l’eccezione delle Ong, degli ospedali e dei piatti temporaneamente presenti in menu (special, piatti del giorno, ecc.).
Il Regno Unito ha un grave problema di sovrappeso e obesità: il 68% degli uomini e il 60% delle donne ricade in una delle due categorie, così come il 40% dei bambini di età compresa tra i 10 e gli 11 anni (quota che solo un anno fa era del 35,2%). Inoltre, un quarto delle calorie è ormai assunto fuori casa, fatto che amplifica il peso dei pasti al ristorante. L’iniziativa è stata dunque accolta molto favorevolmente, perché è urgente agire, e farlo in modo il più possibile efficace.
Ma non tutti sono d’accordo, anzi: secondo alcuni esperti si tratta di un provvedimento a dir poco timido, e destinato ad avere uno scarso successo, soprattutto se isolato. Sostengono questa posizione anche alcuni esperti delle Università di Cambridge, Oxford e Warwick, che hanno scritto un duro editoriale pubblicato sul British Medical Journal.
Come premettono gli autori, indicare le calorie può avere una qualche efficacia: una recente revisione sistematica degli studi condotti negli ultimi anni ha rivelato che la misura è associata a una diminuzione del 7,8% delle calorie acquistate dai clienti, e un’altra lo ha confermato, aggiungendo che spinge i produttori e i gestori a modificare le ricette in senso positivo. Lo stesso si è visto in indagini condotte negli Stati Uniti, dove l’indicazione calorica è obbligatoria dal 2018, e in Australia. Tuttavia sembra ormai chiaro che le strategie migliori siano quelle come la sugar tax (già presente nel Regno Unito), cioè quelle che interessano la popolazione generale e non solo chi mangia fuori casa.
L’indicazione delle calorie sui menu agisce o dovrebbe agire su due piani: quello individuale, invitando a riflettere di più sulle proprie scelte, e quello di chi prepara gli alimenti venduti. Secondo alcuni studi, però, ha effetti differenziati a seconda della tipologia di cliente, del suo livello di istruzione, della sua disponibilità economica: sarebbe infatti massimamente efficace tra le persone più istruite e benestanti, e molto meno tra le fasce di popolazione più colpite dall’obesità, quelle più povere. Inoltre comporterebbe un rischio per chi soffre di disturbi alimentari, perché potrebbe aumentare i comportamenti ossessivi, anche se è previsto che su richiesta esplicita dei clienti, i ristoratori forniscano anche menu senza calorie.
Tuttavia, limiti e rischi a parte, ciò che gli autori si chiedono è se non si sarebbe potuto fare di più e meglio, mettendo indicazioni nutrizionali più complete sui menu. Per quanto riguarda i prodotti confezionati, politiche di questo tipo sono state introdotte in diversi paesi tra i quali Brasile, Cile e Messico, che obbligano a inserire una ‘warning label’ in bianco e nero sugli alimenti ricchi in grassi, zucchero e sale. Altri paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Lussemburgo, Spagna e Svizzera hanno introdotto il Nutri-Score, l’etichetta in cinque colori che vanno dal verde al rosso a seconda delle caratteristiche nutrizionali positive e negative del prodotto. Altri, come lo stesso Regno Unito, hanno puntato su quelle a semaforo, con tre colori. In questi casi, molti studi hanno mostrato che tali norme sono associate a scelte alimentari più sane da parte dei consumatori.
Ma – scrivono – non sembra che la via imboccata dal Governo britannico per i menu possa fare altrettanto e invertire la corsa vertiginosa dell’obesità. Per questo, concludono, sarà assolutamente indispensabile verificarne gli esiti e renderli noti in report stilati regolarmente, dopo una valutazione scientifica indipendente, da sottoporre alle autorità sanitarie e politiche, eventualmente per modificare le decisioni prese.
La National Food Strategy comprende altre iniziative come il divieto di pubblicità rivolte ai bambini prima delle 21 in televisione e durante tutta la giornata online, insieme a quello di offerte al ribasso di junk food negli ipermercati. Le raccomandazioni includono anche una tassa per favorire la riformulazione di alimenti troppo ricchi di sale e zucchero, il cui introito dovrebbe essere utilizzato in parte per finanziare sussidi per l’acquisto di frutta e verdura. L’indicazione delle calorie sui menu deve necessariamente essere considerata come una piccola parte di una strategia che deve prevedere tutti gli strumenti ipotizzati, se vuole avere qualche chance di successo.
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Giornalista scientifica
Al ristorante ci vado 2/3 volte al mese, a casa mangio tutto il resto dei giorni.
Se vado al ristorante e guardo alle calorie che mangio, tanto vale stare a casa…
E’ nella vita di tutti i giorni che si deve seguire una dieta equilibrata; quando si esce è ovvio che si “sgarri”.
In effetti, però, un altro conto è chi per lavoro mangia prevalentemente fuori, forse in quel caso avrebbe senso.