clear Chicken broth in a pot and bowl

Il brodo di carne è una tradizione che per molti sta ormai scomparendo, e sopravvive a stento solo nel periodo delle feste natalizie. Giovanni Ballarini racconta le origini di un piatto antichissimo e spiega come realizzare un buon brodo con gli ingredienti oggi a nostra disposizione. Ecco l’articolo pubblicato in origine da Georgofili.info.

Pochi ricordano il proverbio “gallina vecchia fa buon brodo” e non ne conoscono i motivi, perché il brodo è oggi caduto in disuso ed è presente solo in alcuni piatti tradizionali delle feste di Natale e Capodanno che celebrano il solstizio invernale. Il brodo non è più di moda, anche se si vedono elementi di un risveglio, aiutato dai non disprezzabili brodi già pronti preparati dalle industrie. Tra i brodi delle feste un posto particolare hanno quelli di gallina e il brodo di terza preparati secondo le tradizioni custodite dalle donne che nel passato governavano e reggevano le corti dei contadi, e per questo dette reggitrici o resdore (regine della casa).

Quando Carlo Magno, il più grande proprietario terriero dell’Europa del suo tempo, manda i suoi compagni, o comites, a governare le contee al fine di sfruttare al meglio le risorse agricole e pastorali, tra il 770 e l’800 emana l’ordinanza detta Capitulare de villis vel curtis imperii, e accanto al palazzo con la sua corte e nel contado nascono le basse corti con i loro animali. Nel Capitulare o Decreto sulle ville è prescritto che nelle ville si allevino polli e oche, che nelle ville più grandi vi siano non meno di cento polli e non meno di trenta oche, e in quelle più piccole non meno di cinquanta polli e dodici oche. Fino alla prima metà del secolo scorso polli e galline, anatre e oche, galline faraone e conigli erano gli animali detti di bassa corte e dominio incontrastato della resdora, che li curava soprattutto durante la primavera e l’estate. Passato l’autunno, all’inizio dell’inverno i campi erano vuoti, il cibo iniziava a scarseggiare e bisognava sfoltire il pollaio, così le galline vecchie erano destinate a finire in pentola, assieme ai capponi, per i pranzi e le cene delle festività natalizie e d’anno nuovo.

Le galline di un tempo, che durante l’estate avevano deposto poche decine di uova, avevano carni solide, sviluppate nel continuo correre per l’aia e i campi, e le loro ossa, ben solide, erano molto aromatiche, e lo stesso era per i capponi. Nutrite delle erbe aromatiche spontanee dei terreni incolti, il grasso di queste galline e dei capponi era giallo e profumato e quando messo in pentola produceva un brodo saporito e ricco di ‘occhi’ (le goccioline di grasso che si formano in superficie) con un profumo e un gusto inimitabili.

brodo
Le galline di un tempo erano più adatte alla preparazione del brodo, rispetto a quelle di oggi

Oggi, la gran parte delle galline sono destinate alla produzione delle uova, sono mantenute in gabbia o a terra in recinti, e non hanno mai visto e tanto meno mangiato le erbe dei campi, ma solo mangimi esattamente bilanciati, privi di ogni sapore. Galline anagraficamente giovani che dopo una grande deposizione di uova hanno una muscolatura minima e flaccida, con ossa osteoporotiche e carni bianche che si disfano al primo bollore della pentola, con poco grasso bianco e insipido, per cui gallina vecchia non fa buon brodo. Galline vecchie per un buon brodo non sono però scomparse del tutto e resistono negli allevamenti rustici, anche biologici, dove vivono libere allo stato brado.

Attualmente, meglio di un brodo di sola gallina è il brodo di carni miste e soprattutto il “brodo di terza” ottenuto da tre tipi di carne, inventato dalle resdore di un tempo. Per avere un brodo con un buon equilibrio di aromi, sapori, colore, quantità di grasso in tre pentole si preparano tre brodi: uno con carne di manzo o vacca ed almeno un osso spugnoso, il secondo con una gallina o parti di galline di una certa età, il terzo secondo la tradizione di territori padani nei quali vi è una cultura del maiale con uno speciale insaccato di carne suina denominato salame da brodo. I tre brodi sono poi mescolati con saggezza e soprattutto con gusto in proporzioni che variano di volta in volta. In linea di massima vale la regola di cinque parti di brodo bovino, quattro parti di brodo di gallina, una parte di brodo di suino.

Se la regola dei tre brodi è abbastanza facile, non altrettanto è come condurre la cottura e anche qui vale il detto che non è possibile “avere la botte piena e la moglie ubriaca”. Per ottenere un buon brodo ma un bollito di scarsa qualità, la carne va messa in acqua fredda e senza sale che va aggiunto quando la pentola sarà arrivata a bollore. Man mano che la temperatura dell’acqua sale le diverse carni cedono all’acqua i loro principi nutritivi ed aromatici, una parte di questi coagulano e formano schiuma da eliminare accuratamente con una ramina finemente bucherellata.

Esiste una cucina del brodo, come esiste una cucina del vino o della birra. La cucina del brodo è importante, e forse ce ne siamo dimenticati, ma senza di esso addio a tutte le paste ripiene da brodo (anolini, cappelletti, tortellini e via dicendo) e altri piatti solo apparentemente poveri come la zuppa pavese (brodo, pane, uovo). Tra tutti i brodi vi è anche quello artificiale. Passi ancora, ma con molta moderazione, quello preparato con il vero estratto di carne ma il liquido preparato con polveri o dadi, a base di sale aromi e composti chimici ad iniziare dal glutammato monosodico… non merita neppure lontanamente la qualifica di brodo. Sarebbe come confondere il vino con la Coca-Cola.

Giovanni Ballarini – Georgofili.info

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Mauro
Mauro
7 Marzo 2020 11:43

La tradizione che vuole che il buon brodo e il buon lesso siano incpompatibili è già stata sfatata da tempo, in quanto per il rilascio degli aromi e quant’altro è del tutto indifferente che si parta mettendo la carne in acqua fredda oppure a bollore, quello che caratterizza la bontà del brodo (e del lesso) sono la scelta delle carni e la scelta degli aromi e delle verdure che le accompagnano, e i corretti tempi di cottura che devono essere abbastanza lunghi da sciogliere il tessuto connettivo ma non tanto da far diventare stopposa la carne (senza più alcun vantaggio per il brodo).

Quanto alla gallina “muscolosa” se allevata negli allevamenti BIO purtroppo è un’altra urban legend, in quanto nella stragrande maggioranza gli allevamenti biologici non le lasciano libere in permanenza nei campi ma le allevano a terra in spazi abbastanza ampi ma limitatissimi rispetto al totale, quelle che si vedono nelle pubblicità di solito zampettano nei campi nel giorno della visita annuale di controllo dello IFOAM con preavviso obbligatorio di 15 giorni.

E i contadini no, non mangiavano le galline “a fine stagione”, i polli da carne erano i maschi (galli e capponi) perché la vita produttiva di una gallina dura più anni e finiva in pentola solo al cessare della capacità di deposizione; un vecchio proverbio piemontese recita “se il contadino mangia la galllina, o è ammalato il contadino o è ammalata la gallina”: dove per “ammalata” si intende che ormai non fa più uova…

Mauro