Il focolaio di botulino scoppiato a Diamante in provincia di Cosenza in seguito al consumo di panini consumati preso un camioncino di street food posteggiato sul lungomare, ha colpito fino a ora 17 persone e portato al ritiro dal mercato di 4 lotti di prodotti. Oltre al decesso di due adulti avvenuto nei giorni scorsi, adesso in ospedale ci sono cinque pazienti in terapia intensiva, tre in pediatria e sette nei reparti. L’ultima persona ricoverata ieri è un ragazzo di 17 anni. In tanti si chiedono come sia potuto accadere e se si poteva evitare. La questione del botulino è complessa e non esistono sistemi per rilevarne la presenza perché la presenza non comporta variazioni di sapore e odore salvo poi essere una delle pochissime malattie trasmesse dagli alimenti che può portare al decesso. Procediamo con ordine.
Il challenge test
Il segreto del botulino si chiama “challenge test”. Una parola difficile che indica le prove di laboratorio cui sottoporre un alimento per valutare se, dopo il trattamento a caldo o a freddo realizzato dal produttore, l’alimento, inoculato con spore di Clostridium botulinum, permette loro di germinare e produrre la tossina con un effetto potenzialmente letale per l’uomo. Basta una quantità minima di tossina ingerita (0,001 mg) per causare una grave malattia o la morte.

Pochi centri di analisi
In Italia esiste un Centro Nazionale di riferimento per il botulismo, presso l’Istituto Superiore di Sanità, che rappresenta un centro di eccellenza nell’ambito scientifico e per i servizi diagnostici in materia di botulismo alimentare. Per quanto riguarda invece i challenge test, si tratta di analisi di laboratorio richieste dalle aziende per verificare la sicurezza dei loro prodotti. In Italia questo tipo di test è svolto da 3 laboratori. La prova è costosa (8-10 mila euro o anche più) e complessa perché bisogna inoculare un numero di ceppi (circa 50 rappresentativo dei ceppi potenzialmente coinvolti nei casi di botulismo (*).
Solo alla fine dei test si valuta se le condizioni di trattamento seguite nel processo di produzione sono in grado di evitare che i ceppi inoculati artificialmente nell’alimento possano sviluppare e produrre tossina. In base ai risultati si può definire il termine minimo di conservazione, insieme alle condizioni di conservazione, prima e dopo l’apertura della confezione.

Standard di sicurezza
“Considerando il numero di richieste annuali a noi pervenute – precisa Antonello Paparella ordinario di microbiologia degli alimenti nel Dipartimento di Bioscienze e Tecnologie Agroalimentari e Ambientali di Teramo e grande esperto di botulino – si può desumere che siano ancora poche le conserve industriali sottoposte a challenge test. Stiamo parlando di conserve vegetali non acide come melanzane, funghi, olive, lupini, friarielli, creme vegetali, ma anche piatti pronti refrigerati, tutti prodotti in grado di consentire la germinazione delle spore botuliniche eventualmente presenti dopo il trattamento termico e in grado di produrre la tossina”.
“Gli standard di sicurezza – prosegue Paparella – vengono fissati dalle imprese in base ai dati della letteratura scientifica, che tuttavia sono limitati e non possono coprire l’ampia gamma di condizioni riscontrate nei prodotti in commercio. Si tratta di una situazione che lascia spazio a incertezze perché, soprattutto nei prodotti non acidi e poco salati, è difficile stabilire a priori le condizioni di sicurezza, senza eseguire un challenge test. Il Clostridium botulinum si trova facilmente su numerosi ingredienti alimentari, come i vegetali crudi, e le prove per confermare gli standard di sicurezza dopo il lavaggio, il taglio e il processo di lavorazione industriale sono necessarie”.

Facciamo un esempio per capire meglio. Il challenge test permette di stabilire se il vasetto di melanzane da 1 kg, dopo la vendita va conservato a una temperatura massima di 8-12°C per evitare sorprese e se è opportuno indicarlo sull’etichetta. Lo stesso dicasi sulle modalità di conservazione dopo l’apertura, solitamente in frigorifero, e sui tempi massimi di utilizzo (cioè la cosiddetta shelf life secondaria, per esempio 4-5 giorni).
Il vasetto di melanzane
Un altro esempio. Il nostro vasetto di melanzane una volta aperto, potrebbe avere qualche spora di botulino rimasta dopo il trattamento termico. La cosa non è tranquillizzante, ma non rappresenta un pericolo, se le melanzane sono state scottate in acqua e aceto prima dell’invasettamento e se il contenitore è stato conservato al fresco e, dopo l’apertura, tenuto in frigorifero. Se però il trattamento con aceto non è stato effettuato bene e il vaso viene tenuto in condizioni di temperatura e umidità elevata per giorni, le spore possono germinare e produrre la tossina micidiale in grado di portare la persona in ospedale (vedi tabella). Se le condizioni di lavorazione sono lacunose, come abbiamo visto sopra, e la conservazione dopo l’apertura del vasetto è scorretta, si può creare un’altra situazione pericolosa durante il travaso delle melanzane sott’olio da un contenitore grande a uno piccolo. In questo caso si possono formare delle microzone di anaerobiosi dovute al compattamento delle melanzane, e le spore possono germinare e produrre la tossina. È un evento da considerare, perché la tossina del botulino agisce anche in concentrazione pari a un milardesimo di grammo.
La conservazione dopo l’apertura
Facile capire perché il problema della conservazione anche dopo la vendita diventa importante. Si tratta di particolari che possono essere accertati solo attraverso un challenge test, in grado di fornire informazioni per l’eventuale aggiustamento della ricetta, per esempio aggiungendo del sale o disidratando meglio le verdure in modo da raggiungere un buon livello di sicurezza.
“C’è un altro elemento da valutare – prosegue Paparella – se le melanzane contaminate da spore e/o tossina botulinica sono travasate in un contenitore da esporre in vetrina, oppure con lo stesso cucchiaio si sistemano le olive e i funghetti sott’olio, le spore e le tossine possono essere trasferite da un alimento all’altro. Questo fenomeno, detto contaminazione crociata, è particolarmente insidioso perché moltiplica la possibilità che la tossina possa essere ingerita da un consumatore”.

È questa un’ipotesi che stanno seguendo le autorità inquirenti nei casi di botulismo a Diamante, in provincia di Cosenza. Da questo punto di vista, i gestori dei truck e dei camioncini da street food, come pure le persone che operano nei bar o in cucina, quando maneggiano conserve vegetali non acide (melanzane, funghi, olive, fagiolini, lupini, friarielli …), dovrebbero avere una formazione specifica che a volte manca.
La zuppa di Eurospin
Il tema è complesso anche per gli addetti ai lavori. Basta ricordare l’episodio di poco più di un anno fa, quando Eurospin ha ritirato dal mercato una zuppa pronta per sospetta presenza di botulino. Da un punto di vista scientifico, non esistevano regole sul tipo di trattamento termico cui sottoporre la zuppa per eliminare il rischio botulino e sulle indicazioni da riportare sull’etichetta (per il consumatore era consigliato un blando riscaldamento). Dopo l’episodio di botulismo, il Ministero della salute ha obbligato le imprese a indicare in etichetta di “far bollire il prodotto per almeno 5 minuti”. Questo trattamento è risolutivo, ma snatura in parte la caratteristica delle zuppe fresche senza additivi, che non risultano più un piatto pronto per il consumo. Inoltre, attualmente non ci sono dati scientifici per definire con precisione quanti minuti occorrono per il riscaldamento a microonde e a quale potenza.
Nuove regole per le zuppe
Le regole sono cambiate ieri 12 agosto, con l’uscita di una direttiva del Ministero della salute in cui si precisa che le zuppe e le vellutate di verdura refrigerate devono essere consumate esclusivamente dopo adeguata bollitura. Almeno 3 minuti per zuppe a base di legumi, cereali e verdure, mentre basta solo 1 minuto per le vellutate, mescolando il prodotto durante il riscaldamento.
Il ministero nella direttiva ricorda che i vasetti di conserve vegetali (acide e non acide) e le marmellate non vanno consumate quando i contenitori risultano rigonfi, oppure presentano effervescenze o odori anomali dopo l’apertura. Chi vuole conservare le rimanenze in frigorifero deve assolutamente rispettare le temperature indicate sulle etichette e consumare il contenuto il prima possibile, preferibilmente entro una settimana. Il ministero dimentica una cosa importante, che il 30% dei frigoriferi degli italiani ha all’interno una temperatura media di 7,4°C e la gente non lo sa. Infine, il Ministero della Salute raccomanda di non assaggiare gli alimenti sospetti e di segnalare tempestivamente il caso all’Asl competente per territorio.
La soluzione
“La soluzione che adottano le aziende per garantire la sicurezza di una conserva vegetale non acida preparata senza aggiungere additivi e non vogliono ricorrere al challenge test – conclude Paparella – consiste nello sterilizzare le confezioni a 121°C per almeno 3 minuti o acidificare in modo da portare il pH sotto 4,6. Tuttavia, questi trattamenti determinano un significativo danno merceologico alla maggior parte delle conserve vegetali, pregiudicandone l’accettabilità da parte degli acquirenti”. In conclusione, alle persone che chiedono quali sono gli strumenti per riconoscere una vasetto di carciofini o funghetti contaminato, va detto chiaramente che non esistono metodi perché il botulino agisce in silenzio senza lasciare traccia.
Quando c’è il rigonfiamento
Se, però, una conserva vegetale presenta un rigonfiamento, oppure, una volta aperta, ha un colore o un sapore anomalo o mostra segni di muffa, è buona regola non consumarla. Tutto ciò, però, nulla ha a che vedere con il botulino, che purtroppo agisce in silenzio e senza lasciare traccia.
(*) Clostridium botulinum e altre specie batteriche che producono la tossina, proteolitici e non proteolitici, capaci di sviluppare a temperatura di refrigerazione o a temperature superiori a 10 gradi.


Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Sarebbe interessante proporre un articolo simile sull’argomento ove si parlasse del botulino nel miele non trattato termicamente.
Se non sbaglio è raccomandato non dare miele agli infanti in quanto in caso di presenza di botulino nel miele, le spore di questo potrebbero svilupparsi nell’intestino dell’infante producendo tossine.
L’intestino degli adulti invece non consentirebbe lo sviluppo del botulino permettendo così il consumo in sicurezza di miele non trattato.
Grazie
Abbiamo pubblicato articolo oggi sul miele e botulino dove troverà indicazioni al riguardo (https://ilfattoalimentare.it/botulino-seconda-vittima-in-sardegna-vademecum-delliss-su-rischi-e-alimenti-sicuri.html)
La spora botulinica è ubiquitaria; la sua presenza negli alimenti è variabile: poche spore per grammo. A 121 °C possiede un tempo di morte ovvero D tempo per ridurne il numero del 90% di 0.21 minuti; per garantire la sicurezza alimentare, tale tempo si applica 12 volte (12 riduzioni decimali); cioè 2.52 minuti che si arrotondano a 3. Supponiamo di avere confezioni, per es., di broccoli da 1kg e in ognuno c’è 1 sola spora, c’è la probabilità di riscontrare 1 spora viva ogni 1000 miliardi di confezioni! In pratica, se il trattamento termico è corretto, non riscontreremo mai un contenitore contaminato. Inoltre, i classici test microbiologici sulle conserve, non si applicano: come cercare un ago in un pagliaio. Le conserve con pH maggiore o uguale a 4.6, sono sottoposte, in genere, a trattamenti più severi poiché, oltre al Cl. b. patogeno, ci sono batteri più termoresistenti (non patogeni). La questione, risulterebbe interessante se conoscessimo i parametri del processo produttivo dei friarielli richiamati e se, le confezioni, sono state trattate a b.m. o in autoclave ed, infine, per tranquillizzare noi consumatori l’Effetto Sterilizzante ottenuto. Il fatto che le Autorità si siano concentrate su 2 soli lotti, fa supporre che la tecnologia di produzione è “sicura”; ergo, o il pH è minore di 4.6 o, l’azienda fa uso di autoclave (temperatura oltre 100 °C).
È un articolo molto istruttivo e, purtroppo, non può darci certezze. Molto validi i suggerimenti per la conservazione dei prodotti. Grazie!