Da alcuni anni sono sul mercato bottiglie in bioplastica compostabile (meglio conosciuto come pla o acido polilattico). Si tratta di un materiale in grado di sostituire il pet ricavato dal petrolio utilizzato in tutto il mondo per le bottiglie di acqua minerale, bibite e altri imballaggi per alimenti. La differenza sostanziale è che le bioplastiche sono ricavate dall’amido estratto dal mais (materiale utilizzato in Italia per i sacchetti dell’ortofrutta e conosciuto come Mater B), oppure da un’alga marina chiamata agar agar, o dalla canna da zucchero e adesso anche dal tubero della manioca, una pianta molto coltivata nelle aree tropicali e sub tropicali. Le bottiglie in bioplastica hanno il vantaggio di poter essere smaltite nel rifiuto umido od organico di casa, perché negli impianti di compostaggio dove la temperatura raggiunge i 60°C, degradano in 90-180 giorni trasformandosi in terriccio e sviluppano biogas da utilizzare per usi civili.
A questo punto il destino della plastica monouso sembrerebbe segnato, ma in realtà non è così. È vero che l’Ue ha decretato lo stop alla commercializzazione di bicchieri, piatti e posate monouso dal gennaio 2021, ma nulla è in programma per le bottiglie e gli altri contenitori che rappresentano la stragrande maggioranza degli imballaggi in pet. È vero che in Europa esiste l’obiettivo di riciclare il 50% della plastica entro il 2025 (adesso siamo al 41% circa), ma l’impatto ambientale complessivo valutando la produzione e il ciclo di vita risulta sempre elevato, visto che noi italiani consumiamo 11 miliardi di bottiglie l’anno solo per l’acqua minerale.
Bottiglie in bioplastica?
Allo stato attuale si potrebbe iniziare progressivamente la conversione delle bottiglie di minerale non gasata in pet con quelle in bioplastica. Non esistendo ancora una bioplastica per le bibite e la minerale con le bollicine si potrebbe convertire questa produzione utilizzando il vetro oppure le lattine di alluminio.
In Italia l’intenzione di modificare il processo produttivo rendendolo più “eco” esiste solo in forma embrionale. Attualmente le aziende imbottigliatrici, tranne sporadici casi, utilizzano per le bottiglie ancora il 100% di pet. Uno dei problemi che ostacola la conversione è il raddoppio del costo di produzione. Oggi una bottiglia di acqua minerale da 1,5 litri con il tappo in pet costa da 3 a 6 centesimi di euro, (costo variabile in funzione del peso e del volume), mentre per un contenitore in pla con il tappo compostabile l’importo lievita da 6 a 9 centesimi di euro (ai prezzi attuali).
Il problema del riciclo
L’altra grossa questione riguarda la filiera della raccolta della plastica, inadeguata a gestire le nuove bottiglie. Attualmente esistono solo una decina di impianti di recupero dislocati nel nord Italia in grado di distinguere i due tipi di contenitori. Questo vuol dire che in assenza di un coordinamento tra produttori e impianti di recupero e riciclo della plastica, la bottiglia di bioplastica finisce irrimediabilmente insieme alle altre, creando seri problemi alle caratteristiche tecniche del polimero di recupero Bisogna creare una filiera e approvare una modalità univoca di raccolta, che oggi non c’è perché ogni provincia/regione ha regole proprie. In altre parole inserendo bottiglie in pla nella raccolta della plastica oggi finirebbero tutte nel termovalorizzatore o in un inceneritore.
Un’altra questione delicata riguarda i tappi. Gli impianti di tappi in bioplastica sono progettati per produrre centinaia di milioni di pezzi, questo vuol dire che quando l’azienda decide di avviare la conversione al pla deve raggiungere almeno 1 miliardo di pezzi. L’ultimo ostacolo è che di recente l’Ue ha chiesto ai produttori di pla di definire i tempi di degradazione delle bottiglie in acqua di mare e la richiesta necessita di ulteriori analisi che sono ancora in corso.
Gli obiettivi di Coripet
I produttori di pet e le aziende che utilizzano le bottiglie non sono certo indifferenti al problema dell’invasione della plastica. Per cercare di dare una riposta hanno alleggerito il peso degli imballi e hanno costituito nel 2018 un consorzio per il recupero del pet (Coripet). Il consorzio si è posto come obiettivo il riciclo del 90% degli imballi di pet entro il 2030, considerando che adesso in Italia siamo a circa il 45%. Il progetto è interessante anche se non va nella direzione dell’impiego di bottiglie di bioplastica, che dovrebbe essere il vero obiettivo di un’economia circolare perché si usa materia prima vegetale che, una volta smaltita nei siti di compostaggio ritorna nell’ambiente.
Il caso delle bottiglie Sant’Anna Bio Bottle
In Italia un primo tentativo di sostituire la plastica pet delle bottiglie di acqua minerale è stato fatto dieci anni fa circa da l’azienda piemontese Fonti di Vinadio, con l’acqua Sant’Anna Bio bottle da 1,5 litri. Si tratta di una bottiglia ricavata da materia prima ottenuta dalla fermentazione degli zuccheri delle piante dal mais, prodotta dalla Natureworks (azienda Americana). Il sistema permette di risparmiare oltre il 50% di energie non rinnovabili ma, soprattutto, in ottica di una nuova filiera di recupero Bioplastiche permetterebbe di gettare la bottiglia compostabile e biodegradabile nel rifiuto umido di casa.
Nel caso specifico di Sant’Anna ci sarebbe anche il problema non ancora risolto riguarda il tappo e il collarino di polietilene che devono essere separati dalla bottiglie. Le vendite di Sant’Anna Bio bottle però non sono mai decollate, e la produzione di poche decine di milioni di pezzi rappresenta una quota ridicola rispetto a oltre un miliardo di contenitori usati dall’azienda. Al momento la Bio Bottle è presente solo in pochissime catene di supermercati nel formato 75 cc, e costa circa 0,45 €/l che è considerato un prezzo elevato.
Altre iniziative
Durante l’Expo 2015 Coca-Cola e Granarolo hanno presentato il prototipo di una bottiglia in plastica 100% vegetale da manioca compostabile in 84 giorni. A distanza di 4 anni Coca-Cola ha avviato in Italia la vendita delle bevande Adez, che contengono il 70% di plastica pet di origine fossile e 30% di bioplastica di origine vegetale (si tratta comunque di una bottiglia non compostabile). Una bottiglia molto differente rispetto al prototipo 100% vegetale, che non modifica la situazione. Anche il progetto di Granarolo la cui bottiglia di latte fresco trasparente era completamente compostabile. L’azienda però in assenza di una filiera di recupero in grado di gestire i nuovi contenitori, ha preferito abbandonare.
L’impatto ambientale delle bottiglie di plastica
Per rendersi conto dell’impatto ambientale, basta ricordare che ogni anno utilizziamo 11 miliardi di bottiglie di plastica per l’acqua minerale. A queste bisogna aggiungere 1 miliardo di bottiglie per le bibite, poi ci sono le altre bevande. Solo il 40-45% di questi contenitori viene riciclato, il resto finisce negli inceneritori o nelle discariche e anche nell’ambiente se non viene gestita correttamente la filiera.
Diverse iniziative sono in piedi per limitare questa invasione, ma siamo ancora lontanissimi dall’adozione di bottiglie compostabili e riciclabili, sia per motivi collegati alla filiera sia per la scarsa volontà delle aziende imbottigliatrici di rivoluzionare il sistema di produzione. Per ridurre la plastica basterebbe dimezzare gli inutili ed esagerati consumi di acqua minerale. Un’altra iniziativa utile per sollecitare il mercato potrebbe essere quella di obbligare le aziende a utilizzare progressivamente bioplastica per almeno la metà delle bottiglie, come è stato fatto per i sacchetti dell’ortofrutta un anno fa. Un altro elemento da valutare è quello di riattivare il vuoto a rendere per un importo minimo di 25 centesimi per ogni bottiglia di plastica, installando delle macchine compattatrici nei supermercati. Poi si potrebbero agevolare i consumatori desiderosi di fare le analisi dell’acqua di casa fornendo degli ecoincentivi.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
“L’azienda (Granarolo) però in assenza di una filiera di recupero in grado di gestire i nuovi contenitori, ha preferito abbandonare.”
Questa è la sintesi e focus del problema: prima si realizzano le infrastrutture di gestione, poi si trasforma una soluzione dannosa ed obsoleta in una sostenibile, iniziando le nuove produzioni ed eventualmente anche obbligando il mercato con norme specifiche.
E’ la medesima situazione dell’evoluzione dei mezzi di trasporto elettrici, che attendono un’adeguata rete di ricarica capillare e diffusa, prima di pensare alla conversione del parco viaggiante ed all’acquisto virtuoso di nuovi mezzi ecologici.
ma perchè non si mette una cauzione anche alle bottiglie di plastica? sarebbe un incentivo, secondo me
Nei paesi scandinavi e anche in Germania si paga la cauzione su bottiglie di plastica, vetro e lattine. Ogni supermercato ha una apparecchiatura nella quale inserire i vuoti e viene rilasciato uno scontrino da scalare dal conto alla cassa. Ci sono persone povere per le strade che raccolgono i vuoti e non si vede nessuna bottiglia o lattina abbandonata per strada!
Coca Cola ha presentato una bottiglia in PET 100 biobased ( non biodegradabile) che aveva sia il PTA ( acido tereftalico che pesa per il 70%) che il MEG ( mono ethilen glicole, che pesa per il 30% ) biobased. La novità sta nel PTA biobased e non nel MEG biobased già correntemente utilizzato da Levissima e Coca Cola stessa. Granarolo ha invece presentato una bottiglia in PLA ( compostabile) ottenuto dalla Cassava. Ricordo che la barriera alla CO2 del PLA non è quella del PET e quindi , nel PLA, dimentichiamoci dell’acqua gassata così come la intendiamo oggi.
L’articolo mi “sconvolge”. Mi spiego. Nel precedente articolo sul gradimento degli italiani verso l’acqua in bottiglia, non era indicato il costo dei due tipi di bottiglia. Che qui invece c’è. Poiché la differenza di costo al supermercato è circa tra 85 e 50 cent (l’acqua in PET può costare da 13 cent/lt fino a 40-50 cent), pensavo che quella differenza fosse il costo della bottiglia. Qui leggo che invece la differenza sarebbe ben più modesta: sto sul dato peggiore, diciamo pure 6 cent. E per questa differenza stiamo ancora usando il PET??? Ma siamo matti: che si obblighi all’uso del PLA, o analoghi!!!
Riguardo il problema della mancanza della catena del recupero, scusate ma io già nel piccolo giardino riuso quasi tutti gli scarti compostabili, non conferisco praticamente niente. Chi fa la differenziata, le butterebbe nel compostabile. E infine, quelle che per sbaglio o problemi vari finissero negli inceneritori, peccato, ma sarà sempre meno inquinante bruciare materia compostabile che PET, mi sbaglio?
Mettere qualche fischio nelle orecchie dei politici? Dovrebbe anche essere un periodo giusto, visto i disastri dell’inquinamento da microplastiche e simili.
ps – io comunque uso l’acqua dei fontanelli pubblici, però una volta al mese per ricambio bottiglie PET nuove le prendo
Vorrei aggiungere, riguardo i 2 suggerimenti di fine articolo. Secondo me, obbligare ad un uso di metà BIOPET nelle bottiglie, potrebbe avere un effetto contrario al voluto: il consumatore potrebbe avere una impressione di consumo “sostenibile” (cosa che comunque non è) e quindi essere indotto ad un uso ancora maggiore di imbottigliato, visto che diminuirebbe il suo “senso di colpa ambientale”. In effetti stamani sono stato al Super, ed ho notato alcune acque con delle scritte in tal senso, addirittura con placet del Ministero dell’ambiente. E se non sbaglio (non era facilissimo trovare e leggere le scritte piccole…) non si trattava nemmeno di BIOPET, ma solo di 50% di PET da riciclo di bottiglie usate… Quindi, in questo caso senza corretto smaltimento, non cambia granché…
Riguardo le macchine compattatrici, mah, forse per grandi strutture potrebbe essere anche possibile. Può darsi che catene tradizionalmente più attente, potrebbero fare da apripista pur considerando che comunque ogni impegno rappresenta un costo per il negozio. Resta lo stesso problema: non sarebbe una vera soluzione e toglierebbe qualche senso di colpa.
Nell’occasione della spesa, stamani ho cercato le Bio Bottle (sono da 1 litro. Ma come scrivevo sull’altro articolo, Sant’Anna si distingue molto nell’uso di normale PET da 500 ml, alla faccia dell’ecologia… Ed è un formato sempre più diffuso anche nelle altre marche) e le ho pagate 39 cent. Quindi circa 60 cent per 1,5 litri. Siamo decisamente sotto l’euro, diciamo che per una persona dotata, che ha auto da 40mila euro e più, non sarebbe un gran sacrificio (ma non è il mio caso…). Intanto per curiosità ne testerò la degradazione, tanto all’aria quanto nei vasi e nel terreno del giardino (tra l’altro, tagliando o triturando la bottiglia, il processo dovrebbe velocizzarsi).
Ora toccherebbe alla politica
I tempi di compostaggio indicati riguardano la bioplastica immessa negli impianti di compostaggio dove la temperatura raggiunge temperatura elevate rispetto a quelli dell’ambiente.
mancando una coscienza ambientale generale diffusa, è la politica che deve guidare ad un percorso meritorio e benefico per l’intera comunità. ma, apparentemente, in mezzo al polverone determinato dalle zuffe italiane e dalle aspirazioni elettorali europee, non sarà facile porre in buona luce e far considerare tali argomenti come seri e proccupanti nel breve periodo. per quel che mi riguarda, in casa compriamo quasi esclusivamente biobottle s.Anna da 1,5 litri, separando poi colletto e tappo dalla bottiglia per differenziare.
Io vorrei segnalare che anche noi siamo un po’ fighetti nelle nostre scelte, per esempio in Francia l’acqua al ristorante te la propongono quasi solo in caraffa.
Da noi si fa businnes anche con l’acqua del ristorante con il suo bel ricarico.
Le bottiglie da ristorante, seppur di vetro, sono tutte nuovissime e spesso cambiano il look estetico, la bottiglia di vetro non si lava piu, si ricicla come vetro.
Gli imballaggi compostabili sono un’opportunità, ma visto la gravità del problema ambientale occorre identificare delle priorità. Dal mio punto di vista gli imballaggi compostabili sono necessari e prioritari laddove l’imballaggio sporco di cibo, inibisce la riciclabilità. Esempio ormai iconico, sono le capsule da caffè, ma ci sono anche confezioni di pesto, glasse di aceto balsamico, cibi per il consumo on the go ecc. Non è sostenibile sprecare litri d’acqua per lavare degli imballi tanto sporchi.
Le bottiglie sono un problema perché troppe non arrivano al riciclo, ma la risposta non è nel materiale d’origine, ma nel favorire la loro raccolta. Né un esempio straordinario di successo il metodo tedesco che carica dei centesimi il costo della bottiglia come deposito e che incentiva tutti i consumatori a restituire la bottiglia per recuperare i soldi. Grazie per l’articolo.
Gli imballaggi che contengono alimenti, vanno svuotati dai resti eventualmente presenti, ma non lavati, al massimo sciacquati. I sistemi di riciclaggio prevedono anche dei passaggi in cui il materiale plastico viene lavato.
la mancanza di impianti e’ una scusa assurda. chi fa compostaggio butta gia differenziato e non avrebbe alcun problema con la bioplastica. magari le facessero . ci vogliono piu’ di 180 girni per farla decomporre? e allora che problema c’e’ . aspetto . io faccio compostaggio da 30 anni e nelle due campane che ho in giardino spetto , non vado neanche a girare. vedro’ il terriccio tra tre anni? meglio. sempre meglio vedere buttate per strada bottiglie che scompaiono in un anno piuttosto che bottiglie che scompaiono in 1000 anni.
In Autunno dell’anno 2000, ben prima del tentativo S. Anna, dopo il grande successo della nostra prima bottiglia in PET per latte pastorizzato, mettemmo a punto, con il primo polimero fornitoci da impianto pilota del Minnesota (USA), le condizioni di soffiaggio di una identica bottiglia in PLA. Nonostante le ottime performances in termini di soffiaggio, riempimento e cessioni chimiche ed organolettiche praticamente nulle, il prezzo del polimero, doppio rispetto al PET indusse il marketing a bloccare un progetto allora del tutto innovativo per il latte pastorizzato.
Fu valutata anche l’applicazione per prodotti non addizionati di CO2 a conservazione più lunga (es. UHT), ma con lo stesso risultato, ed anche con un limite dovuto ad una certa permeabilità all’acqua dai contenitori nel tempo di conservazione prolungato.
La testimonianza di Costante sulle esperienze già condotte in impianti di soffiaggio e riempimento progettati per il PET, che sono altrettanto validi anche per il PLA, ci convince che il problema è solo economico e non tecnico.
Penso sia maturo il momento che queste differenze di prezzo vengano compensate da una tassa adeguata da applicare a tutti i contenitori non compostabili o auto degradabili nell’organico, per arrivare al più presto ad una direttiva europea di divieto totale, come per altri oggetti monouso già vietati.