Non comprare i datteri e la frutta israeliana, per protestare contro il genocidio a Gaza e dimostrare l’indignazione per la scelta di Benjamin Netanyahu di affamare il popolo palestinese, ha un valore simbolico. Si tratta di una protesta economicamente irrilevante, se paragonata al valore dell’export agroalimentare italiano. Noi importiamo frutta fresca e secca (come datteri, avocado, agrumi e noci, spesso coltivati nei territori occupati) per circa 15 milioni di euro l’anno. Una cifra ridicola se confrontata alle esportazioni in ambito alimentare, che nel 2024 hanno raggiunto 440 milioni di euro. I consumatori israeliani apprezzano molto i nostri prodotti, e nel carrello della spesa compaiono regolarmente marchi delle nostre aziende. Qualche dato aiuta a capire.
I marchi italiani in Israele
Siamo il primo fornitore di pasta con circa il 45% delle importazioni e i nomi più presenti sono Barilla, De Cecco, Rummo, Del Verde… Ma il piatto forte sono dolci, biscotti e snack: fra le marche più diffuse spicca Ferrero con Nutella e Kinder, oltre a Loacker, Bauli, Galbusera, Balocco e Colussi. Questa categoria vale oltre 34 milioni di dollari l’anno di export. Nel settore dei pomodori troviamo: Mutti, Petti, Cirio e Pomì tanto che l’Italia copre oltre il 40% delle importazioni del settore. Oltre il 60% delle acque minerali bevute a Tel Aviv proviene dal nostro Paese: fra i marchi troviamo San Pellegrino, San Benedetto e Ferrarelle, accanto a bevande alcoliche firmate Campari e Aperol. I liquori italiani e i vini coprono oltre 40-50 milioni di euro.
Il commercio di caffè – con marchi come Illy, Lavazza e Segafredo, affiancati da torrefazioni medie come Caffè Mauro – vale oltre 30 milioni di dollari e costituisce circa un quarto di tutto il caffè importato. Allo stesso modo l’olio d’oliva italiano copre il 14% dell’import. Israele rappresenta quindi un mercato redditizio per molti comparti agroalimentari italiani e le nostre imprese beneficiano di questa domanda estera in continua crescita. Non a caso, il governo italiano ha mantenuto un approccio di collaborazione economica molto stretto anche dopo lo scoppio della guerra a Gaza.
Più efficace fermare l’export che boicottare l’import?
Alla luce di quanto emerso, il rifiuto da parte di alcuni consumatori italiani di acquistare prodotti made in Israel ha un impatto economico “marginale”. Una leva di pressione molto più incisiva sarebbe quella di interrompere (anche temporaneamente) l’export italiano da parte delle grandi aziende del food.

Proviamo a immaginare l’effetto di uno stop alle forniture di pasta, caffè, acque minerali, conserve e snack, liquori e vini italiani sugli scaffali israeliani. Si creerebbe un vuoto difficile da colmare nel breve periodo e invierebbe un segnale tangibile a tutti i cittadini. Uno scenario del genere richiede una forte volontà politica o aziendale. Ma è proprio qui la differenza sostanziale: un conto è non acquistare qualche cassa di datteri o avocado israeliani, un altro è bloccare container di prodotti made in Italy diretti a Tel Aviv.
Israele come la Russia
Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, molte aziende alimentari italiane hanno reagito sospendendo le esportazioni, ritirando i prodotti dai negozi russi, chiuso le sedi locali e interrotto collaborazioni decennali. È stato un gesto chiaro, pubblico, condiviso, dettato da un principio etico, oltre che da una necessità reputazionale.
Oggi, di fronte a una guerra che a Gaza ha provocato 55 mila di vittime civili e una strage quotidiana di bambini, oltre a una strategia militare che affama la popolazione, lo stesso mondo industriale resta in silenzio. Eppure, le condizioni per un’azione analoga ci sono. Israele non è un fornitore strategico per l’Italia, mentre dipende in misura significativa dal nostro export alimentare.
Di fronte alla scelta di Netanyahu di affamare i palestinesi, l’Italia può rispondere facendo mancare i prodotti che gli israeliani amano di più a tavola. Sospendere la vendita di pasta, dolci, conserve e bevande italiane in Israele sarebbe un gesto forte e concreto. Le aziende lo hanno già fatto con la Russia. Ripeterlo significherebbe dare coerenza a quei valori che, in altri scenari, sono stati rivendicati con orgoglio.
È un invito scomodo, ma coerente con i numeri e con la responsabilità che deriva dall’essere – nel bene e nel male – una potenza dell’agroalimentare nel mondo. In altre parole, per incidere davvero, dovremmo chiederci non quali prodotti stranieri smettere di comprare, ma quali prodotti nostri siamo disposti a non vendere.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Concordo pienamente!
Bisogna spingere sui rappresentanti politici nazionali (quelli non “allineati”, ovviamente) affinchè parta una campagna di informazione e anche di pressione (non ne saranno di certo contente…) sulle aziende alimentari nazionali.
Con il dovuto rispetto per le opinioni di tutti, penso che sospendere le esportazioni non sia una azione che possa mettere in difficoltà il paese colpito. Viviamo in un mondo globale ed i prodotti italiani possono essere sostituiti in qualsiasi momento. Questa azione farebbe danni unicamente all’Italia, alle aziende ed ai lavoratori italiani. L’unico mezzo è sospendere le importazioni.
Ma allora perché sono state applicate immediatamente alla Russia? Allora non sono stati fatti danni alle aziende e ai lavoratori italiani? Certo è una forma di pressione come un’altra che mi sembra efficace perché vuol dire che gli israeliani non troveranno più nei supermercati i loro prodotti preferiti e si faranno qualche domanda in più sul genocidio in corso.
SI, in alcuni casi sono stati fatti danni alle aziende che lavoravano con le Russia, in altri casi il prodotto è arrivato lo stesso per altri canali. Il mio dubbio è sulla efficacia di queste azioni. Davvero il consumatore russo si pone il problema sull’operato del proprio paese o pensa semplicemente che chi non gli fornisce il prodotto sia diventato, per usare un eufemismo, un “avversario antipatico”? (sempre ammesso che se ne accorga)
Gli Israeliani fanno tante domande e sono a che contro (basta guardare le manifestazioni che accadono ogni settimana in diversi punti del paese). Ma togliere il prodotto a un cittadino israeliano (che magari da una vita vota contro Netanyahu ed è anche contro qullo che succede adesso) che,tra l’altro,non è quello che va a fare la guerra, è stupido. Allora bisogna applicare la punizione collettiva? Se con questa soluzione uno cerca di stare dalla parte giusta, non fa altro che ripetere le azioni di quelli contro di cui sta protestando. Cosa pensa lei, che i cittadini comuni hanno la possibilità di stoppare questa guerra?! Di avere qualunque influenza su quel mostro di Netanyahu?! Questa azione di bloccare l’export (anche in caso della Russia) è soltanto dannosa per entrambi: sia per il paese che perde le vendite che per i cittadini (non è che tutto il paese è coinvolto nella guerra) che perdono il loro prodotto. E un altro punto importante: con tutto l’amore per i prodotti Italiani, non c’è niente e nessuno che è insostituibile. Se un cittadino israeliano non trova più la Barilla al supermercato,non importa quante domande si farà o quanto piangerà per la mancanza della sua pasta preferita, non è quello che farà finire la guerra. Ed è piuttosto stupido e infantile pensare così….
Gli israleini protestano per la liberazione degli ostaggi non per il genocidio di Gaza. Nessuno vuole affare i cittadini israsele come invece sta accedendo a Gaza sotto gli occhi pressoché indifferente dell’occidente democratico. Fare mancare pasta ,pomodoro e altri prodotti italiani preferiti, dagli scaffali dei superercati non vuole dire affamare ma solo dare un segnale concreto a chi comsidera il genocidio dei palestinesi come un effetto collaterale che non li riguarda molto da vicino . Certo che tutto si sostituisce , anche noi abbiamo sostituito il gas russo ma abbiamo interrotto le esportazioni dei nostri prodotti . Perché adesso no?
Ma i rapporti commerciali si tengono con chi ne è degno, non con un Paese che sta compiendo un genocidio. Solo sensibilità e visione umanistica del mondo, nessun infantilismo e nessuna stupidità. E’ la capacità di stringersi la mano guardandosi negli occhi dopo aver concluso un contratto che viene meno.
Non credo sia questo il sistema giusto. Troppe aziende e lavoratori italiani verrebbero penalizzate.
Semmai non dobbiamo inviare armi.
Certo le armi ….ma quelle il Governo Meloni ha stabilito che le invierà comunque. IL mio appello è un’altra cosa, e dovrebbe servire a rendere consapevoli del genocidio i cittadini di Israele
I nostri prodotti sarebbero comunque immessi sul mercato, non sono delle quantità enormi.
Sì, il segnale sarebbe forte e chiaro, e un certo disagio lo creerebbe
Sono d’accordo!
Concordo ma non c’è alternativa per riacquistare un po’ di dignità. Anche perché se non si fa niente si dà ragione a Putin, che non perde occasione di far notare i due pesi e le due misure adottati nei suoi confronti. E questo non fa altro che aumentare a dismisura il discredito dell’Occidente agli occhi del resto del mondo, che si può permettere con soddisfazione di poter fare a meno di noi, sempre di più. Anche la mia realtà lavorativa, lontana da questi teatri, si sta accorgendo che sta cambiando sempre di più il commercio globale alimentare: le catene alimentari da paesi come il Brasile, non sono più garantite come una volta, privilegiando sempre più altri paesi.
Vorrei suggerire l’ascolto di questo video di Odifreddi di ottobre 2024:
Le radici nazi-fasciste di Netanyahu e Israele (secondo Einstein e Hannah Arendt)
Nei giorni passati ho visto in tv ed ascoltato le parole dei coloni più o meno ortodossi che si sono ritrovati nella spianata delle moschee. Parole ed atteggiamenti che mi hanno ricordato il ventennio.
Il video è molto utile perché di fronte alla giustificazione “quello che succede è colpa di Hamas e di quello che ha fatto il 7 ottobre”, dimostra come la politica di occupazione delle terre palestinesi è ben precedente. Ed è stata pianificata, nella sua costante espansione, col supporto armato. Mai rispettando le risoluzioni ONU.
Quando Israele accusa chi la critica di antisemitismo, sbaglia, o meglio, fa la furbetta, perché non è così. Israele viene criticata non perché semita, ma perché commette crimini. La riduzione alla fame del popolo palestinese è vergognosa, ed i danni futuri ormai a centinaia di migliaia di bimbi (la popolazione palestinese è tra le più giovani del mondo) sono fatti, perché se anche non moriranno (che sarebbe anche una fortuna per loro…), la malnutrizione produrrà gravi problemi di salute per tutta la loro vita.
Concordo. Non comprare prodotti israleliani è un dovere morale, così come fargli arrivare il messaggio del cosiddetto mondo civile che finora tace ignobilmente sul genocidio legittimandolo
La proposta è più incisiva, in quanto noi consumatori possiamo pesare poco con il rifiuto dei loro prodotti. Nell’articolo si propone di bloccare/ridurre i nostri prodotti, l’export che come Italia abbiamo con Israele. Sarebbe molto più forte come azione di protesta
Eticamente condivido l’articolo, ma come si è già visto con la Russia sarebbe una scelta inefficace dovuta a triangolazioni con Paesi Terzi, come si evince nel breve articolo https://www.ideaexport.it/il-ritorno-del-made-in-italy-in-russia-nonostante-le-sanzioni/ a mio parere sarebbe più efficace congelare beni e capitali detenuti da un governo che si macchia di crimini contro l’umanità.
Certamente sarebbe più efficace ma non mi sembra che ci sia la minima volontà interferire con la politica di Netanyhau.La mia è una proposta per dare un segnale ai cittadini israeliani, non trovare i prodotti al supermercato avrebbe un effetto molto forte .
Discorso molto confondente. Non decido io consumatore come bloccare l’ export. Seguo il discorso quando indica di non comprare prodotti che provengono da Israele ma poi sull’ export cosa cambia? Anzi le ditta e che esportano se si troveranno con meno acquirenti italiani insisteranno cn l’ export. Sono scelte aziendali e non del consumatore. O mi sfugge qualcosa?
Provi a rileggere la proposta.
Mi chiedo cosa stiano aspettando per farlo. Magari possiamo dar loro un “aiutino” non comprando marchi che esportano in israele
Quindi ci si lamenta perché i palestinesi di Gaza non hanno cibo e si vuole fare la stessa cosa con gli abitanti di Israele. Bisognerebbe vergognarsi per entrambe le situazioni.
è vero, ho anche io questo dubbio , pero’ :
1) se mi togliessero la nutella dagli scaffali non mi farebbe che bene
2) non si sta parlando di un embargo ma di 10 / 15 gg che servirebbero solo a far riflettere senza causare praticamente nessun danno ai cittadini
Buongiorno, capisco che qui si parla di alimentare ma ciò che effettivamente è grave riguarda l’esportazione delle armi. Noi esportiamo armi in Israele insieme alla Germania e agli Stati Uniti. I proiettili che estraggono dai corpicini dei bambini sono di fabbricazione US, tedesca o italiana. Secondo il diritto internazionale non si potrebbero esportare armi verso nazioni che le usa per scopi genocidari altrimenti diventino corresponsabili dei loro reati.
Permettiamo anche gli addestramenti sugli F-35 ai piloti dell’IDF in territorio italiano….questo è grave!
Lo so, ha ragione, ma quando ho fondato Il Fatto Alimentare ho deciso la linea edittale escludendo dai temi il mondo non alimentare. mondo alimentare. Per cui trattiamo argomenti afferenti il genocidio di Gaza focalizzano l’attenzione sui nostri temi .
Non credo che le aziende italiane siano favorevoli a perdere gli introiti risultanti dalla vendita in Israele dei loro prodotti. Inoltre troverebbero comunque il modo, vendendo ad intermediari, di far arrivare i loro prodotti sugli scaffali dei negozi israeliani
Ci vorrebbe un’azione di forza del nostro governo, se non fosse così asservito ad Israele
Per alcuni basterebbe un invito, una pressione. Certamente in atto politico sarebbe l’ideale….
Assolutamente d’accordo, ma come si fa a convincere le industrie a non esportare in Israele? Già c’è crisi per via dei dazi….
Che effetto abbiamo ottenuto interrompendo le nostre esportazioni in Russia?
A volte le cose si fanno per etica, per buon senso, per umanità. Anche fare manifestazioni spesso non determina una svolta ma si fanno lo stesso
Premessa : attenzione ! in questi giorni sono a casa con influenza e febbre che probabilmente ha generato questa idea assolutamente, sgangherata, utopica e sicuramente migliorabile :
se qualcuno dei marchi coinvolti facesse una campagna pubblicitaria europea / globale chiedendo agli acquirenti di comprare per un periodo limitato i prodotti del proprio marchio in modo da azzerare le perdite dalla mancata vendita ad Israele ?
quindi : solo per 10/15 gg il signore olandese prova i prodotti Ferrero e l’azienda non rifornisce Israele .
Da questo ne deriva che : comunque a qualcuno piaceranno i prodotti acquistati , la Ferrero aumenterà il fatturato e poi deciderà se continuare a fornire i prodotti ad Israele
(1) (sempre che ci sia un sentimento diffuso verso la causa di Gaza e forse ora siamo al picco ma comunque ti fai nemici)
Non comprare i prodotti dello stato di israele e’ un dovere morale! Inutile ripetere, furbescamente, che sarebbe un’azione di antisemitismo. Penso che i dei coloni che vogliono la terra a tutti i costi aggredendo le famiglie palestinesi siano loro stessi antisemiti, razzisti, fascisti
Purtroppo, noi cittadini possiamo solo scegliere cosa non comprare. Se, nel sanzionare la Russia, l’Italia ha obbedito diligentemente, certo non oserà agire in autonomia nei confronti dello Stato Ebraico.
È giustissimo, ma dubito che il nostro governo si adoperi in tal senso, purtroppo!
Sono un anziano pensionato con parecchi acciacchi ma da quando ho saputo che la ditta Teva è una multinazionale israeliana , piuttosto del suo generico prendo L originale pagando la differenza. La faccia del farmacista quando gli ho spiegato il
Motivo della mia scelta …….misto di stupore e sorpresa e chissà se qualcun altro dei clienti farà lo stesso domani, non incide sullo sterminio ma io mi sento un tantino meglio e alla
Mia età non è male .
Considerazioni del tutto condivisibili.
Totalmente d’accordo.
Ma le aziende italiane sono probabilmente influenzate dalla grancassa dell’informazione magistralmente guidata dal governo attuale, che tra l’altro induce a fare ottimi affari alle fiorenti aziende del settore militare. Mi piacerebbe sapere in quali altri paesi al mondo, come da noi, il Ministro della difesa (un tempo si chiamava “della guerra”) è legato ad aziende di tale settore, platealmente in conflitto di interesse col proprio ruolo istituzionale.