La Confederazione dei bieticoltori (Cgbi) ha da poco siglato un accordo con alcune importanti realtà del settore agroalimentare per realizzare impianti di produzione di biometano a partire dai sottoprodotti di lavorazione. I partner del progetto Agri.Bio.Metano sono Coprob-Italia zuccheri, azienda leader nella produzione di zucchero a partire dalle barbabietole, la nota cooperativa Granarolo, attiva nel settore della produzione del latte, e Fruttagel, azienda romagnola che produce succhi, passate e altri prodotti ricavati da frutta e verdura.
Scopo del progetto è quindi utilizzare i sottoprodotti della lavorazione delle barbabietole, dell’ortofrutta e le deiezioni delle vacche da latte per produrre metano di origine biologica, anziché fossile. La Confederazione dei bieticoltori, attualmente, gestisce oltre 200 impianti per la produzione di biogas (di cui una ventina di proprietà), ed è leader del settore agro energetico italiano.
“Il biogas è una miscela di metano e anidride carbonica, che viene utilizzata per produrre energia elettrica. – Spiega Gabriele Lanfredi, presidente di Cgbi – Il nuovo progetto prevede invece la produzione di biometano purificato, che sarà immesso nella rete di distribuzione di questo gas oppure utilizzato per i trasporti. Il decreto a sostegno dello sviluppo del biometano, che prevede importanti finanziamenti dai fondi del Pnrr, è appena stato approvato dalla Commissione europea.”
Di quali numeri parliamo? Questa produzione può avere un ruolo per coprire le richieste delle grandi realtà coinvolte nel progetto?
“Le aziende coinvolte sono diverse per caratteristiche e dimensioni, – fa notare Lanfredi – ma per Coprob è già stato elaborato un piano di sviluppo specifico. Questa realtà gestisce due zuccherifici, che consumano oltre 40 milioni di metri cubi di metano fossile all’anno, mentre un impianto di produzione di biometano di taglia media ne produce circa due milioni. Coprob possiede già tre impianti per il biogas, che possono essere convertiti a biometano. Il nostro piano inoltre prevede la costruzione in tre anni di altri dieci impianti arrivando a coprire la metà del fabbisogno totale. Si tratta di un risultato molto importante.”
A che punto siamo, in concreto?
“Ora sono in corso gli studi preliminari per tradurre questo progetto in realtà – sottolinea Lanfredi – ma un passo importante è rappresentato senza dubbio dall’approvazione del decreto da parte della Commissione europea. Sarà la prima filiera agro-energetica italiana. Non dimentichiamo poi che il digestato, cioè ciò che rimane dopo la produzione del metano, può essere utilizzato come fertilizzante, andando a ridurre il carico di concimi chimici distribuiti nei campi. Il progetto, nato in un’ottica di economia circolare, permette di trasformare un sottoprodotto da smaltire in una risorsa.”
Abbiamo chiesto un parere anche a Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo. “L’adesione a questo progetto rientra fra le diverse azioni introdotte da Granarolo per ridurre l’impatto ambientale della produzione di latte. – Dice Calzolari – Il nostro gruppo raccoglie circa 600 stalle, di dimensioni diverse. Una cinquantina delle più grandi hanno già introdotto, con ottimi risultati, impianti per la produzione di biogas, che si potranno riconvertire per la produzione di biometano. Per le aziende più piccole prevediamo invece l’utilizzo di impianti consortili, coordinati in questo dall’esperienza di Cgbi. 50 anni fa le aziende zootecniche erano circuiti chiusi, in cui produzione e gestione dei rifiuti procedevano in modo armonico. Poi l’agro-zootecnia ha acquisito caratteristiche di industria, il fabbisogno energetico è aumentato e la gestione dei rifiuti è diventata un problema. Ora, con questo progetto, possiamo cercare di chiudere nuovamente il cerchio: le deiezioni permettono di produrre energia e il digestato può essere utilizzato come fertilizzante, e fra l’altro risulta più semplice da gestire rispetto ai liquami.”
In un momento in cui è evidente la nostra dipendenza dai carburanti fossili ed emerge la necessità di trovare fonti alternative, è sicuramente apprezzabile la possibilità di produrre un carburante a partire da sottoprodotti, che altrimenti diventerebbero rifiuti.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Fotolia, Cgbi
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.