Chi mai avrebbe creduto che le organizzazioni internazionali da sempre fautrici della Green revolution, all’insegna del “produrre di più”, dello sfruttare al massimo le risorse disponibili, potessero promuovere l’agricoltura biologica nei Paesi in via di sviluppo? Ebbene si, è successo, il mese scorso nel cuore dell’Africa. Un segnale chiaro per il Millennio a venire, le mono-colture intensive hanno mostrato i propri limiti sui fronti sociale, ambientale e pure produttivo. È giunta l’ora di cambiare, vediamo come.

 

In Europa le produzioni bio sono definite dal regolamento (CE) n. 834/2007 come il frutto di un sistema di gestione dell’agricoltura, e della trasformazione, improntato a buone prassi ambientali, al rispetto della biodiversità, alla conservazione delle risorse naturali e l’applicazione di elevati standard di benessere animale.

 

Il metodo biologico assume perciò una duplice valenza: da un lato, offre la possibilità di contribuire alla tutela di ambiente, benessere animale e sviluppo rurale; d’altro canto, risponde alla crescente domanda internazionale di alimenti ‘naturali’, cioè realizzati con il minimo contributo di sostanze chimiche. L’agricoltura biologica, ricordiamo infatti, non ammette l’impiego di fertilizzanti artificiali e di altre sostanze chimiche, nell’intento di preservare e migliorare le condizioni dei suoli, di cruciale importanza in diverse aree che soprattutto in Africa sono soggette al rischio di degradazione e desertificazione.

 

La seconda African Organic Conference – organizzata dalla United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) insieme all’Unione Africana, la FAO, la International Federation of Organic Agriculture Movements (IFOAM), il Ministero dell’Agricoltura e l’Associazione dei Produttori Biologici dello Zambia, Grow Organic Africa – si è tenuta nello Zambia, il 2-4 maggio. In cima all’agenda, quasi incredibilmente, le opportunità legate allo sviluppo del metodo di produzione biologico nel Continente.

 

Si deve attuare un African Organic Action Plan. Mica uno scherzo: bisogna anzitutto comunicare agli agricoltori locali il vantaggio di questo tipo di produzione per la tutela dell’ambiente ma anche per incrementare i margini sulle vendite. È poi necessario modernizzare i sistemi di certificazione e riconoscimento di equivalenza (vedi accordo USA-UE sul biologico), allo scopo di collocare le derrate anche sui mercati internazionali.

 

L’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) ha perciò affermato il deciso sostegno allo sviluppo dell’agricoltura biologica in un continente, l’Africa, ove già oltre un milione di ettari di terra sono coltivati applicando questo metodo, con oltre 530.000 operatori certificati. Solo in Etiopia e Uganda più di 100.000 coltivazioni sono già certificate bio, altre 85.000 in Tanzania. Di fatto, l’Africa primeggia nelle coltivazioni biologiche certificate rispetto a ogni altro continente. Bisogna attribuire priorità a questo percorso, ridurre le barriere tecniche al commercio internazionale delle derrate e dei prodotti che ne derivano, promuovere la conoscenza e la diffusione delle buone prassi.

 

Quali opportunità? UNCTAD, con l’aiuto di IFOAM, FAO e UNEP (United Nations Environment Programme), ha lavorato su questi temi nel corso degli ultimi anni, e ha contribuito a sviluppare le “Codex Alimentarius guidelines for the production, processing, labelling and marketing of organically produced foods”.

 

A questo punto, si tratta di garantire la coerente applicazione dei regolamenti CE (n. 1235/2007 e 889/2008) che disciplinano l’importazione, e l’accettazione dei relativi certificati, di prodotti biologici importati in UE da Paesi terzi. È a tal fine necessario il riconoscimento – da parte della Commissione europea – dell’equivalenza dei requisiti, dei sistemi di certificazione e dell’adeguatezza dei controlli. Ad oggi, l’unico Paese africano che beneficia di questo è la Tunisia, entro certi limiti anche Egitto, Ghana, Madagascar e Uganda. In altri continenti, il riconoscimento è pieno per Argentina, Australia e Nuova Zelanda, Canada, Costa Rica, India, Israele, Giappone, Svizzera. Dall’1 giugno anche gli USA. È una questione di opportunità per alcuni, di salvezza per altri. Ma è ora tempo di muoversi per l’Africa!

 

Dario Dongo

Foto: Photos.com