All’inizio di maggio, l’Istituto superiore di sanità aveva lanciato l’allarme: con lo stress legato alla pandemia e alle lunghe settimane di isolamento, per chi soffre di disturbi alimentari c’è il rischio concreto di un peggioramento o una ricaduta. Tra questi, il più diffuso è il disturbo da alimentazione incontrollata, meglio noto con il suo nome inglese, binge eating disorder. Ma ora un gruppo di ricercatori italiani della Sapienza e dell’Università di Camerino potrebbe aver identificato un’arma in più per aiutare le persone che ne soffrono a tenerlo sotto controllo.
Il disturbo da alimentazione incontrollata è caratterizzato da episodi ricorrenti di abbuffate, che possono determinare nel tempo lo sviluppo di obesità, ed è associato a un disagio psicologico caratterizzato, per esempio, da depressione e ansia. Al momento, il trattamento del binge eating disorder prevede quindi la combinazione di psicoterapia e farmaci, generalmente antidepressivi. Ma il tasso di ricaduta, specialmente in momenti come questo, resta alto.
E proprio qui potrebbe venire in aiuto la molecola identificata dei ricercatori italiani coordinati da Silvana Gaetani del Dipartimento di fisiologia e farmacologia della Sapienza e Carlo Cifani della Scuola di scienze del farmaco e dei prodotti della salute dell’Università di Camerino. Si tratta dell’oleoiletanolammide, più nota con l’acronimo Oea, una molecola che agisce come segnale di sazietà nel cervello e che ha un ruolo nella regolazione del metabolismo (in particolare quello dei grassi). Proprio per questo è finita nel mirino della comunità scientifica.
Adele Romano e Maria Vittoria Micioni Di Bonaventura, prime co-autrici dello studio, spiegano che l’Oea “è in grado di prevenire lo sviluppo di un comportamento alimentare anomalo, di tipo binge, e agisce modulando l’attività di circuiti cerebrali che rispondono alle proprietà piacevoli del cibo e/o all’esposizione a una condizione stressante”.
Lo studio, pubblicato su Neuropsychopharamcology, è stato condotto sui ratti, dove la molecola ha mostrato la capacità di inibire un comportamento simile al binge eating che si manifesta nelle persone. Siamo quindi ancora in una fase preliminare della ricerca, ma i risultati appaiono molto promettenti e “fanno ben sperare che l’Oea possa essere effettivamente un nuovo potenziale alleato per la prevenzione o la cura dei disturbi del comportamento alimentare”, afferma Silvana Gaetani.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
I disturbi del comportamento alimentare si curano con la psicoterapia, non con i farmaci e tanto meno con le molecole. Imbarazzante leggere queste cose!