Medica seduta alla scrivania con camice mentre beve bibita da un bicchiere con cannuccia

bevande zuccherate lavoro ufficio junk food cibo da asportoEliminare le bevande zuccherate dai luoghi di lavoro ha effetti positivi molto evidenti, e quindi dovrebbe essere fatto, anche perché si tratta di un provvedimento che non richiede investimenti onerosi e non incontra la stessa opposizione di altre misure come quella di introdurre una sugar tax. La conferma arriva da Berkeley, California, dove la locale università ha deciso di non autorizzare più la vendita di bibite gassate tramite i distributori automatici, le mense e le caffetterie nel 2015, e poi ha verificato che cosa era successo dopo poco meno di un anno. Lo studio ha coinvolto circa 200 dipendenti che si erano definiti bevitori regolari di bibite zuccherate, cioè abituati a consumare 360 ml di bevande al giorno o più, con un’età media di 41 anni e un indice di massa corporeo di 29 (e quindi nell’intervallo del sovrappeso). 

Come riferito su JAMA Internal Medicine, a metà di loro è stato proposto anche un breve corso motivazionale sui pericoli dell’eccesso di zucchero. Il risultato è stato che i consumi giornalieri sono passati da più di un litro (1.050 ml) a circa la metà (540 ml). Significativo anche l’effetto del corso: chi lo ha seguito in media ha bevuto 762 ml in meno di bevande dolci ogni giorno, mentre per chi ha solo visto scomparire i distributori il calo è stato di 246 ml.

Colpiscono poi gli effetti visibili, una risposta a chi sostiene che non necessariamente a un calo negli acquisti di bevande zuccherate corrisponda un consumo inferiore e un miglioramento degli indici metabolici. I dipendenti hanno avuto infatti una diminuzione media di 2,1 centimetri della circonferenza del girovita, considerata importante parametro di rischio cardiovascolare, e hanno manifestato una chiara tendenza al miglioramento della resistenza all’insulina e del colesterolo.

Lo studio ha alcuni limiti metodologici: oltre al fatto che 200 persone sono poche, non esisteva un gruppo di controllo (per esempio, un’altra università dove il bando non c’è) con il quale confrontare l’effetto della sparizione delle bevande zuccherate. Un altro fattore che potrebbe aver generato confusione è l’assenza di un divieto totale al consumo, e cioè gli impiegati potevano portare le bibite gassate da fuori. Tuttavia, questo in realtà depone a favore degli effetti educativi del provvedimento, che ha comunque prodotto risultati misurabili.

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L’Università di California ha vietato la vendita di bevande zuccherate nei distributori automatici, nelle caffetterie e nelle mense del campus di Berkeley

Senza arrivare a veri e proprio divieti, gli autori suggeriscono comunque di modificare l’offerta, passando appunto dalle bevande zuccherate a vari tipi di acqua, tè, tisane o caffè senza zucchero, magari inventando distributori accattivanti e limitando al massimo l’uso di lattine e bottigliette, come sta avvenendo in molti aeroporti.

Lo studio ha suscitato un’immediata reazione di entusiasmo nel Regno Unito, dove la lotta allo zucchero in eccesso e soprattutto a sovrappeso e obesità non conosce tregua. Come riferito dal Guardian, si nota la paradossale contraddizione dei luoghi di cura, che sono diventati i primi sponsor delle aziende produttrici di bevande zuccherate, dal momento che ne vendono a ogni angolo. Il risultato, nel Regno Unito, è che tra il personale sanitario una persona su due è obesa o in sovrappeso. Perciò Aseem Malhotra, consulente del National Health Service e cardiologo, commenta così: “Se vogliamo davvero combattere l’obesità il primo provvedimento da prendere è vietare la vendita di cose che fanno ammalare all’interno dei luoghi di cura”.

Due anni fa lo stesso NHS ha invitato gli ospedali a vendere meno bevande zuccherate, ed è stato calcolato che in effetti è stato rimosso l’equivalente di 32 milioni di zollette di zucchero in 900 mila lattine (laddove una ne contiene nove, in media). Ma evidentemente si può fare di più, e di meglio, e anche in luoghi di lavoro che non siano gli ospedali.

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