Ieri è morto Bernardo Caprotti il patron di Esselunga, un uomo dal carattere molto duro, poco incline alla mediazione, ma con una capacità imprenditoriale straordinaria. In tutti gli articoli sui supermercati che ho scritto in 30 anni ho sempre avuto come riferimento Esselunga e Coop, due catene diverse ma con molti elementi in comune per quanto riguarda assortimenti e politica nei confronti dei consumatori.
Pochi sanno però che Bernardo Caprotti è stato il primo sponsor che nel maggio 2010 ha permesso a Il Fatto Alimentare di uscire. Avevo presentato il progetto cartaceo a diverse aziende e ad alcune catene di supermercati senza successo. Nessuno voleva condividere l’idea di un sito indipendente ma autorevole, scritto da giornalisti professionisti ed esperti. La richiesta agli interlocutori era di 5 mila euro per un banner annuale in home page. Esselunga esamina il progetto e mi convoca. Dopo due incontri decide per un banner in esclusiva su una delle dieci sezioni del sito a fronte di 10 mila euro. Si tratta di una presenza discreta su una pagina secondaria, a fronte di un contributo importantissimo che ci ha permesso di coprire le spese dei primi mesi e uscire (anche per Esselunga era il primo e anche l’unico investimento in rete).
Il contratto viene rinnovato per un anno poi c’è stato un incidente che ha modificato la situazione. In una conferenza stampa convocata al teatro Manzoni nell’ottobre 2011, per presentare un video promozionale girato dal regista Giuseppe Tornatore sui supermercati (si intitolava Il mago di Esselunga e nel filmato appariva per qualche istante lo stesso Caprotti), faccio una domanda scomoda (l’unica domanda insieme a quella di un collega inglese). Prendendo spunto dal filmato e dalla descrizione delle linee di produzione e confezionamento dei prodotti di gastronomia, pescheria e del reparto ortofrutta chiedo, come mai le porte degli stabilimenti siano sempre rimaste chiuse ai giornalisti tranne rarissime eccezioni (io so di una collega del Corriere della sera). In modo deciso definisco il filmato uno “spottone” e ribadisco il mio interesse espresso più volte di visitare quelle linee “modello” messe a punto – tra l’altro – da un mio amico e collega di università. Caprotti sorpreso dalla domanda mi invita a chiamare il giorno dopo per prendere accordi. Il giorno dopo però le cose vanno diversamente.
L’ufficio stampa mi dice che il patron di Esselunga è molto irritato per l’incidente e mi consiglia di soprassedere. Invio lo stesso la richiesta. La risposta arriva per lettera. Caprotti scrive di essersi trattenuto dal cacciarmi dal teatro Manzoni per il mio atteggiamento poco rispettoso… La visita agli stabilimenti promessa non c’è mai stata e il contratto di pubblicità non è stato rinnovato. Quella lettera è ancora sulla mia scrivania. Più volte mi sono chiesto se valeva la pena fare quella domanda scomoda di fronte a centinaia di aziende presenti al teatro Manzoni e decine di giornalisti. Sapevo che il personaggio non accettava volentieri il contradditorio e avevo ben presente il suo contributo per la nascita de Il Fatto Alimentare, ma sapevo pure che un punto fondamentale del nostro progetto editoriale era – ed è ancora – l’indipendenza. Prima di prendere il microfono per la domanda ho pensato a queste due cose, ma ho deciso che ne valeva la pena.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Grazie del suo intervento. Seguo lei e il suo staff da anni, da quando facevate degli iinterventi nella trasmissione di Mi manda Raitre condotta da Antonio Lubrano. Purtroppo i temi che trattavate nella trasmissione non sono più trattati in questo modo, ma spesso in modo non corretto, che a volte sembra pilotato o in orari mattinieri che non sono adatti per chi lavora. Resta Geo and Geo. quello che Lei ha raccontato dimostra lo spirito e il coraggio con il quale fate questo lavoro e che, tra l’altro, piacerebbe fare anche a me.
tantissimi auguri a lei e al suo staff
antonella turrin
Bellissimo racconto che spiega molte cose in fatto di indipendenza e spiega il motivo per cui essere finanziati dall’industria e comunque da pochi non è una buona soluzione.
penso che la cosa fastidiosa sia stato fare la richiesta agganciandola al Corriere della sera …. lei poteva fare la richiesta (pulita) e aspettare la risposta … poi se ci fosse stato un ulteriore diniego … allora a quel punto tirar fuori quello che lei invece aveva messo in primis …. di Esselunga e del sig. Caprotti non c’è nulla da dire …. è stato un grande e sarà sempre nei cuori dei suoi “clienti affezionati”
La mia richiesta di visitare i centri di produzione è stata formulata diverse volte nell’arco degli anni e ribadita anche quando è stata approvata la sponsorizzazione un anno prima ma senza successo. Tenga conto che le aziende sono abituate a fare visitare gli impianti a giornalisti e ospiti di vario tipo. Quando un’azienda realizza un video di quel tipo, per evidenziare la qualità e la funzionalità delle sue linee di produzione dimostrando trasparenza e disponibilità non può negare poi la richiesta di visitare gli impianti.
Perchè non fa sul web una richiesta a tutte le aziende di poter visitare i loro centri di produzione chiedendo che la risposta venga fatta sul web in modo che tutti possano visionare le risposte?
Ha fatto bene a fare quella domanda: lei è un giornalista serio.
purtroppo questi industriali si sentono come padri eterni . D’altronde non ho mai creduto che Esselunga. Coop ecc possano essere dalla parte del cittadino.
Purtroppo quando si fanno domande scomode non ti possono rispondere con scomode verità e allora meglio soprassedere, si fa prima. Sono cresciuta con Esselunga e rimango una fedele ma mi guardo attorno e sono pronta a cambiare dove mi porta la qualità e la convenienza. Chissà cosa ci riserverà il cambiamento in Esselunga. Ma anche io sono libera di cambiare.
Bernardo era un uomo di altri tempi e per mentalità dava importanza alla forma e alla sostanza come d’altronde è impostata la filosofia Esselunga. La cultura Esselunga, condivisibile o meno, si nota parcheggiando l’ auto nei parcheggi del supermarcato con tanto di spazio lasciato per aprire la portiera. Questa io oltre che grande imprenditorialità la chiamo classe. Bernardo a suo modo era un uomo di classe. L’errore non sta nelle domande che si pogono ma come si pongono e in che circostanza si pongono. La sua era oltre che mal posta era posta nel momento e nel luogo sbagliato ……una domanda furba! Scommetto che se lei si rivolgeva al suo ufficio stamapa per una visita agli stabilimenti Bernardo non solo la feceva entrare ma oltre che inviatarlo a pranzo nella mensa aziendale lo avrebbe stimolato a fare qualche critica. I grandi imprenditori sono coloro che riflettono a fronte di una critica, perchè puo essere una riflessione e una idea in più da sfruttare
saluti cordiali
Ho chiesto molte volte e per molti anni all’ufficio stampa di visitare gli impianti senza successo. Per molto tempo Esselunga ha volutamente ignorato i giornalisti e i media. Non esisteva un ufficio stampa! Ho sempre raccolto le notizie in altro modo. Poi c’è stata un’apertura ma molto discreta e adesso il dialogo con i media e ripreso. Caprotti era un grande imprenditore ma non era il tipo che accettava le critiche volentieri.
Dire che il Dottor Caprotti, fosse una persona poco avezza alle critiche, è profondamente sbagliato e falso. Chiunque conoscesse DAVVERO il dottore, sa bene che era profondamente attento a qualsiasi forma di critica, purchè veritiera e che aiutasse a migliorarsi. sempre.
Perfettamente corretto , la penso anche io così. Invece ci sono altri imprenditori sfacciatamente disonesti ed approfittatori che dietro di loro non lasciano nessuna scia di simpatia, ne’ ricordi benevoli !!!
…ci sono 2 motivi circa la scarsa apertura a organi di stampa in un industria alimentare: il luogo dove si producono o manipolano alimenti soprattutto in quantità industriali è un luogo estremamente delicato sia per motivi igienici-logistici sia anche per motivi di riservatezza e segretezza industriale è comprensibile! Il secondo motivo nel caso specifico Slunga , era una forma di difesa soorattutto da una certa stampa ( e parte politica) che ha sempre mal sopportato lo stile e l’ essere all’ avanguardia di Slunga. Bernardo non credo che non sopportasse critiche era uno capace di interpretare la critica costruttiva da quella faziosa. Se non accetti critiche non fai un progetto vincente e anticipatore come Slunga. Esclusa in parte COOP il resto della GDO è indietro 30 anni rispetto ad Slunga
Vi leggo sempre con ammirazione… e nutro una profonda stima. Mi é parsa tuttavia mancanza di tatto questo articolo su Esselunga oggi. È noto e normale che per mantenere vantaggi competitivi un ‘azienda debba darsi regole e protocolli ferrei. Questo è uno di quelli… le performance di Esselunga sono fuori di ogni parametro, sono fuori range. È tutto top secret. E visto il successo … perché no…
Fare il proprio lavoro di indagine irritando il proprio sponsor (magari era anche l’unico), non è da tutti.
Complimenti. Questa si chiama coerenza, una delle cose più difficili da praticare.
Continuerò con ancora più piacere a sostenervi con il mio contributo e a condividere sui social i vostri post!
Buon lavoro
Buonasera Roberto,
è vero che l’indipendenza, l’essere liberi, non ha prezzo, nella vita come nel lavoro.
Segretezza aziendale? Riservatezza? Ma cosa sta dicendo! Quando si trattano tematiche così importanti come la salute delle persone non devono esserci segreti! Gli stabilimenti alimentari devono essere aperti al pubblico (con le dovute cautele igieniche) e alla stampa professionista. Punto! Non ci sono altre discussioni a riguardo! Gli interessi capitalisti degli imprenditori hanno stancato e sfufato la pazienza di tutti i consumatori! La domanda fatta a Caprotti è stata formulata bene e saggiamente con l’unico interesse d’informazione, e rifiutando la richiesta più che doverosa e di diritto l’imprenditore ha dimostrato poca chiarezza e sincerità. Che la gdo sia avanti o meno poco importa, la salute delle persone viene prima a tutto!
Non entro nel merito della richiesta, ma forse definire pubblicamente “spottone” il lavoro di Tornatore durante la conferenza stampa di presentazione dello stesso spottone…. non è il massimo della delicatezza.
ripeto: consiglio di fare richiesta a tutti di visitare i loro stabilmenti di produzione segnalandogli che la loro risposta o non risposta verrà pubblicata sul sito del fattoalimentare. Cosa ne pensa?
Quanta demagogia e quanto servilismo..grazie Sig.La Pira per la schiettezza,continui così. Viva la trasparenza!
Parte ora il mio contributo al Fatto Alimentare( naturalmente proporzionato alle mie finanze,infinitamente più piccole di quelle del multimilionario Caprotti,pace all’anima sua).
Grazie
Che la domanda fosse ben posta o mal posta non lo possiamo certo sapere noi che non c’eravamo, quindi mi chiedo su che base, in un senso o nell’altro alcune persone si permettano di giudicare. Noi abbiamo letto e conosciamo la versione di una sola campana e la prendiamo per buona. Purtroppo non potremo mai conoscere la versione dell’altra campana.
A chi chiede che gli stabilimenti alimentari debbano essere aperti al pubblico ricordo che qualsiasi azienda ha processi specifici più o meno importanti, ha un know how. Svelare queste cose la rende vulnerabile nei confronti dei propri concorrenti che potrebbero sfruttare tali informazioni a proprio vantaggio. La salute pubblica non c’entra: per quello ci sono le Autorità Competenti, che per entrare negli stabilimenti non devono certo chiedere il permesso e sanno sicuramente giudicare le prassi igieniche meglio di un comune cittadino che non solo non conosce i principi HACCP, ma spesso nemmeno applica le basilari prassi igieniche a casa propria…
“::In una conferenza stampa convocata al teatro Manzoni nell’ottobre 2011, per presentare un video promozionale girato dal regista Giuseppe Tornatore sui supermercati (si intitolava Il mago di Esselunga e nel filmato appariva per qualche istante lo stesso Caprotti), faccio una domanda scomoda ..”. Legga bene prima, la domanda mal posta è riferita al contesto riportato dall’articolo. La qualità di Slunga si vede in primis sugli scaffali …il resto è fastidiosa demagogia
Caro Alessandro se aspettiamo che chi di dovere svolga il proprio compito…allora moriamo prima del tempo! Forse non è chiaro che non stiamo parlando di bulloni o lampadine, bensì di cibo! Ovvero la fonte principale di sussistenza! Finchè il profitto verrà messo al primo posto…non ci sarà mai chiarezza e corretta informazione. Quello che tanti svolgono in prima persona, per capire e divulgare, dovrebbe essere onorato e premiato…e non criticato! O forse c’è qualcosa da nascondere che non c’entra nulla con il “know how”?! Per cortesia finiamola con le banali ed inutili scuse! Per fortuna che nell’epoca più gloriosa dell’informazione molti non si fanno più abbindolare da innocui e stupidi spot pubblicitari. E poi cosa c’entrano i Nas? Qui si vuole solo conoscere il metodo di lavorazione e confezionamento, che tra l’altro potrebbe anche servire come incentivo alle vendite (se non ci fossero censure!). Come se poi chi lavora all’interno di queste strutture non abbia facoltà di parola…o mi sbaglio? O per caso hanno firmato un contratto di riservatezza?
Spiacevole l’incomprensione per entrambi, ma ritengo che Esselunga abbia perso una buona opportunità di trasparenza ed indirettamente di ottima e qualificata pubblicità.
C’è anche il problema riservatezza e segretezza dei metodi e degli impianti di lavorazione, da non sottovalutare e che ogni buon produttore protegge dalla curiosità dei concorrenti diretti, più che dai giornalisti.
Tenete conto che per un addetto ai lavori basta uno sguardo, anche fugace per identificare un metodo o un impianto di produzione, per migliorare o confermare le proprie conoscenze e trasferirle nelle proprie o altrui produzioni.
Poi c’è la gelosia e l’orgoglio personale di aver realizzato un buon sistema produttivo, magari innovativo, efficiente e performante, che non si vuole condividere ne divulgare e penso sia questo il sentimento del fondatore Caprotti.
“Spiacevole l’incomprensione per entrambi, ma ritengo che Esselunga abbia perso una buona opportunità di trasparenza ed indirettamente di ottima e qualificata pubblicità.”
Esatto, per come la vedo io modalità brusca e maldestra di porgere la domanda, seppur legittima nella sostanza e orgoglio ammaccato del padrone vecchio stile che non tollera che ci rivolga a lui senza deferenza e rispetto.
Comunque la dipartita di Caprotti è una perdita pesante per il mondo della GDO italiana, lo dico da non-cliente Esselunga.
@Roberto Contestabile, rispondevo semplicemente alla sua teoria per cui l’azienda debba essere aperta al pubblico per garantire la salute delle persone. Sono le autorità competenti (che non sono certo solo il NAS) ad avere, appunto la competenza di stabilire se l’azienda opera in modo tale da poter garantire o meno la salute pubblica. Se secondo lei le autorità competenti non svolgono il loro compito, libero di pensarlo e mi aspetto che abbia delle prove a supporto e magari abbia già denunciato la cosa, ma in ogni caso non è certo il cittadino comune che entrando in uno stabilimento sarà in grado di determinare se l’azienda operi correttamente o no, semplicemente perchè non ne ha le competenze. Non si può negare l’importanza delle riservatezza dei processi aziendali e del know how, non sono invenzioni: nei contratti (o nei regolamenti aziendali, accettati alla firma del contratto) ci sono sezioni specifiche relative alla riservatezza. Che poi ci sia la “gola profonda” è un altro discorso. Ci sono anche i licenziamenti per giusta causa se è per questo…
“Qui si vuole solo conoscere il metodo di lavorazione e confezionamento” dice. Ha detto niente!! Avere un processo all’avanguardia, magari unico o innovativo rispetto alla concorrenza e magari dopo aver investito milioni di euro per realizzarlo e lasciare che i concorrenti lo copino?! A che pro? Per la salute pubblica? Come già detto, per la tutela della salute pubblica ci sono altri mezzi ben più efficaci. Poi nello specifico, io La Pira lo avrei fatto entrare nello stabilimento, ma ripeto, a noi è dato di conoscere solo una versione della storia.
Alessandro, lei continua a perseverare sul concetto di profitto riservato alle aziende alimentari che (è assolutamente importante ribadire) hanno la responsabilità della salute pubblica. I controlli effettuati dalle autorità (asl o nas che siano) non sono sufficienti e non garantiscono la totale copertura, ecco perchè è utile che gli stabilimenti siano aperti e non blindati come centrali nucleari! E poi lo dice lei che le persone comuni non sono esperte, non è necessaria un laurea per capire determinate tipologie di igiene e pulizia o normali procedure di buon senso! Chi protegge i propri interessi capitalisti a discapito dei consumatori commette un grave danno! Se poi si vogliono difendere determinate ricette è possibile farlo aprendo comunque le porte. Dalle sue risposte deduco che lei è un “addetto ai lavori”…quindi, considerato il conflitto d’interesse, è inutile proseguire la conversazione! Grazie e cari saluti.
@bob, se mi dovessi basare sul solo articolo, convengo nel trovare la domanda malposta, ma non è dal solo testo che si capisce se una domanda sia malposta o indelicata. Contano il tono, il contesto, la sensibilità degli interlocutori…tante variabili che noi non conosciamo per cui non mi sento di poter dare un giudizio in merito proprio perchè non ero presente. E se anche lo fossi stato, io avrei comunque percepito la domanda con la mia sensibilità, non con quella di Caprotti per cui, esprimere un giudizio da parte sarebbe comunque sbagliato. Questo il motivo del mio commento precedente.
farsi sponsorizzare da un produttore, nel vostro ruolo di “critici” del mercato, non è facilmente conciliabile con il vostro diritto-dovere a “fare le pulci” ovunque sia il caso, nel rispetto della verità e dei vostri lettori. a mio modo di vedere, non sopporterei l’idea che lo sponsor possa sentirsi tranquillo pensando di aver “comprato” un giudice del sistema in cui opera e guadagna denaro. ragion per cui, qualunque sia stata l’atmosfera e la situazione particolare di quell’occasione, non posso che apprezzare la “sfacciataggine” con la quale il buon La Pira espresse quella richiesta al fu Caprotti.