I bambini americani – e probabilmente non solo loro – sono a rischio ipertensione a causa dell’eccesso di sale. In genere il cibo con un pizzico di sale in più piace molto, anche se l’ingestione di quantità elevate provoca parecchi danni in un organismo in crescita già messo a dura prova da bevande zuccherate, dolci e grassi.

Purtroppo negli Usa i livelli di assunzione sono elevati, e quando si misura la pressione sanguigna ai piccoli si nota subito, soprattutto quando sono obesi oppiure in sovrappeso.

 

A mettere ancora una volta sotto accusa la dieta dei bambini statunitensi è uno studio pubblicato su Pediatrics  da Quanhe Yang, dei Centers for Diseas Control and Prevention (CDC) di Atlanta, che insieme ai suoi collaboratori ha misurato la pressione sanguigna in oltre 6.200 soggetti di età compresa tra gli 8 e i 18 anni, e ha fatto una correlazione con la dieta.

 

I ricercatori hanno visto che il quantitativo medio di sodio assunto ogni giorno pari a 3,39 grammi, risultava superiore ai 2,3 grammi consigliati, e molto vicino alla dose media degli adulti (3,45). Incrociando questi dati con quelli della pressione salguigna, l’autore ha dimostrato che per ogni grammo di sodio in eccesso rispetto ai valori ottimali, la pressione dei ragazzi aumenta di un millimetro di mercurio e arriva a 1,5 se il giovane è obeso (amplificando così l’effetto deleterio del sale e i rischi collegati all’ipertensione in età giovanile).

 

Purtroppo il sale è un ingrediente onnipresente negli snack e nelle merendine salate, ma anche in molti alimenti venduti nei fast food e amati dai ragazzi quali le patatine fritte o le crocchette. Tutto ciò accade anche se da anni le autorità sanitarie ne chiedono la riduzione con risultati piuttosto scarsi. Negli ultimi tempi è sorta un’aspra polemica non solo tra i produttori e i consumatori, ma anche all’interno della comunità scientifica, perché non c’è accordo sulle quantità consigliate.

 

Anche se l’OMS fissa in 5 grammi di sale al giorno il valore ottimale per gli adulti (equivalenti a 2 g di sodio) e 2 g per i bambini e i ragazzi (equivalenti a 0,8 grammi di sodio) il dibattito tra le parti coinvolte è molto vivace.

Di recente una revisione Cochrane ha messo in dubbio gli effetti delle riduzioni di sale consigliate, considerate troppo esigue per apportare benefici reali. Tutto ciò sta inevitabilmente rallentando quella che tutti riconoscono essere una battaglia giusta, e cioè il generale abbassamento della concentrazione soprattutto negli alimenti lavorati.

 

Eppure sul sale si incentreranno con ogni probabilità le future campagne antiobesità soprattutto negli Stati Uniti, paese che più di altri deve fare i conti con questo problema. Nell’ultima previsione appena pubblicata  si prevede che, in assenza di cambiamenti drastici delle abitudini alimentari, nel 2030 la metà dei soggetti considerati oggi bambini saranno classificati come obesi, con costi per la sanità  quantificati in almeno 210 miliardi di dollari all’anno. La cifra deriva dalle stime elaborate dal Trust for America’s Health insieme alla Robert Wood Johnson Foundation su dati degli stessi CDC, messi nero su bianco nel voluminoso rapporto “F as in Fat“. Se la tendenza attuale proseguirà senza cambiamenti significativi, nel 2030 il 42% della popolazione sarà obeso e tra costoro si registreranno 7,9 nuovi casi di diabete ogni anno (oggi siamo a 1,9), e 6,8 milioni di ictus e malattie cardiache (oggi siamo a 1,3 all’anno).

 

Dal 1980 a oggi – si legge ancora nel rapporto – la percentuale di obesi è più che raddoppiata, passando dal 15 a oltre il 30%, e tra i bambini è addirittura triplicata. Nel biennio 2008-2010 in alcuni Stati si è registrato un rallentamento, ma ciò non incide più di tanto sull’insieme della popolazione, anche se le differenze sono significative differenze (il Colorado è quello messo meglio, mentre quelli della costa orientale e del Golfo del Messico raggiungono percentuali allarmanti di obesi).

 

Non tutto è perduto, affermano gli estensori del rapporto: molto dipenderà dalle scelte dei prossimi anni, e alcuni dati indicano già quale può essere la strada giusta per tutelare la salute dei giovani. Tra tutti spicca il modello di New York, unica città dove il tasso di obesità infantile tra il 2006-2007 e il 2010-2011 è sceso del 5,5% grazie alle misure adottate negli ultimi anni soprattutto nelle scuole e in generale nei luoghi pubblici, volte a promuovere un’alimentazione più sana e a penalizzare in ogni modo il junk food.

 

Agnese Codignola

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