La pandemia ha avuto anche qualche effetto ‘collaterale’ positivo, quando è stata colta l’opportunità rappresentata dalla crisi per ripensare alcuni aspetti della vita sociale. Di certo, questo è quanto accaduto a Boston dove, nei quartieri più poveri, nel 2020 la cosiddetta ‘food insecurity’, cioè l’incapacità di procurarsi cibo a sufficienza a causa della perdita del lavoro, di un reddito insufficiente o di situazioni come il mancato diritto ai sussidi, è aumentata del 55%, come nel resto degli Stati Uniti, arrivando a colpire il 42% delle famiglie con bambini.
Per un americano essere in questa condizione significa spesso non mangiare affatto per intere giornate o, per chi ha figli in età scolare, affidare alla mensa della scuola l’alimentazione del proprio figlio, che solo una volta al giorno ha un pasto garantito. Ma durante i mesi del Covid, essendo le scuole chiuse e avendo molti genitori perso il lavoro, la situazione è precipitata. Per questo, in collaborazione con la Conferenza della Casa Bianca su fame, nutrizione e salute del 2022, Mass General Brigham, organizzazione sanitaria no-profit che riunisce alcuni importanti ospedali di Boston, ha investito 8,4 milioni di dollari per aiutare le famiglie in difficoltà, anche attraverso programmi ‘cibo come medicina’, cogliendo al tempo stesso l’occasione per cercare di svolgere un’azione educativa e cercare di modificare le abitudini delle comunità più vulnerabili, più propense ad acquistare alimenti di scarsa qualità per la loro convenienza e molto più colpite rispetto ad altre da malattie metaboliche, obesità e tumori.
Il programma, messo a punto con un’associazione benefica del grande complesso ospedaliero, chiamata Massachussets General Hospital (MGH) Revere Food Pantry, prevedeva la distribuzione di un pacco di alimenti di origine vegetale, con frutta e verdura fresche, frutta secca e cereali integrali, ai bambini più bisognosi e ai loro familiari, in modo che tutti i componenti del nucleo familiare avessero tre pasti giornalieri, ogni settimana. Tra gennaio 2021 e febbraio 2022, in tutto sono stati aiutati 107 bambini di 93 famiglie, ciascuna delle quali ha ricevuto, in media, 27 pacchi alimentari nell’anno di osservazione.
Come riferito su Preventing Chronic Diseases, i ricercatori del Massachusetts General for Children e del Boston Children’s Hospital hanno effettuato le misurazioni antropometriche dei bambini prima dell’inizio del programma e alla sua conclusione, e hanno visto una chiarissima relazione tra l’accesso al cibo di qualità e l’indice di massa corporeo (Imc): per ogni confezione ricevuta c’era stato un calo di 0,04 punti di Imc. Inoltre, all’inizio, il 57% dei bambini e ragazzi di età compresa tra i due e i 18 anni aveva un Imc pari o superiore all’ottantacinquesimo percentile, e quindi in sovrappeso, ma alla fine la percentuale era scesa al 49%. Infine, nelle famiglie che avevano ricevuto almeno 27 pacchi settimanali, si stima che i bambini abbiano avuto un abbassamento dell’Imc di 1,08 o più.
Al di là dell’importanza in una situazione di crisi come quella delle ondate pandemiche, questo studio dimostra un fatto importante: più che pensare a provvedimenti complessi nella progettazione e nella realizzazione, fornire cibi di qualità alle famiglie più indigenti e quindi più a rischio è uno strumento che ha conseguenze immediate, misurabili e significative e che, con ogni probabilità (ma questo non è stato ancora studiato), ha anche ricadute sulle abitudini alimentari dei nuclei famigliari e, in particolare, su quelle dei bambini. Un fatto, questo, particolarmente importante, perché numerosi studi hanno mostrato che le consuetudini acquisite durante lo sviluppo tendono a radicarsi e a plasmare i comportamenti alimentari di tutta la vita. Inoltre – concludono gli autori – si tratta di provvedimenti molto meno costosi e impegnativi rispetto ad altri e il risparmio in costi sanitari che essi garantiscono ripaga pienamente dell’investimento iniziale. In Massachussetts, l’obesità infantile, già in aumento prima della pandemia, è esplosa a causa del Covid-19, passando dal 15,1% del 2018 al 15,7% del 2019 e al 17,3 del 2020.
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Giornalista scientifica