Chi ha una malattia cardiovascolare e, a maggior ragione, chi ha avuto un infarto o un ictus, dovrebbe prestare attenzione a ciò che mangia e, soprattutto, a come è preparato: se la sua dieta prevede molti alimenti ultra-trasformati, infatti, il rischio di andare incontro a un secondo evento, spesso fatale, aumenta sensibilmente rispetto a quello di chi, in condizioni di salute simili, mangia alimenti non trasformati o quasi.
Il ruolo degli additivi nella salute dei soggetti a rischio è emerso in uno studio italiano, condotto dai ricercatori dell’Istituto Neuromed Irccs di Pozzilli (Is), che stanno lavorando al grande progetto di popolazione Moli-sani, attivo dal 2005 su 25 mila abitanti del Molise. In questo caso, come riferito sullo European Heart Journal, l’attenzione è stata concentrata su oltre 1.100 persone dell’età media di 67 anni che, al momento dell’arruolamento, avevano una storia di malattie cardio o cerebrovascolari e che sono state seguite per oltre dieci anni con un controllo della dieta e dell’evoluzione delle condizioni di salute, attraverso il monitoraggio di 18 parametri indicativi dello stato infiammatorio e della salute cardiovascolare e metabolica.
Il risultato è stato molto chiaro: i forti consumatori di alimenti ultra-trasformati (secondo la definizione Nova), cioè coloro che ne hanno consumato una quantità maggiore o uguale all’11,3% del totale cibo (in grammi), avevano avuto un rischio generale di morte superiore del 38% e uno di morte per patologie cardiovascolari superiore del 65%, rispetto a chi ne aveva consumati di meno (sotto il 4,7%), con un incremento lineare: per ogni punto percentuale di consumo in più, compariva un parallelo aumento del rischio.
Ciò che hanno fatto notare gli autori, commentando i risultati, è quanto gli alimenti ultra-trasformati siano diffusi e spesso non riconosciuti come tali. In questa grande famiglia non rientrano infatti soltanto quelli più noti, come i pasti pronti e confezionati, i dolci o le bevande zuccherate, ma anche cibi considerati sani, quali i cereali da colazione o i crackers. Per tale motivo, anche se una persona ha un’alimentazione che rientra teoricamente nella dieta mediterranea, non necessariamente avrà una dieta sana, perché molto dipende dal tipo di preparazione degli alimenti assunti. La conseguenza auspicata è che, accanto ai valori nutrizionali, in etichetta siano presto riportate le informazioni relative al tipo di lavorazione e alla qualità e quantità di additivi presenti. È infatti negli additivi che si deve cercare ciò che può nuocere alla salute e, se possibile, evitarlo. Lo conferma indirettamente un altro studio pubblicato nel mese di novembre, che punta il dito contro uno di essi, tra i più utilizzati come emulsionante fin dagli anni Sessanta e finora ritenuto innocuo: la carbossimetilcellulosa o Cmc.
Dopo che diversi studi su modelli animali avevano suggerito, negli ultimi anni, che la Cmc non fosse così innocua, i ricercatori hanno fatto un test su volontari, sottoponendone per 11 giorni una decina a una dieta priva di Cmc e altrettanti alla medesima dieta, ma addizionata con 15 gr al giorno di Cmc e andando poi a verificare che cosa fosse successo. Come riferito su Gastroenterology, nei soggetti che avevano assunto Cmc il microbiota è risultato significativamente alterato e anche l’immagine dei tessuti intestinali, controllata con una colonscopia, è risultata molto simile a quella di chi soffre di colite o malattie infiammatorie intestinali. Non sono emerse vere e proprie patologie associate alla Cmc ma, secondo gli autori, bisogna studiarne meglio l’accumulo e l’assunzione cronica, per verificare se e come gli effetti a carico del microbiota possano avere conseguenze sulla salute a lungo termine e, se sì, di che tipo di conseguenze si tratta.
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Giornalista scientifica
son curioso di sapere se la tara di un cibo ultraprocessato sia dato più dalla presenza di additivi potenzialmente pericolosi per la salute o dal fatto di essere comunque un prodotto preparato industrialmente e, quindi, più “semplicemente” dalla presenza eccessiva di grassi, zuccheri e sale o, ancora, da entrambe le cose (come credo).
Buono a sapersi. Sia da monito per tutti i vegani che ingurgitano roba con decine di ingredienti tra cui addensanti e aromi.
E semaforo verde per mc Donald, che nei suoi hamburger di carne italiana ha 1 solo ingrediente (più il sale).
ma chi l’ha detto che i vegani ingurgitano tali alimenti??? penso tu non li conosca bene…
Bella domanda signor Luigi penso che anche la sopraffina Intelligenza Artificiale avrà bisogno di molte sedute da un buon psicologo per non impazzire nell’affrontare il problema, da quello che a me sembra evidente tutti gli additivi hanno qualche profilo dannoso ( ovviamente più o meno ) , i quattro cattivi hanno dei limiti di sicurezza oltre il quale da elementi fondamentali diventano veleno e i sistemi di preparazione hanno la loro importanza nel bene e nel male.
Poi seguono una molteplice serie di altre variabili……ma così è la vita e la salute, un inimmaginabile serie di fattori che portano all’equilibrio o al malessere nel tempo.
Esaminando gli elementi in maniera parziale non si può dare torto legittimamente nemmeno al signor Andrea dal punto di vista dell nostro metro ( e strumenti ) di giudizio ma questo è un altro capitolo della storia in cui nessuno sa tutta la VERITÀ, e nemmeno cosa è MEGLIO, ai prossimi dibattiti.
Sono anni che dico che le varie etichette a semaforo sono un favore all’industria. Il vero favore al consumatore sarebbe un’etichetta che indichi chiaramente trattarsi di un alimento ultra trasformato.
Adriano Cattaneo, non ci vuole molto a capire quali sono gli alimenti ultra trasformati. Praticamente tutti quelli che non hanno più le caratteristiche “integrali” dell’ingrediente base e combinati con additivi di vario genere. Tra gli adittivi rientrano anche il semplice sale e zuccheri. Praticamente il 90% di ciò che mangiamo. Per capire meglio basta leggere le etichette
Ma qual è il discrimine tra “trasformato” e “ultratrasformato”?
Ad esempio, le melanzane alla parmigiana che mi faccio in casa sono “trasformate” o “ultratrasformate”?
Brevemente: tagliere a fette le melanzane, lasciarel per un po’ sotto sale per togliere parte dell’acqua, asciugarle, impanarle con pan grattato e uovo sbattuto, friggerle, raffreddarle, impilarle in una pirofila alternate con passata di pomodoro e fette di mozzarella, cospargere infine di parmigiano e infornarle.
Non sono industriali ma sono piuttosto elaborate…
Il sistema più utilizzato per definire il livello di trasformazione degli alimenti è il sistema NOVA, che distingue quattro gruppi di prodotti: 1) alimenti non trasformati o minimamente trasformati (frutta, verdura, latte, carne, pesce, ecc); 2) ingredienti culinari (zucchero, sale, pepe, ecc); 3) alimenti trasformati; 4) alimenti ultra-trasformati.
Secondo questo sistema sia gli alimenti trasformati sono prodotti a utilizzando ingredienti del primo e del secondo gruppo, utilizzando metodi di lavorazione e cottura tradizionali, che impieghiamo normalmente nelle nostra cucine.
La differenza con gli ultra-trasformati sta nel fatto che questi ultimi spesso contengono anche additivi e sono prodotti mediante tecniche e lavorazioni prettamente industriali.
Quindi di uno stesso alimento, come una parmigiana di melanzane confezionata, può esistere sia una versione ‘trasformata’ che una ‘ultra-trasformata’ a seconda degli ingredienti e dei processi produttivi utilizzati.