Per convincere le persone ad assumere meno sale, può essere molto efficace intervenire direttamente sulle comunità, laddove gli alimenti sono preparati prevalentemente in casa, con programmi articolati e prolungati nel tempo. Lo dimostra il caso della Cina, paese che ha un elevatissimo consumo pro capite di sodio, pari a circa il doppio delle dosi consigliate dall’OMS (meno di 5 grammi di sale al giorno, o 2 grammi di sodio), e dove il sale viene prevalentemente aggiunto durante la cottura, che resta la modalità principale di preparazione (del 76% del totale del cibo consumato). Al contrario, nella maggior parte dei paesi occidentali, il sale è assunto soprattutto tramite il cibo industriale pre-cucinato o comunque lavorato, che rappresenta una porzione molto rilevante della dieta quotidiana.
Così, in Cina da tempo sono attivi programmi locali, e uno di essi è diventato uno studio che ha fornito risposte interessanti. Per circa 14 mesi, tra ottobre 2018 e dicembre 2019, 60 comunità di dieci province hanno preso parte al progetto; all’interno di ciascuna di esse, sono state selezionate 26 persone appartenenti a 13 famiglie (due per famiglia, di cui una era quella che si occupava della preparazione del cibo), che sono state poi, in maniera casuale, o lasciate alle loro abitudini, oppure a ricevere “interventi” per 12 mesi. Tra questi ultimi vi erano sei sessioni sull’importanza di ridurre il sale, la realizzazione di supporti esterni tra i quali video, podcast, manifesti e materiali informativi di vario tipo, la fornitura di cucchiai di dimensioni ridotte, per aiutare le famiglie a dosare quantità corrette di sale, e la creazione di un ambiente comunitario generalmente consapevole e favorevole alla campagna. I provvedimenti sono stati leggermente modificati in base alle comunità, dal momento che ne sono state incluse alcune molto isolate, che non avevano facile accesso ai materiali video o ai podcast. Accanto a ciò, i partecipanti sono stati controllati ogni settimana, attraverso il peso del sale e dei condimenti salati consumati. Per verificare nel modo più affidabile l’effettiva riduzione di consumo, durante i 12 mesi è stata dosata la concentrazione di sodio nelle urine delle 24 ore agli oltre 700 partecipanti ai gruppi di controllo e agli altrettanti membri dei gruppi di intervento che hanno portato a termine il programma rispettando tutti gli impegni previsti.
I risultati, riportati sul British Medical Journal, hanno dimostrato che l’intervento ha avuto successo, perché il sodio nelle urine delle 24 ore è passato da circa 4.300 a circa 3.900 mg per il gruppo di intervento, e da circa 4.400 a circa 4.300 per il gruppo dei controlli. Chi è stato sottoposto al programma, in media, ha escreto 336 grammi in meno nelle 24 ore: un valore significativo. Le misurazioni della pressione, del resto, sono cambiate, anche se di poco, e cioè la diastolica è scesa, in media, di 2 millimetri di mercurio, la diastolica di 1,1. Inoltre – ed è l’effetto forse più importante – la consapevolezza e l’atteggiamento nei confronti del problema dell’eccesso di sale e della possibilità di ridurlo sono aumentati in misura evidente, tra coloro che hanno preso parte al “trattamento”, e i comportamenti, di conseguenza, sono cambiati, a quanto pare stabilmente, diventando abitudini migliori.
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Giornalista scientifica