Non c’è tempo da perdere. Non poteva essere più chiaro di così il titolo di un nuovo documento sul tema dell’antibiotico-resistenza pubblicato poche settimane fa da un gruppo di lavoro internazionale delle Nazioni Unite. Documento che intende essere una potente chiamata alle armi per affrontare una volta per tutte “una crisi globale in grado di minacciare un secolo di progressi in ambito sanitario”. Il riferimento è a quei 700 mila decessi all’anno in tutto il mondo per infezioni resistenti ai farmaci e in particolare agli antibiotici, che rischiano di diventare 10 milioni all’anno nel 2050, se non si fa subito qualcosa per arginare la situazione.
Il problema non riguarda solo paesi a basso reddito e scarse condizioni igieniche: secondo le stime dell’Ocse, in assenza di interventi, tra il 2015 e il 2050 2,4 milioni di persone potrebbero perdere la vita in Europa, Nord America e Australia a seguito di infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici. Proprio in Italia la situazione è più allarmante che mai, con poco meno di 11 mila decessi l’anno e la previsione di 450 mila morti nei prossimi trent’anni.
Il cuore della questione è semplice: disponevamo di farmaci importantissimi per la lotta contro le malattie infettive – umane ma non solo: pensiamo per esempio agli animali d’allevamento dai quali tanto dipendiamo – che però poco a poco stanno diventando inefficaci perché i microrganismi contro i quali sono diretti sviluppano delle resistenze. “Livelli allarmanti di resistenza – riferisce il rapporto delle Nazioni Unite – sono stati rilevati in molti paesi, con il risultato che malattie comuni e finora tutto sommato innocue stanno diventando intrattabili e che procedure mediche salvavita (come i trapianti, NdR) stanno diventando sempre più rischiose da svolgere”. La posta in gioco è altissima: oltre alla perdita massiccia di vite umane, la diffusione dell’antimicrobico-resistenza potrebbe portare anche a danni economici massicci, paragonabili a quelli provocati dalla crisi finanziara globale del 2008-2009. “Un effetto dovuto all’aumento delle spese sanitarie, all’impatto sui sistemi produttivi alimentari e all’aumento di povertà e disuguaglianze sociali”.
Per prima cosa il documento appena rilasciato fa il punto sui diversi fattori che contribuiscono a questa situazione di crisi, a partire dall’uso inappropriato di antibiotici per la salute umana. Per paesi ad alto reddito come l’Italia questo significa che spesso gli antibiotici sono usati quando non dovrebbero (l’esempio classico è quello degli antibiotici presi per l’influenza, che però è un’infezione virale), con dosaggi e tempi terapeutici scorretti o in generale in modo poco scrupoloso (preferendo prodotti di ultima generazione, da utilizzare invece con il contagocce per evitare nuove resistenze, anche quando andrebbero benissimo farmaci classici). Nei paesi a basso reddito uso inappropriato significa anche ricorso ad antibiotici contraffatti a basso costo, spesso contenenti dosi così piccole di principio attivo da favorire lo sviluppo di resistenze.
Ma la malagestione degli antibiotici riguarda anche gli animali, soprattutto quelli d’allevamento: sappiamo bene che per decenni gli antibiotici sono stati impiegati negli allevamenti intensivi come promotori della crescita o per prevenire le infezioni, anche se oggi queste pratiche sono vietate in molti paesi (ma non in tutti). D’altra parte, il rapporto delle Nazioni Unite segnala che ben 39 su 146 paesi interpellati in merito non sono stati in grado di fornire dati sull’uso degli antimicrobici negli animali. Non è tutto: sotto accusa ci sono anche la diffusione di antibiotici nell’ambiente attraverso le acque reflue di aziende farmaceutiche e allevamenti e lo scarso accesso, nei paesi in via di sviluppo, a condizioni igieniche e strumenti (per esempio vaccini e test diagnostici rapidi ed economici) che possono prevenire o ridurre la diffusione di malattie infettive tra esseri umani e animali.
Inquadrato il problema, il documento passa alle proposte di soluzioni. Da mettere in campo il prima possibile perché, come viene ripetuto, non c’è davvero più tempo da perdere. Il primo passo è che siano i singoli paesi a prendere coscienza del problema (non tutti l’hanno fatto) e a cercare soluzioni, attraverso l’attivazione di Piani nazionali di contrasto all’antibiotico-resistenza (il Piano italiano è stato attivato nel 2017, per il triennio 2017-2020). Sempre a livello nazionale, gli esperti delle Nazioni Unite invitano a impegnarsi a bandire l’utilizzo degli antibiotici come promotori della crescita negli allevamenti, a partire da quelli che l’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato come agenti criticamente importanti (in sostanza perché sono dei salvavita, e se si sviluppassero resistenze anche nei loro confronti saremmo nei guai anche più di quanto già lo siamo).
Altro intervento necessario, secondo il documento, è la promozione della ricerca e dello sviluppo di nuovi antibiotici. D’altra parte, la crisi attuale è tale non solo perché i farmaci disponibili stanno diventando resistenti, ma anche perché non ne disponiamo di nuovi, possibilmente con nuovi meccanismi d’azione. La questione è complessa, perché di fatto gli antibiotici non sono considerati redditizi da parte delle aziende farmaceutiche: a fronte di un costo elevatissimo di sviluppo, i guadagni sono in genere molto bassi, perché questi farmaci sono utilizzati in genere per brevi periodi. Inoltre, le agenzie sanitarie nazionali e internazionali raccomandano a medici e veterinari di prescrivere in prima battuta gli antibiotici più vecchi, per salvaguardare i pochi nuovi disponibili, riducendo ulteriormente la possibilità di diffusione sul mercato. Da qui l’appello a governi, privati, filantropi per aumentare gli investimenti nel settore, pur senza entrare nei dettagli di quali potrebbero essere gli strumenti più opportuni per incentivare questo sviluppo (oggetto per altro di un ampio dibattito tra esperti di economia sanitaria, come racconta il libro, non tradotto in italiano, Superbugs, an arms race against bacteria).
Infine, il documento invita a rafforzare le collaborazioni a livello locale, nazionale e globale per affrontare il tema dell’antibiotico-resistenza in un’ottica il più possibile One-health, che tenga cioè conto delle profonde connessioni esistenti tra salute umana, salute animale e ambiente, e invita alla creazione di un organismo sovranazionale indipendente con gli stessi obiettivi. Qualcosa di simile all’Intergovernmental Panel on Climate Change creato sempre dalle Nazioni Unite per affrotare l’altra grande emergenza dei nostri tempi, il riscaldamento globale.
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giornalista scientifica
Con una coscienza collettiva sempre più flebile sara’ difficile organizzare una collaborazione globale.
Specie con gli Stati sempre più deboli, e i privati facoltosi che non pensano al bene pubblico.
I miliardi per gli armamenti si trovano sempre però.
Si capisce anche in questo caso come la nostra specie presto o tardi è sempre destinata a estinguersi, come le civilta’ antiche, non impariamo mai niente!