Nel 2020, tra difficoltà, preoccupazioni e incertezze, gli italiani hanno spesso scelto alimenti rassicuranti. Uno di questi è la pasta, piatto nazionale per antonomasia, base versatile per le preparazioni più semplici, ma anche per i ricette più elaborate, tradizionali o innovative. Lo confermano i dati resi noti dall’Unione italiana food lo scorso 25 ottobre, in occasione dell’ultima edizione del World Pasta Day: con un consumo pro capite superiore ai 23 chili, abbiamo mantenuto saldamente il nostro primato di principali consumatori al mondo. Quello appena trascorso è stato un anno record per i consumi domestici e ha portato nelle dispense italiane quasi 4 milioni di tonnellate di pasta, 50 milioni di confezioni in più rispetto all’anno precedente. Nel 2021, con la fine del confinamento in casa, si è registrata una prevedibile riduzione rispetto ai numeri eclatanti dell’anno precedente, ma l’associazione prevede che i valori risulteranno comunque in linea, o superiori, rispetto a quelli del 2019.
Il record dell’anno passato non riguarda però in particolare i consumi nazionali, ma anche e soprattutto le esportazioni, alle quali è stata destinata più della metà della produzione nostrana (62%). Grazie a tale quota, nel 2020 un quarto di tutta la pasta consumata nel mondo è stata italiana e, sebbene i primi sette mesi del 2021 facciano registrare un calo anche su questo fronte, il confronto con il periodo pre-covid mostra comunque un incremento notevole (+13%). Rispetto a due anni fa, il saldo resta quindi positivo, in particolare verso alcune delle principali destinazioni, come Germania, Francia, Giappone e, soprattutto, Usa, mentre è diminuito l’export verso il Regno Unito. Spiccano in questo contesto i casi di Corea del sud e Olanda, che quest’anno hanno consumato più pasta italiana rispetto all’anno scorso.
Tra i motivi di tale successo, alla tradizione e alla qualità che storicamente contraddistingue la nostra produzione, si è aggiunta recentemente una forte spinta all’innovazione, che ha adeguato l’offerta ai nuovi bisogni e alle tendenze dei consumatori, come la pasta senza glutine o quella fatta con materie prime proteiche o che promuovono la riscoperta di grani antichi. A questi elementi va poi sommato il valore aggiunto di un buon profilo nutrizionale e di un basso impatto ambientale. Riguardo al primo aspetto nel 2021, per il quarto anno consecutivo, l’Us News & World Report ha eletto la Dieta mediterranea, che ha nella pasta un elemento imprescindibile, come migliore dieta al mondo. Si riconosce inoltre sempre più spesso a questo alimento anche il carattere di scelta alimentare sostenibile sotto il profilo dell’impatto ambientale. La pasta ha infatti una ridottissima impronta ecologica (150 g di CO2 equivalente per porzione), che può essere ulteriormente diminuita scegliendo di impiegare i nuovi modi ecosostenibili per preparla, come la cottura passiva a fuoco spento e la pentola a pressione, che permettono di ridurre i consumi di acqua (80-100 litri in meno all’anno) ed energia.
Occorre infine considerare la questione dei costi. Senza dubbio la pasta è apprezzata anche perché garantisce un pasto soddisfacente con una spesa alla portata di tutti. Su questo aspetto, però, pesa oggi lo spettro di un incremento dei prezzi dovuto alla crisi delle materie prime. Prosegue infatti ininterrottamente la galoppata senza precedenti delle quotazioni del frumento duro, materia prima della pasta per antonomasia. A metà ottobre, sul mercato di Foggia, si sono raggiunti i 540 euro a tonnellata, con un incremento dell’80% rispetto ai valori di inizio luglio e addirittura un raddoppio rispetto al 2020. È poi ancora più marcata la crescita dei prezzi del grano duro di importazione, che supera ormai 600 euro a tonnellata. Questo, in aggiunta all’incremento dei costi dell’energia, della logistica e delle materie prime per le confezioni (carta e plastica), rischia di tradursi in un aumento dei prezzi al consumo. Finora, però, l’Istat ha registrato un incremento modesto. Per la categoria pasta (fresca, secca e cous cous) si registra infatti una crescita del 2,8% (dato settembre del 2021 vs settembre 2020), mentre per il pane fresco, fatto però prevalentemente con grano tenero, l’aumento è anche inferiore (0,8%).
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