Quanto sanno le persone (e, nello specifico, gli americani) della qualità della loro dieta? E le informazioni di cui dispongono sono corrette? In un’epoca in cui il cibo è il grande protagonista della comunicazione, in televisione e su internet, così come nei libri e nei post degli influencer, si potrebbe pensare che le conoscenze di base siano discrete, e che siano aumentate negli ultimi anni. E invece, almeno per quanto riguarda i cittadini statunitensi, la realtà è molto diversa: gran parte delle persone non è capace di valutare correttamente la qualità della propria dieta. Lo hanno scoperto, non senza sconcerto, i ricercatori dello USDA Agricultural Research Service, che hanno presentato il risultato della loro indagine a Nutrition 2022, il meeting annuale dell’American Society for Nutrition che si è svolto dal 14 al 16 giugno.
Gli scienziati hanno scelto un campione già sensibilizzato sul tema: quello dei quasi 10mila americani che stanno prendendo parte alla rilevazione chiamata National Health and Nutrition Examination Survey, nella quale ogni due anni viene chiesto loro di riferire ciò che mangiano nell’arco di una giornata e di attribuire poi un giudizio alla qualità rispondendo a una sola, semplicissima domanda, e cioè: quanto pensate sia sana la vostra dieta? I partecipanti possono rispondere scegliendo tra le opzioni: eccellente, molto buona, buona, discreta, o scarsa. In questo caso, sono stati analizzati i dati relativi alle rilevazioni del 2015-2016 e del 2017-2018, e poi i dati oggettivi sulla qualità degli alimenti consumati sono stati confrontati con le risposte date dai partecipanti.
Abbastanza impressionante il divario emerso tra realtà e percezione: su oltre 9.700 persone che hanno risposto, oltre 8mila (pari all’85% del campione) hanno sbagliato valutazione e, tra chi lo ha fatto, il 99% pensava di mangiare meglio di quanto non facesse realmente, cioè che la sua alimentazione fosse di qualità più elevata rispetto alla realtà. Un po’ a sorpresa, è poi emerso che chi mangia peggio è molto più consapevole: tra di essi la percentuale di partecipanti che ha espresso una corretta valutazione è stata del 97%, mentre tra chi mangiava meglio, le risposte esatte sono state comprese tra l’1 e il 18% al massimo, quasi come se la loro alimentazione di qualità fosse una fortunata coincidenza.
Ora gli autori intendono approfondire diversi aspetti cruciali: in che modo le persone si formano un giudizio sulla qualità del cibo, attraverso quali canali di informazione, e dando importanza a quali parametri? Per esempio, valutano se un alimento ha subito o meno una lavorazione industriale? Tengono conto dei consigli delle linee guida e degli esperti? E quando si esprimono, in quale misura ciò che dicono è frutto dei loro desideri e quanto di un resoconto fedele di ciò che accade? Individuare i punti più deboli è il primo ineludibile passaggio per cercare di migliorare la situazione.
Ma questi dati hanno anche un’implicazione più preoccupante, dal punto di vista degli studi sul cibo e sul rapporto tra dieta e salute. Negli ultimi anni, infatti, molti di essi, anche di grandi dimensioni, si sono basati, in parte, su opinioni espresse da chi vi prendeva parte. La domanda quindi è: quanto i risultati sono stati compromessi o distorti da giudizi errati? E che cosa fare per ovviare? C’è insomma ancora molto da capire, e occorrerà tanto lavoro per giungere a risposte chiare che permettano di prendere provvedimenti efficaci.
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Giornalista scientifica