Una recente indagine dell’associazione animalista Essere Animali ha acceso i riflettori sugli allevamenti di suini, mettendo in luce situazioni in cui questi vivono in condizioni atroci. Anche considerando che si tratti di casi eccezionali, è inevitabile chiedersi come questi animali trascorrano la loro vita e quale tipo di benessere venga garantito. I requisiti relativi al benessere degli animali allevati a fini alimentari sono stabiliti in linea generale da una direttiva europea, recepita dalla nostra legislazione con il D. Lgs. 146 del 2001, che garantisce un livello ‘minimo’ di benessere: nutrimento, riparo dal freddo, assenza di mutilazioni e di altre sofferenze. Esistono poi norme specifiche per le diverse specie e il riferimento per i suini è la Direttiva del Consiglio europeo 2008/120/EC.
L’allevamento dei suini in Italia
In Italia, l’allevamento dei suini è orientato principalmente alla produzione di salumi. Gli allevamenti conferiscono gli animali ai macelli, che poi smistano le varie parti per destinarle alla produzione di salumi o al consumo come carne fresca. Secondo la Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, nel nostro Paese, al 30 giugno 2024 erano presenti circa 93 mila allevamenti di suini destinati alla produzione alimentare, per un totale di 8,5 milioni di capi. La maggior parte di questi è allevato con modalità ‘stabulata’, cioè all’interno di una stalla, generalmente divisi gli uni dagli altri da bassi recinti. Meno dell’1% dei suini sono allevati in modo semibrado cioè possono avere accesso a spazi esterni come boschi o terreni incolti, dove possono trovare almeno una parte del loro nutrimento.
I maiali sono animali intelligenti, per stare bene devono interagire con i propri simili e avere a disposizione un ambiente stimolante. Quali sono le condizioni effettive dei suini negli allevamenti? Ne abbiamo parlato con Sara Nicolini del Settore alimentare di Compassion in world farming (CiWF).
Le criticità del settore secondo CiWF
“La legislazione europea sul benessere animale è ormai vecchia di oltre trent’anni, anche se vi sono state integrazioni – dice Nicolini – e non riflette le conoscenze attuali sviluppate dalla scienza né la crescente sensibilità delle persone verso il trattamento degli animali allevati. Gli ambienti in cui vivono i suini sono spesso spazi ristretti con pessima ventilazione, dove non viene fornito loro alcun materiale per sdraiarsi (la lettiera) o da manipolare, che consenta di esprimere i loro comportamenti naturali.“
“A causa della frustrazione e della mancanza di stimoli, – continua Nicolini – gli animali finiscono per mordersi le code a vicenda, motivo per cui queste vengono loro tagliate nei primi giorni di vita. Questa pratica, insieme al taglio o limatura dei denti, è stata vietata a livello sistematico dall’Unione Europa ma continua a persistere tramite deroghe. La castrazione senza anestesia e analgesia purtroppo è ancora consentita nei primi sette giorni di vita del suinetto e si verifica regolarmente nella maggior parte degli allevamenti.”
“Una problematica particolarmente grave riguarda poi le scrofe, – prosegue Nicolini – che passano gran parte della loro vita in gabbie che limitano i loro movimenti al punto che non possono nemmeno girarsi o costruire un nido prima del parto, causando loro grande disagio e frustrazione. In gabbia non ci può essere benessere animale.”
“Non tutti gli allevamenti stabulati, però, sono equivalenti – continua Nicolini –: esistono differenze significative nelle pratiche di gestione, negli spazi disponibili per gli animali e nei livelli di attenzione al benessere. Alcuni allevamenti adottano misure migliorative, come l’aumento dello spazio per animale, l’uso di arricchimenti ambientali, inoltre in alcuni casi si offre l’accesso a spazi esterni. Proprio quest’anno abbiamo assegnato il premio Good Pig a cinque aziende italiane, dimostrando che un cambiamento positivo è in corso.”
Il benessere dei suini nel gruppo Fumagalli
Un’azienda che si distingue per l’attenzione al benessere animale è Fumagalli Alimentare, gruppo con sede in provincia di Como. Abbiamo intervistato il direttore generale, Pietro Pizzagalli.
“Il gruppo Fumagalli comprende 37 aziende – racconta Pizzagalli – specializzate nelle diverse fasi della filiera dei suini, che seguiamo interamente: riproduzione, allevamenti da accrescimento e ingrasso, macellazione e trasformazione. Da ormai 20 anni dedichiamo una particolare attenzione al benessere animale, in ogni fase della filiera. Le nostre scrofe non sono confinate in box individuali, ma vivono in gruppo, hanno a disposizione una lettiera di paglia in cui possono grufolare e costruire un ‘nido’ quando si approssima il parto. Vivono con i suinetti per quattro settimane, finché questi non raggiungono il peso di circa sette chili. A questo punto i piccoli sono trasferiti in un allevamento da accrescimento in cui raggiungono circa 30 chili, e infine entrano nella fase di ingrasso.”
“I suini entrano nelle diverse fasi insieme ad animali coetanei – spiega Pizzagalli – e questo ci permette di calibrare l’alimentazione in modo graduale e ottimale, al fine di assecondare la capacità di digestione degli alimenti e lo sviluppo ottimale dell’intestino. Questo accorgimento favorisce il benessere e la salute degli animali, per questo, anche se, in caso di bisogno, si utilizzano antibiotici, in realtà questa necessità si manifesta raramente.”
No alle mutilazioni dei suini
“Non effettuiamo il taglio della coda né la limatura dei denti, – continua Pizzagalli – mentre la castrazione viene effettuata sotto anestesia e analgesia, come per gli animali da compagnia. Nella prima parte della loro vita, fino al peso di 30 chili, tutti questi suini hanno a disposizione una lettiera di paglia, mentre nella fase di ingrasso, più difficile da gestire a causa del tipo di alimentazione, attualmente il 70% dei nostri animali è allevato su paglia, ma abbiamo definito un programma per arrivare al 100%. La filiera gode della certificazione Kiwa, organizzazione internazionale che garantisce specifici standard di benessere animale e uso responsabile dei farmaci.”
Che destino hanno i prodotti ottenuti da questi animali?
“Lo scopo principale dell’azienda è la produzione di salumi Dop, in particolare prosciutto di Parma. – Spiega Pizzagalli – Le parti utilizzate come carne fresca sono destinate a gastronomie e macellerie di fascia elevata, mentre i salumi per il 60% sono venduti all’estero, soprattutto nel Regno Unito e in Nord Europa, dove la sensibilità verso il benessere animale è più elevata. In Italia, i salumi e i prodotti freschi (come salsicce) a marchio Fumagalli si trovano soprattutto nei supermercati della catena Esselunga, con claim che evidenziano il benessere animale. Inoltre, produciamo alcuni affettati della linea ‘Patto qualità’ per la catena Iper.”
Manca una certificazione del sistema di allevamento
Insomma, gli allevamenti non sono tutti equivalenti e le diverse aziende possono lavorare in modo più o meno rispettoso.
“Purtroppo – fa notare Nicolini – non esiste un sistema di certificazione che comunichi in modo chiaro queste informazioni ai consumatori. Per questo motivo, è importante informarsi leggendo le etichette o, meglio ancora, cercando dettagli sui siti dei produttori, per trovare maggiori informazioni sulle pratiche di allevamento adottate. Un sistema di certificazione a livelli, come quelli presenti in altri Paesi europei, come l’Olanda con il Beter Leven o la Germania con l’Haltungsform, potrebbe aiutare a dare più trasparenza e orientare meglio i consumatori nella scelta di prodotti che rispettino standard di benessere animale più elevati.”
L’allevamento biologico
L’unica certificazione ‘ufficiale’, normata da uno specifico regolamento (Reg. CE 834/2007 del Consiglio), è quella dell’allevamento biologico. I salumi certificati bio non devono contenere additivi come conservanti o aromi e, soprattutto, devono essere prodotti con carne di suini allevati secondo il disciplinare biologico.
Questo prevede, fra l’altro, che gli animali abbiano uno spazio a disposizione maggiore di quanto previsto per gli allevamenti convenzionali, e che almeno metà della superficie sia coperta da una lettiera di paglia. Le scrofe non devono essere allevate in gabbia ma si sostiene la stabulazione di gruppo. Deve inoltre essere disponibile l’accesso a spazi esterni parzialmente coperti, per proteggere gli animali dal sole e dalla pioggia. Nell’alimentazione è vietato somministrare qualsiasi sostanza che spinga in modo forzato la crescita degli animali. Gli alimenti devono essere da agricoltura biologica ed è vietato l’uso di Ogm. Nel 2023, in Italia, solo 54mila maiali sono stati allevati secondo il disciplinare biologico.
I salumi biologici non si trovano facilmente nei supermercati, mentre sono disponibili nei punti vendita della catena specializzata NaturaSì. Pioniera del settore è stata l’azienda Pedrazzoli, che dal 1996 propone affettati biologici nella linea PrimaVera.
I prezzi
Purtroppo, i prezzi dei salumi bio, sono piuttosto alti e fanno sì che questi rimangano, al momento, prodotti di nicchia. Secondo l’Osservatorio prezzi e tariffe del Ministero delle Imprese e del made in Italy, il prezzo medio del prosciutto crudo a Milano in settembre era pari a circa 36 €/kg (da 16 a 63 €/kg) e quello del cotto circa 26 €/kg (12-42 €/kg). Per il crudo di Parma biologico preaffettato da NaturaSì si spendono circa 100 €/kg, e per il cotto più o meno la metà. Sul sito Esselunga, invece, la pancetta stagionata a marchio Fumagalli, prodotta nel rispetto del benessere animale, si trova a circa 36 €/kg, in linea con prodotti analoghi, come il bacon a marchio Citterio.
Ognuno di noi, quando fa la spesa, sceglie come spendere i propri soldi e molti sono disposti a spendere qualcosa in più per garantire maggior benessere agli animali allevati. Per farlo però è necessario poter distinguere le modalità di allevamento. È ormai urgente, quindi, l’introduzione di una etichettatura che garantisca trasparenza.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, Gruppo Fumagalli, AdobeStock
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Bel articolo ,informazioni utili; c’è una bella differenza tra la 1a e la 2a foto! È evidente il malessere dell’animale nella 1a e il benessere nella 2a; e mi chiedo: perché dev’essere lasciata alla sensibilità dell’allevatore il trattare bene con rispetto gli animali o no! ;
non è un regolamento che dovrebbe dettare lo spazio necessario xche un animale si possa muovere comodamente, essere pulito ecc…..sembra il minimo che si possa richiedere x aver il coraggio di definire il prosciutto italiano : “eccellenza italiana” !!!
E i veterinari non possono denunciare queste cose e sensibilizzare x migliorare!?
A seguito di vari articoli ed inchieste, sto evitando di mangiare carne il più possibile; ovviamente eliminarla del tutto é qualcosa di molto improbabile. Grazie alle vostre informazioni ora posso orientarmi in maniera più consapevole: spenderò di più e mangerò di meno ovviamente.