Nei bambini sotto i due anni l’allergia alle proteine del latte è un problema diffuso, che porta al consumo di latte speciale o costringe le mamme che allattano a diete restrittive, eliminando i latticini per evitare il passaggio di queste proteine nel latte materno. C’è però chi pensa che questo disturbo potrebbe essere sovradiagnosticato. È quanto emerge da uno studio appena pubblicato sulla rivista Clinical & experimental Allergy che ha come primo firmatario Robert Boyle dell’Imperial College di Londra. In questo caso non si tratta di una sperimentazione, ma di uno studio realizzato con un metodo che coinvolge un gruppo di esperti qualificati e indipendenti, escludendo interazioni con i rappresentanti delle aziende che producono latte speciale o ne promuovono il consumo. Il metodo utilizzato (Delphi) agevola il raggiungimento un accordo tra persone qualificate. In base a tale procedura gli esperti sono arrivati alla conclusione che la diagnosi di allergia al latte è probabilmente troppo diffusa e spesso non sufficientemente motivata.
Ne abbiamo parlato con Maurizio Mennini, dirigente medico presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e segretario per l’area delle malattie correlate agli alimenti della Sigenp (Società italiana di gastroenterologia epatologia e nutrizione pediatrica). “Il problema – spiega Mennini – riguarda tutti i paesi sviluppati, incluso il nostro, perché quella alle proteine del latte è l’allergia alimentare più diffusa del mondo occidentale”. Attenzione, però, a non confonderla con l’intolleranza al lattosio, che è un disturbo legato all’apparato digerente e deriva dall’incapacità di digerire lo zucchero del latte, per la scarsa produzione di un enzima specifico. “La reazione allergica riguarda il sistema immunitario e può provocare sintomi cutanei, respiratori e sistemici immediati e cronologicamente riferibili all’assunzione dell’alimento”, prosegue lo specialista. Si parla di allergie ‘IgE mediate’ (mediate dalle immunoglobuline E) quando la reazione è causata da anticorpi specifici ed è relativamente facile da confermare con test allergologici cutanei (prick test) o il dosaggio degli anticorpi nel sangue. “In questi casi – sottolinea Mennini – la soluzione è l’eliminazione delle proteine del latte, con il ricorso a latte speciale riformulato, prezioso per i soggetti che soffrono di questa patologia”.
Esistono diversi tipi di latte in polvere acquistabili in farmacia e nettamente più costosi del latte vaccino. Ci sono quelli idrolisati, in cui le proteine del latte sono scomposte in piccoli peptidi e, nei casi in cui anche questi provochino reazioni, le formule a base di aminoacidi, ancora più costose, oppure le formule a base di proteine vegetali. “Bisogna fare attenzione – spiega Mennini – perché le formule a base di proteine vegetali vendute in farmacia non hanno niente a che vedere con le bevande vegetali acquistabili al supermercato e per il loro acquisto non esiste nessuna forma di rimborso”. L’unico prodotto rimborsabile per chi ha questo tipo di allergia è infatti l’adrenalina autoiniettabile in caso di reazioni anafilattiche. La gestione della patologia è quindi particolarmente complessa. “Fortunatamente l’allergia al latte, come quella al grano e alle uova, scompare in genere entro i tre/cinque anni di età – osserva lo specialista – e non ci sono contrasti in merito nella comunità scientifica”.
La questione si fa invece più complessa quando si parla di allergie ‘non IgE mediate’, per le quali non esiste ancora accordo sulle metodologie diagnostiche o sulla causa. È proprio in questo caso che, secondo lo studio, può esserci un eccesso di diagnosi. “In genere – spiega Mennini – si ipotizza che anche queste allergie possano essere provocate da una reazione del sistema immunitario, ma non esistono esami specifici per confermarlo. Inoltre i sintomi spesso non sono immediati, sono molto vari e di difficile catalogazione”. Un elemento proposto dalla comunità scientifica gastroenterologica per verificare un sospetto diagnostico, in questo caso, è il questionario denominato CoMiSS. “Il CoMiSS diagnostica queste forme di allergia in base ai sintomi e recentemente il punteggio da totalizzare per ottenere la diagnosi è stato anche abbassato, rendendo ancora più numerose le diagnosi”, spiega Mennini. Tale sospetto diagnostico, per essere confermato, dovrebbe poi passare anche attraverso periodi di dieta priva di proteine del latte per verificare la scomparsa dei sintomi.
Il problema, a quanto emerge dallo studio, è che è difficile attribuire a una causa specifica disturbi diversi tra loro e molto comuni per i bambini piccolissimi come coliche, rigurgiti o rifiuto del cibo. “È vero per esempio che nella malattia da reflusso gastroesofageo del lattante, se altri rimedi non funzionano, le formule speciali possono dare beneficio, ma in questo caso la possibile causa è da ricercarsi nella veloce digeribilità delle formule idrolisate – ricorda Mennini –. Non dimentichiamoci poi che le diete per verificare la presenza di un’allergia dovrebbero essere temporizzate, valutando se il ritorno a un’alimentazione normale provoca la ricomparsa dei sintomo. Spesso invece si tende a modificare l’alimentazione una volta per tutte”. Questo tipo di verifica è necessario anche nel caso in cui i sintomi si manifestino in un bambino allattato al seno. “Se l’allergia è confermata – ricorda lo specialista – l’unico rimedio è escludere dalla dieta della mamma latte e derivati, una decisione impegnativa, non solo per la complessità di questo tipo di dieta, ma anche per il rischio di provocare nella donna che allatta carenze nutrizionali, in particolare per quanto riguarda il calcio”. Il merito dello studio è quindi quello di aver fatto emergere un problema complesso, che deve essere valutato con la dovuta cautela e sulla base di informazioni attendibili, senza sottostare ai condizionamenti delle imprese del settore.
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