Gli alimenti ultra-trasformati (definiti così in base alla classificazione NOVA) hanno un effetto diretto sulla salute del cuore e dei vasi sanguigni. E di conseguenza hanno anche un impatto sull’incidenza delle malattie cardio- e cerebrovascolari, e sulla mortalità ad esse associata. La dimostrazione dell’esistenza di un rapporto lineare tra consumo e malattie giunge da uno studio pubblicato Journal of the American College of Cardiology dai ricercatori della New York University School of Public Health.
Gli autori hanno preso in esame i dati di circa 3 mila persone di mezza età (53,5 anni) seguite per 18 anni nell’ambito della ricerca sui figli dei partecipanti al grande studio di popolazione Framingham, così chiamato dal nome della cittadina del New England nel quale si è protratto per decenni. I soggetti seguiti in questo caso erano di entrambi i sessi, in maggioranza caucasici, per due terzi fumatori (attuali o ex) e in un terzo dei casi di livello di scolarità elevata. Per quanto riguarda le malattie, il 5,8% aveva il diabete, il 19% l’ipertensione.
Tutti i partecipanti sono stati invitati a compilare un questionario per un anno, nel quale si chiedeva di indicare se si consumassero alimenti ultra-trasformati con una frequenza da meno di una volta al mese a sei volte al giorno. I prodotti sono stati suddivisi in cinque categorie:
- non trasformati o minimamente trasformati, a cui appartengono cibi animali o vegetali freschi e non lavorati;
- ingredienti culinari lavorati, tra i quali grassi, zucchero, oli e altri ingredienti utilizzati per cucinare;
- alimenti trasformati, che comprende cibi quali il pesce in scatola e formaggi artigianali;
- alimenti ultra-trasformati, cioè i prodotti industriali privi o quasi di alimenti grezzi, preparati con additivi di vario genere;
- preparazioni domestiche, intese come piatti preparati in casa a partire da ingredienti di base, non processati.
Nei 18 anni di osservazione ci sono stati 648 eventi, tra i quali 251 cardiovascolari gravi e 163 malattie coronariche gravi. Confrontando la dieta e i dati clinici, è emerso subito che la maggiore incidenza si riscontra tra coloro che consumavano più cibi ultra-trasformati e che la relazione è lineare. In particolare, per ogni porzione in più al giorno si vede un aumento del 7% di una grave malattia cardiovascolare, del 9% di una grave patologia coronarica, e del 5 e del 9% delle rispettive mortalità. Tutto ciò si aggiunge a effetti già noti sul rischio di diabete di tipo 2, ipertensione e obesità.
Anche il pane industriale è risultato associato a effetti visibili, così come le barrette vendute come snack, diversi tipi di cereali da colazione, le carni e i salumi lavorati, e le bevande dolcificate con sostituti dello zucchero e moltissimi altri alimenti. Secondo gli autori ciò è dovuto al fatto che i prodotti ultra-trasformati hanno meno nutrienti (molti sono rimossi o disattivati durante la lavorazione industriale), subiscono modifiche chimico-fisiche e contengono una quantità di additivi i cui effetti sulla salute non sono sempre del tutto noti, soprattutto quando assunti insieme.
Per questo, concludono, e visto che ormai rappresentano il 58% delle calorie medie assunte da ogni americano durante la giornata, bisognerebbe introdurre una tassazione che li renda poco desiderabili. Allo stesso tempo è necessario condurre campagne educazionali, ampliando anche la disponibilità e la promozione di alimenti meno lavorati e più sani, soprattutto tra le fasce di popolazione più disagiate.
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Giornalista scientifica
Aumentare sensibilmente la tassazione a carico dei produttori di cibo ultra-processato, reinvestire in politiche sanitarie.