Le allerta alimentari possono essere dovute a un errore in etichetta, a un documento di accompagnamento non valido… oppure a un problema in grado di provocare serie ripercussioni per i consumatori. Le persone allergiche rientrano tra le categorie più a rischio perché se assumono un prodotto contenente un allergene non dichiarato o frutto di una contaminazione, possono rischiare anche lo shock anafilattico. In Italia sono ancora numerosi casi di anafilassi, in conseguenza della tardiva informazione giunta, oltre tutto, da canali non istituzionali.
Nel corso della manifestazione World Allergen Food, tenutasi il mese scorso a Padova, è emersa l’esigenza da parte delle associazioni delle persone allergiche, di accelerare la diffusione di notizie relative al rischio di allergeni, per etichettatura scorretta o contaminazione involontaria. «Il regolamento europeo – spiega Marcia Podestà, presidentessa dell’associazione Food Allergy Italia – prevede una tutela particolare verso questa categoria “vulnerabile”, perché nel loro caso, quando gli alimenti presentano delle criticità, il pericolo è serio e i tempi sono molto stretti».
In Italia non esiste un sistema di allerta immediata da parte delle autorità, indirizzato alle persone interessate o alle associazioni degli allergici, come invece accade all’estero. «La Spagna – continua Podestà – in questo senso è un Paese virtuoso. L’agenzia per la sicurezza alimentare del ministero della salute iberico si riunisce almeno una volta l’anno con le autorità, le aziende, i rappresentanti dei ristoratori e le associazioni degli allergici per definire le strategie migliori. In questi incontri le parti decidono come gestire le allerta e, di volta in volta, redigono un bilancio delle attività intraprese.» Sul piano pratico le modalità di attuazione sono semplici. «Il Ministero della salute, quando riceve l’avviso di un prodotto con una criticità di tipo allergico, comunica direttamente con l’associazione nazionale degli allergici indicando le caratteristiche dell’alimento per poterlo rintracciare. In questo modo la notizia è diffusa rapidamente e le persone vengono avvisate dall’associazione.» Si tratta di un sistema che nell’era della comunicazione e dell’informatizzazione non sembra così complicato da riproporre anche in Italia.
Il Fatto Alimentare ha chiesto al Ministero della salute se intende sviluppare strategie mirate a velocizzare la diffusione delle notizie di queste particolari allerta, trattandosi tra l’altro di un tema che trova spazio nella bozza delle procedure di richiamo diffusa dallo stesso Ministero nel mese di giugno del 2015. “Il Ministero – spiega l’ufficio stampa – ha predisposto un documento sulle procedure di richiamo che, dopo condivisione con gli Assessorati alla sanità delle Regioni e Province autonome, è stato oggetto di successiva consultazione con gli stakeholder interessati (Associazioni di categoria dei produttori ed Associazioni dei consumatori). Attualmente sono in corso degli incontri tecnici con la Direzione generale dei sistemi informativi di questo Ministero per poter mettere in esercizio la pagina web istituzionale dedicata alla pubblicazione dei richiami di alimenti non conformi da parte degli operatori del settore alimentare (OSA) e rendere quindi pubbliche tali informazioni. Ciò avverrà quando sarà conclusa la fase di realizzazione tecnica della pagina web, presumibilmente nei prossimi mesi.”
Rimaniamo in attesa dei prossimi sviluppi.
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Giornalista pubblicista, redattrice de Il Fatto Alimentare, con un master in Storia e Cultura dell’Alimentazione
Il Ministero della Salute è quello che è, tuttavia considerando che molti consumatori hanno le tessere fedeltà dei supermercati che, con un consenso quasi obbligato e spesso non consapevole, hanno i nostrid ati e le nostre abitudini d’acquisto, mi chiedo perchè la GdO non offra anche degli allerta via Sms ai clienti registrati.
Non è la soluzione, ma è sempre meglio che farsi un giro giornaliero sui siti delle varie catene epr vedere se c’è qualche richiamo.
In attesa, ovviamente, che il Ministero della Salute assolva ai suoi obblighi ovvero di tutelare la salute dei cittadini, anche informandoli in merito alle allerta alimentari.
Non si può fare nei supermercati AL MOMENTO, perché i dati delle tessere sono trattati in forma anonima come da contratto firmato dal cliente. Si fa ed è prassi nei punti vendita cash and carry, dove per legge si deve sapere chi ha acquistato che cosa ai fini della rintracciabilità e in caso di ritiro viene contattato direttamente l’acquirente oltre ad esporre la pannellistica nei p.ti. vendita.
Non si può fare “al momento”, però si potrebbe fare…?
In genere se hai la tessera fedeltà, lasci i tuoi dati, incluso numero di cellulare e indirizzo di posta elettronica, firmando o meno il consenso per essere contattato, direttamente o indirettamente, per cui così come mi mandano le mail con le promozioni oppure gli sconti a me riservati, secondo me potrebbero benissimo inviarmi anche i richiami dei prodotti.
Ovviamente tutti i richiami senza fare riferimento ai miei acquisti e naturalmente previo apposito consenso.
In ogni caso i contratti li fanno gli uomini e la clausole possono essere modificate di comune accordo fra le parti.
Il suo ragionamento è assolutamente condivisibile, ci sono tuttavia 2 problemi: i ritiri si effettuano su base quotidiana, serve del personale per seguirli dal punto di vista della trafila ASL e avvisi sopracitati, aggiungere il servizio proposto è fattibile ma aggiunge tempo e quindi costi alla procedura. In aggiunta si andrebbe a coprire solo la porzione di clientela fidelizzata, senza raggiungere tutti gli altri acquirenti. In secondo luogo a mio avviso tutto dovrebbe partire dal Ministero della salute, solo grazie a una sua pressione sulle aziende al fine di migliorare il “RASFF INTERNO”, si potrebbe arrivare a un cambiamento del modus operandi dei produttori alimentari (non solo GDO).
In fine, considerazione non banale… il Reg. 178/02 esenta l’obbligo di rintracciabilità verso valle a chi rifornisce il consumatore finale. Difficile quindi far digerire alle aziende un costo non previsto dalla legge.