Il sito è insolito: le isole Faroer, nel Mare del Nord. L’obiettivo è ambizioso: sviluppare laggiù impiantiti acquacolture e di lavorazione di alghe (soprattutto Saccharina latissima) destinate a diventare almeno 12 tipologie di prodotti. Si tratta di alimenti come le farine da utilizzare nei sostituti della carne, di materia prima da impiegare nel settore dei cosmetici e nella nutraceutica fino ai mangimi animali e a una serie di materiali per il packaging ecosostenibile. Tutto questo per dimostrare che un’acquacoltura a zero emissioni è possibile, redditizia e aumenta i posti di lavoro.
Prende forma il progetto finanziato con nove milioni di euro forniti dall’Unione Europa nell’ambito del piano Horizon Europe chiamato SeaMark (da Seaweed-Based Market Applications), coordinato dall’Università olandese di Wageningen e dall’Università danese di Aarhus, cui partecipano 25 membri tra i quali la Nofima, azienda che si occupa della commercializzazione di alghe anche alle isole Lofoten, e il gruppo Carlsberg.
Lo scopo di questa fase, che durerà quattro anni, va oltre le finalità prettamente commerciali. L’obiettivo è cambiare radicalmente la cultura europea nei confronti di questa preziosa fonte di proteine, sali minerali e oligoelementi estremamente meno inquinante rispetto anche a coltivazioni come la soia, capace di aiutare il mare a rigenerarsi e di assorbire CO2 dall’atmosfera, nonché fonte di lavoro per le popolazioni locali. Da altre specie di alghe si ottengono fibre alimentari (ottime per la realizzazione di molti prodotti industriali) e fermentate (ideali per i sostituti vegetali della carne), alginati per le aziende alimentari, cosmetiche e farmaceutiche e concentrati di proteine, minerali e vitamine da destinare a numerosi scopi.
Punta sulle macroalghe anche Israele: i ricercatori dell’Università di Tel Aviv e dell’Istituto nazionale oceanografico e imnunologico di Israele hanno infatti sperimentato una nuova tipologia di coltivazione integrata con l’allevamento di pesci. In questo modo si è dimostrato che le condizioni oltre a essere molto vantaggiose dal punto di vista ambientale, arricchiscono significativamente le macroalghe di nutrienti preziosi, fino a renderle a tutti gli effetti superfood.
Il sistema, illustrato su Innovative Food Science & Emerging Technologies, è stato sperimentato sulle specie più diffuse localmente delle alghe dei generi Ulva, Gracilaria e Hypnea, che sono state coltivate vicino agli impianti di acquacoltura, da cui hanno tratto i nutrienti. Calibrando i mangimi dei pesci, è stato possibile ottenere alghe arricchite in iodio, zinco, ferro, proteine, calcio, magnesio, antiossidanti o pigmenti, ideali sia per popolazioni che soffrano di maluntrizione sia per vegani e vegetariani, che rischiano spesso carenze. Dal punto di vista ambientale, al contrario dell’agricoltura in campo, non c’è consumo di acqua fresca né, ovviamente, di suolo, così come non c’è necessità di fertilizzanti, perché questa funzione è assolta dagli scarti dei pesci (fosfati, ammoniaca e nitrati) che oltretutto, in questo modo, non vanno a sovraccaricare le acque circostanti, aumentando il rischio di eutrofizzazione. In più le alghe, che crescono con un’efficienza straordinaria (fino al 25% ogni giorno), risentono molto meno di qualunque coltura terrestre delle condizioni atmosferiche esterne, vantaggio non di poco conto in tempi di eventi climatici sempre più estremi.
Anche secondo i ricercatori israeliani, le alghe, a maggior ragione se arricchite, costituiranno una fonte di cibo fondamentale nei prossimi anni, e saranno accettate prima e più facilmente rispetto ad altre fonti alternative di cibo.
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Giornalista scientifica
In molti paesi le alghe sono da sempre un cibo molto utilizzato e anche io le appezzo, consumandole fin dal secolo scorso.