Bicchieri puliti vuoti sul bancone del bar

L’Oms conferma che l’assenza di tossicità è solo quella del consumo zero, ma minimizzare i rischi per la salute è possibile. Il consumo di alcolici è uno di quei temi su cui da sempre convergono interessi contrastanti e sul quale gli avvertimenti di medici e scienziati si scontrano con le strategie di mercato che esaltano il valore culturale e sociale del bere. Dal canto loro le istituzioni mantengono una posizione ambigua, da un lato promuovendo azioni di sensibilizzazione sui rischi dell’abuso di alcol, dall’altro consentendo la commercializzazione sotto l’egida dello Stato di quella che è a tutti gli effetti una sostanza psicotropa che crea dipendenza ed è connessa a una serie di patologie che possono portare a morte prematura.

Oggi la prospettiva di nuove norme per l’etichettatura delle bottiglie prodotte e distribuite in Unione Europea, ha riacceso il dibattito sull’opportunità o meno di invitare i consumatori a ‘bere responsabilmente’, soprattutto alla luce del fatto che (almeno da 1995, con la pubblicazione dell’European Charter on Alcohol) l’Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito più volte l’impossibilità di stabilire una soglia di consumo di alcol da ritenersi sicura. Anzi, nel documento Alcohol and Cancer in WHO European Region – An appeal for better prevention, l’Oms stabilisce che l’unica dose sicura per la tossicità dell’alcol è zero. Inoltre, respinge l’idea di applicare al consumo di alcolici della teoria del danno lineare senza soglia (LNT), secondo la quale il danno sanitario causato dall’esposizione a una sostanza decresce linearmente al decrescere dell’esposizione stessa.

Vino rosso versato in un calice da una bottiglia
Almeno fin dal 1995, l’Oms ribadisce che non esiste una soglia di consumo sicuro per l’alcol

Come ci spiega la dottoressa Laura Rossi, ricercatrice del Crea (Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione), “l’alcol di per sé è una sostanza tossica, che la Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato nel Gruppo 1 delle sostanze sicuramente cancerogene per l’uomo, al pari di fumo, amianto e radiazioni ionizzanti”. In più molteplici ricerche hanno individuato molte patologie (oncologiche e non) per le quali l’assunzione di etanolo può avere un ruolo favorente. Tra queste l’ultimo studio condotto dai ricercatori dell’Oms e pubblicato a gennaio su The Lancet, che istituisce una relazione tra consumo di alcol e le principali patologie diffuse tra la popolazione e restituisce una stima del rischio sanitario relativo per categorie anagrafiche, considerando fattori come età e sesso, nonché variabili individuali.

I risultati dello studio hanno rivelato che, sebbene in generale il livello di consumo di alcol che riduce al minimo i rischi per la salute sia pari a zero, piccole quantità di alcol consumate regolarmente sono associate a un potenziale effetto protettivo per le malattie cardiovascolari o il diabete di tipo 2 (effetto che scompare nel caso di consumo episodico pesante), senza tuttavia ridurre anche il rischio di cancro. “Per questo il presunto effetto positivo del famoso ‘bicchiere di vino a pasto’ non può essere usato per legittimare il consumo di alcol come strategia di prevenzione per la salute tout court, soprattutto perché non è stata individuata una soglia sotto la quale gli effetti cancerogeni dell’alcol non si manifestano” conclude Rossi.

Ora le linee guida si allontanano dal concetto di ‘consumo responsabile’ per adottare un approccio che invita a limitare al minimo il consumo di alcolici

Alla luce di queste evidenze scientifiche, così come del ruolo culturale e storico-gastronomico degli alcolici che renderebbe insensata una loro assoluta messa al bando, le autorità nazionali e internazionali si sono finora mantenute nell’ambito del cosiddetto principio di precauzione. Vale a dire che, affidandosi al buon senso dei consumatori, si sono limitate a promuovere un consumo ‘consapevole’, ‘responsabile’ e ‘moderato’ degli alcolici.

“Oggi – spiega Rossi – alla luce del crescente problema dell’abuso di alcol soprattutto tra i giovanissimi, questi termini indulgenti non si usano più e le Linee guida per una sana alimentazione si basano piuttosto sulla regola del ‘less is better’ (meno è meglio), cioè invitano esplicitamente a limitare al minimo il consumo di alcolici, a quantitativi che sono consentiti ma non raccomandati. E soprattutto al consumatore si deve fare capire che le bevande alcoliche sono un alimento voluttuario che consumiamo perché ci piace ma non perché ci fa bene”. Spingersi oltre e applicare alla lettera il principio di precauzione, limitandosi a un categorico divieto di bere sarebbe inutile, insensato e (probabilmente) controproducente. Soprattutto alla luce del fatto che, secondo la stessa logica, andrebbe bandita la maggior parte delle attività umane.

Anche le preoccupazioni in merito alla possibile futura applicazione di warnings in etichetta sembrerebbe sovradimensionata: “Fatte salve le legittime obiezioni dei produttori nei confronti di una misura che discrimina in modo ingiusto il frutto di una produzione nazionale d’eccellenza in diversi Paesi, si può supporre che, anche la proposta avanzata dall’Irlanda fosse accolta –spiega Rossi – probabilmente accadrà esattamente ciò che è successo con l’apposizione di esplicite avvertenze in merito ai danni del fumo sui pacchetti di sigarette: esattamente nulla (almeno dal punto di vista commerciale) se non una maggiore trasparenza da parte delle delle aziende produttrici e una maggiore responsabilizzazione del consumatore che, reso davvero consapevole e informato, può diventare davvero più responsabile delle proprie scelte”.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock, Fotolia

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

4.7 3 voti
Vota
1 Commento
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
giova
giova
16 Maggio 2023 13:59

Articolo sintetico ma esaustivo.
Che si conclude con la più ovvia delle valutazioni in merito alla proposta irlandese di etichettattura: e cioè che la comunicazione in etichetta non modifica il comportamento del bevitore (almeno nel breve e medio periodo, forse). Cioè la proposta irlandese è una condizione necessaria (per commercializzare e per informare) ma non sufficiente a promuovere uno stile di vita sano. E questo purtroppo è un punto sul quale si fa pochissimo a fronte di urgenze tra i giovani.