
Altro che “un bicchiere non fa male”: in Italia il consumo di alcol tra adolescenti, giovani adulti e donne ha raggiunto livelli allarmanti. I numeri raccontano una storia di abitudini pericolose, leggi ignorate, e prevenzione clamorosamente assente. Una storia che riguarda più di otto milioni di persone, di cui oltre un milione minorenni, secondo i dati presentati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in occasione dell’Alcohol Prevention Day 2025, che si è tenuto lo scorso 16 aprile.
Bere troppo, troppo presto
Il dato più inquietante riguarda gli adolescenti. Ragazzi e ragazze di 11, 12, 13 anni che bevono come se niente fosse. Ma l’alcol, a quell’età, non si dovrebbe nemmeno assaggiare. E invece tra i 16 e i 17 anni quasi il 40% dei maschi e oltre il 30% delle femmine beve già in modo rischioso. Peggio ancora: decine di migliaia di minorenni si ubriacano volutamente: un fenomeno chiamato binge drinking. Spesso succede nel parcheggio prima di entrare nei locali, nei parchi, o durante ‘innocenti’ feste a casa. Nessuno controlla, tutti chiudono un occhio. La legge vieta la vendita di alcolici ai minori, ma nella realtà la norma non è applicata con dovizia.
Le ragazze: più vulnerabili, più coinvolte
Le donne sono fisiologicamente più sensibili agli effetti negativi dell’alcol. Eppure, sono sempre più numerose le consumatrici che bevono per ubriacarsi: oltre 1,2 milioni in Italia. Tra le adolescenti il binge drinking è aumentato dell’80% in dieci anni. Il rischio non è solo per il fegato: anche un consumo moderato aumenta significativamente quello di sviluppare un tumore al seno. Ma questa informazione arriva a malapena nelle scuole o nelle campagne di sensibilizzazione. Intanto, l’aperitivo post lavoro è diventato un rito sociale e culturale, e anche un’occasione di abuso sottovalutato.
Consumo di alcol fuori pasto e binge drinking: la deriva della normalità
Il consumo di alcol fuori pasto – già più dannoso per la salute – è più frequente, in particolare tra le donne: oggi riguarda quasi una persona su quattro. Il binge drinking non risparmia nessuno. In molte fasce d’età, infatti, cresce anche il numero di chi beve per ubriacarsi, secondo un modello che si è ormai consolidato. Gli anziani, addirittura, sono tra i più colpiti quando si parla di consumo dannoso, cioè quello che ha già provocato danni clinici o mentali.

I numeri che nessuno vuole vedere
Nel 2023, secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’ISS, la situazione non è migliorata. Nessuno degli indicatori è sceso, anzi, alcuni sono peggiorati. I numeri evidenziano chiaramente un problema di salute pubblica e un fallimento del sistema. Dei 780mila italiani che hanno subito danni clinici da alcol, solo l’8,1% riceve cure dal Servizio Sanitario Nazionale. Il resto resta invisibile, senza supporto, in attesa di peggiorare.
Strategia “alcol zero”
Gli obiettivi europei e internazionali – come quelli dell’Agenda 2030 – prevedevano una drastica riduzione dei consumi, ma siamo ancora lontani. Il problema principale resta l’assenza di una strategia nazionale efficace: manca la prevenzione nelle scuole, la regolamentazione del marketing, e un controllo serio sulla vendita ai minori.
Come ricorda Emanuele Scafato, direttore dell’Ona-Iss, servono interventi mirati calibrati su età e genere. Per i giovani serve educazione alla salute, per le donne consapevolezza sui rischi specifici, e per gli anziani un monitoraggio medico. Il messaggio deve essere chiaro e coerente: l’alcol non è innocuo, spesso è sottovalutato, normalizzato, e banalizzato. Ma i suoi effetti, purtroppo, non lo sono affatto.
Note
- Consumo a rischio: è un’assunzione di alcol che, pur non causando ancora danni evidenti, aumenta la probabilità di sviluppare problemi di salute. Per gli uomini, bere più di 14 unità alcoliche (UA) (*) a settimana o più di quattro in un’unica occasione; per le donne, più di sette unità settimanali o più di tre per volta.
- Binge drinking: è l’assunzione di una grande quantità di alcol in un breve periodo, con l’intento di ubriacarsi.In Italia, l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità considera binge drinking l’assunzione di oltre 6 unità alcoliche (UA) (*) in un’unica occasione.
- Consumo dannoso: indica un livello di assunzione che ha causato danni fisici o mentali alla persona.
(*) Un’unità alcolica (UA) corrisponde a circa 12 grammi di alcol puro ovvero:
- 1 bicchierino di superalcolico (40 ml di grappa, whisky, vodka ecc.)
- 1 boccale di birra normale (330ml, grado alcolico indicato in etichetta 4,5-5%)
- 1 bicchiere di vino (125 ml, grado alcolico indicato in etichetta 12% circa)
- 1 aperitivo alcolico (esempio Spritz 80 ml circa)
Naturalmente, la quantità di alcol può variare in base alla gradazione della bevanda, quindi non è tanto il volume a contare, ma il contenuto di alcol puro. Per esempio, una birra artigianale al 7% avrà più unità alcoliche della classica bionda al 4,5%.
© Riproduzione riservata Foto: AdobeStock
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
giornalista redazione Il Fatto Alimentare
È una storia bruttissima. Spero che tutte le iniziative volte a diminuire la dipendenza abbiamo un buon successo.
Ho letto un articolo su Quotidiano Sanità.it che riportava anche come esempio un articolo del Fatto Quotidiano,riguardo una Criminologa e Psicologa che mediamente chi entra nel suo studio è una percentuale di ragazzi con un età inferiore ai 16 anni,che fanno abuso di alcool,o mix di alcool e psicofarmaci,droghe sintetiche,acidi,o direttamente in sniffate o in vena,ma l’assunzione di alcoolici è di gran lunga superiore,fino alla totale dipendenza,portandoli ad uno stato di totale assenza, ritrosia ad ogni stimolo di vita,vivono in uno stato di abbandono mentale, che li allontana da se stessi come da tutti,non parlano,non c’è reazione, avulsi,come se avessero tagliato i ponti con la voglia di vivere, è un dato molto triste,e che attualmente non esiste rimedio, perché manca personale che gli possa assistere.