Da tempo esistono sul territorio italiano diverse iniziative di adozione sviluppate da aziende agroalimentari, che offrono ai consumatori dei pacchetti con cui sostenere il proprio lavoro e ottenere in cambio campioni di prodotto. Si tratta di iniziative che ottengono maggiore visibilità soprattutto nel periodo di Natale, visto che si ripropongono come un regalo attento ai gusti di chi lo riceve ma anche con un risvolto etico.
Le iniziative di adozione in gran parte dei casi infatti sono promosse da realtà che oltre al benessere economico dell’azienda si ripropongono obiettivi come la salvaguardia dell’ambiente o la riqualificazione di un territorio, il mantenimento di antiche tradizioni produttive, una particolare attenzione alla qualità del prodotto o al benessere degli animali allevati.
È il caso per esempio di AgerOliva, una start up di Pistoia che si ripropone di salvare gli ulivi abbandonati in Toscana (che secondo stime di Coldiretti del 2015 sono ben 4 milioni) coltivandoli in modo biologico, al fine di recuperare il territorio, creare lavoro nel settore agricolo e minimizzare il rischio idrogeologico. “Ci occupiamo di recuperare olivi secolari, che se seccassero porterebbero a una perdita importante delle loro capacità di assorbire CO2, – spiegano.– I dati dicono che una pianta di ulivo assorbe in media 36 kg di CO2 all’anno, ma vorremmo fare uno studio specifico che dimostri quanto possono assorbire le piante secolari. Si parla molto di piantare nuovi alberi, ma non si tratta di un processo così semplice: noi invece vogliamo dimostrare i benefici che provengono dal recupero di quelli già presenti sul territorio.”
Chi adotta un ulivo da loro oltre a sostenere il progetto riceve anche olio proveniente da piante che erano state abbandonate da chi li ha ereditati senza avere tempo e mezzi per prendersene cura, o da chi ha lasciato l’olivicultura in favore di produzioni più redditizie: “il settore dell’olio sta affrontando da anni una grave crisi economica, ma recuperando paesaggio, territorio e creando lavoro localmente ne beneficia sia la comunità sia il turismo”.
Benché ritagliate sul consumatore, che può così conoscere l’esatta provenienza degli alimenti e sostenere con l’acquisto una specifica modalità di produzione, a queste iniziative contribuiscono anche aziende che cercano regali sostenibili o che vogliono destinare una percentuale del proprio fatturato a progetti di riqualificazione ambientale, come ci spiegano da AgerOliva: “stiamo andando molto meglio del preventivato: siamo sul mercato dal 1° marzo 2021, e abbiamo già superato le 1.200 adozioni e recuperato circa 9 ettari di territorio, sia grazie alle numerose adozioni da parte dei privati ma anche grazie al subentro delle aziende. Una per esempio ha adottato 400 ulivi per un periodo di tre anni”.
Quella dell’adozione in campo agroalimentare è un’idea così diffusa che ormai si possono sostenere un gran numero di produzioni differenti: tra i vegetali per esempio oltre agli ulivi si possono adottare luppoli, castagni, meli, bambù, filari d’uva, gelsi, ciliegi e mandorli, e tra gli animali principalmente quelli da latte, come capre, mucche e bufale, ma anche galline e api. In cambio si ottengono i prodotti relativi all’adozione scelta, e spesso anche aggiornamenti virtuali sulla salute della pianta o dell’animale. Esistono inoltre diverse piattaforme che permettono di ‘adottare’ direttamente un produttore, scegliendo quale tradizione agroalimentare si vuole sostenere. Non mancano infatti i benefici per l’azienda, che può così programmare le attività e avere incassi più distribuiti nel corso dell’anno (la donazione a volte può precedere anche di diversi mesi il momento della raccolta) e vendere direttamente al consumatore finale con maggiore potere decisionale sul prezzo.
Preso nel suo complesso il sistema dell’adozione si muove anche verso obiettivi culturali, promuovendo una filiera più corta e una maggiore trasparenza rispetto alle tecniche produttive utilizzate. Una caratteristica che accomuna questi progetti è infatti quella di organizzare per gli ‘agricoltori adottivi’ iniziative in azienda o sul territorio per conoscere le metodologie di lavorazione e in alcuni casi prenderne parte. Quello culturale è uno degli aspetti che enfatizza anche Marco Bozzolo dell’iniziativa ‘Adotta un castagno secolare’, nella quale chi adotta è sempre invitato a visitare il castagneto in qualsiasi momento dell’anno, oltre che a partecipare alla raccolta: “la maggior parte dei nostri adottanti sono famiglie con bambini piccoli, e per noi è un’occasione importante anche per far capire i tempi della natura. Per esempio spediamo le castagne e la farina nei diversi momenti in cui sono pronti — rispettiamo tecniche contadine che prevedono l’essiccazione delle castagne per 40 giorni — , anche per far capire le fasi e i tempi con cui si svolge la lavorazione”.
Anche in questo caso il progetto nasce da un diffuso abbandono del territorio e di un certo tipo di coltivazione: “i castagni un po’ in tutta Italia si trovano prevalentemente negli ambienti montani, che si sono spopolati dopo il secondo dopoguerra. Basti pensare che il solo Piemonte a inizio Novecento contava 200 mila ettari di castagneto e oggi ne sono coltivati solo 10 mila. Con il nostro lavoro da una parte quindi si recupera la tradizione e si favorisce l’agricoltura e l’economia in questi contesti, dall’altra la pulizia del territorio montano che ne deriva comporta una serie di vantaggi a valle, perché si riduce il rischio di frane e alluvioni. Oggi si pensa al castagneto come un bosco, ma in realtà quando è curato adeguatamente assomiglia di più a un giardino; con questo progetto contribuiamo quindi anche alla bellezza di queste zone, che ha un’importante valenza turistica”.
Anche in questo caso l’iniziativa delle adozioni ha contribuito positivamente alle attività dell’azienda. “Siamo soddisfatti: da fine giugno siamo riusciti a raccogliere circa una cinquantina di adozioni che ci hanno permesso di ripulire un castagneto completamento abbandonato. È stato bello, perché si è trattato di un recupero condiviso”.
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