Quali correlazioni ci sono tra luce e appetito? Da qualche tempo sono noti i collegamenti tra la luce percepita attraverso la vista e lo stimolo della fame. Studi più recenti, ancora in fase sperimentale, dimostrano però anche l’esistenza di ulteriori possibilità di impiego della luce nei disturbi alimentari. Si tratterebbe di un’alternativa più sicura, meno invasiva e altrettanto efficace rispetto alla chirurgia bariatrica attualmente impiegata (che comprende interventi come il pallone endogastrico, il bypass gastrico e il bendaggio).
La nuova soluzione prevede di impiantare nello stomaco un dispositivo che emette una speciale luce in grado di ‘spegnere’ lo stimolo della fame. Questo micro-dispositivo, realizzato dai ricercatori del dipartimento di Energia elettronica e computerizzata dell’istituto di Neuroscienze della Texas A&M University, è stato progettato per agire sul nervo vago, che collega lo stomaco al cervello. La sua realizzazione si deve all’optogenetica, una scienza emergente che integra metodi ottici e genetici per studiare il funzionamento dei neuroni e rendere le cellule nervose sensibili agli impulsi luminosi e quindi controllabili attraverso l’applicazione di tali stimoli.
“In sostanza – spiega Franco Fusi, professore associato di Fisica applicata all’università di Firenze ed esperto di biofisica e fotochimica – si manipola geneticamente un gruppo di neuroni, inserendovi un recettore luminoso che assorbe la luce e provoca una piccolissima scarica elettrica. In questo modo si rende il nervo sensibile alla luce e quindi attivabile o disattivabile attraverso l’uso di stimoli luminosi. La luce emessa da un micro-led all’interno dello stomaco, insomma, agisce su specifiche terminazioni nervose del nervo vago per ‘convincere’ il cervello a elaborare il segnale che blocca lo stimolo della fame”.
Esistono già altri strumenti medici in grado di svolgere la stessa funzione, ma tutti funzionano come una sorta di pacemaker, cioè sfruttano piccole scosse elettriche per attivare le estremità del nervo vago a livello cerebrale e, per farlo, sono dotati di fili che li collegano a una sorgente di corrente. Il nuovo dispositivo è invece molto più piccolo e quindi più facile da impiantare, assomiglia a una piccola antenna dalla punta flessibile lunga un centimetro ed è dotato di speciali microchip connessi a un trasmettitore radio esterno. Anche l’alimentazione è esterna, perciò, quando la frequenza delle onde è appropriata, l’impianto riceve l’energia necessaria ad alimentare il Led, facendolo illuminare.
Sono attualmente allo studio anche prototipi senza batteria, come quello sviluppato dagli scienziati dell’Università del Wisconsin-Madison, che si alimentano grazie ai movimenti dello stomaco. Questa tecnologia all’avanguardia, descritta sulle pagine di Nature Communications, è la prima in grado di intervenire non sul cervello bensì sulla rete neuronale periferica, agendo su recettori diversi da quelli generalmente ritenuti responsabili della sensazione di sazietà.
Identificare e modificare i percorsi neurali periferici che controllano l’appetito permetterebbe di disinnescare in modo continuo il meccanismo della fame compulsiva e favorire la perdita di peso a lungo termine. L’applicazione della luce a scopo curativo non si limita all’ambito del dimagrimento, ma si sta ampliando a diverse branche della medicina. “Più progrediscono le conoscenze in campo optogenetico, neuroscientifico ed elettronico, – spiega Fusi –, più aumentano le opportunità di utilizzare quest’approccio innovativo per correggere disfunzioni organiche e disturbi del comportamento a base biogenetica”.
Il ruolo della luce nella regolazione dell’appetito è nota da tempo ed è per questo che i ristoratori dedicano crescente attenzione all’illuminazione dei loro locali. Alcuni studi, tra cui quello condotto dai ricercatori dell’Arkansas e pubblicato nel 2014 sulla rivista Appetite, dimostrano che la luce blu riduce notevolmente l’appetito, perché altera il colore del cibo rendendolo meno attraente, almeno finché non interviene l’abitudine. “L’applicazione intragastrica di una luce studiata per disinnescare la fame – chiarisce Fusi – risponde naturalmente a un principio diverso, che non ha nulla a che fare con il fenomeno visivo. Tuttavia entrambe le modalità di ‘somministrazione della luce’ fanno capire il ruolo di questo stimolo fisico nella modulazione degli impulsi nervosi responsabili del comportamento alimentare”.
Si basa su questi presupposti la Light Therapy o fototerapia, basata sull’esposizione a una particolare luce artificiale brillante (fino a 20 volte più intensa di quella naturale), che è in grado di riprodurre gli effetti psicofisici attivati dalla radiazione solare e dalla naturale alternanza luce-buio, senza controindicazioni né effetti collaterali. “Questa tecnica aiuta a risincronizzare i ritmi circadiani – illustra Fusi –, modulando il rilascio di melatonina, serotonina e cortisolo nel sangue. Tutti neurotrasmettitori che regolano l’umore, l’alternanza sonno-veglia, ma anche il senso di fame e sazietà, confermando il ruolo della stimolazione luminosa nel determinare i comportamenti umani anche nei confronti del cibo”.
C’è la luce anche alla base di CapsuLight, ‘pillole luminose’ da ingerire. Si tratta di un innovativo trattamento elaborato proprio dai ricercatori dell’università di Firenze e della scuola superiore Sant’Anna di Pisa utilizzando i principi della cosiddetta terapia fotodinamica. In questo caso l’obiettivo non è stimolare il nervo vago, bensì sfruttare l’effetto antibiotico di piccole pillole luminose e deglutibili. “Queste capsule non contengono farmaci – spiega Fusi –, ma emettono luce a determinate lunghezze d’onda che le conferiscono un effetto battericida contro l’Helicobacter pylori, un patogeno che attacca la mucosa gastrica provocando effetti di gravità variabile: dalla dispepsia funzionale (cattiva digestione) alla gastrite, fino all’ulcera peptica o persino al tumore allo stomaco».
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