I cibi sani, di qualità e provenienti da allevamenti che rispettano l’ambiente e il benessere degli animali sono sempre più amati dagli italiani. Ma se la carne di polli allevati con il metodo bio è in continua crescita, le vendite di pesce e molluschi stentano a decollare, tanto che si fatica a trovarli nei banchi dei supermercati.
L’acquacoltura biologica è un settore recente, rispetto al mondo dell’agricoltura. Basti pensare che l’inquadramento a livello comunitario risale a poco più di 10 anni fa, con il Regolamento CE 834/2007. Fino ad allora, gli allevatori potevano fare riferimento a disciplinari privati, frutto della collaborazione tra enti di certificazione e organizzazioni internazionali.
Per questi motivi l’offerta di pesce e molluschi biologici sul mercato italiano è ancora piuttosto carente. Le produzioni rappresentano solo il 3% del totale e sono rappresentate prevalentemente da mitili. Anche la domanda di pesce proveniente da impianti bio è limitata a causa di un’informazione poco chiara. Basta dire che la maggiore parte dei consumatori non conosce le differenze tra pesce allevato in maniera biologica, convenzionale e quello catturato in mare.
Oltre a ciò bisogna considerare le criticità lungo tutta la filiera a partire dalla mancanza di avannotterie certificate bio in Italia, fino allo scarso interesse da parte dei supermercati. La poca attenzione della grande distribuzione è stato l’oggetto di uno studio condotto dai ricercatori del Centro di zootecnia e acquacoltura del Crea.
Il progetto BioBreed-H2O (www.biobreed.it) si è occupato dei problemi che ostacolano lo sviluppo l’acquacoltura bio in Italia, esaminando l’intera filiera che va dall’allevatore al consumatore, per individuare possibili soluzioni. I ricercatori del Crea hanno lavorato insieme a catene di supermercati come Esselunga che, dopo avere messo in piedi una filiera certificata biologica, distribuisce in alcuni punti vendita cozze, vongole, spigole e orate. Altre collaborazioni sono attive con alcuni Gas – gruppi di acquisto solidale – e associazioni dei consumatori.
Con il progetto SANPEI 2 (Sano come un pesce biologico italiano, di cui Il Fatto Alimentare si è già occupato in passato) è stata valutata la possibilità di introdurre il pesce biologico nella ristorazione collettiva. Contemporaneamente, è stato lanciato un progetto educativo negli asili e nelle scuole elementari, per comunicare e abbinare la sostenibilità ambientale e l’educazione alimentare.
Le mense e la ristorazione collettiva possono rappresentare un’occasione importante per lo sviluppo del settore, anche grazie alla nascita delle “mense biologiche”, i cui criteri di certificazione prevedono l’offerta di una quota minima di pesce proveniente da acquacoltura bio (il 50% del totale per ottenere il marchio di eccellenza). C’è di più, le nuove linee guida per i criteri minimi ambientali (CAM) per la stesura degli appalti nella ristorazione collettiva, prevedono un incremento della quota del pesce proveniente da acquacoltura biologica o pesca certificata. C’è però il problema di dover gareggiare con gli allevamenti di Paesi come la Croazia, dove il settore è già affermato.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Dove si può trovare il pesce allevato bio? La coop lo ha?
Ho trovato occasionalmente prodotto bio in Esselunga ed anche qualche referenza pronta in Naturasì a prezzi proibitivi, ma se non viene offerto in modo più diffuso penso proprio che non decollerà mai.
E’ anche l’offerta che genera la domanda che si alimenta se incentivata, perché ritengo ci sia una buona fascia di clientela interessata che però non trova prodotto in vendita.