acqua del rubinetto

Di fronte alle carenze idriche con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni, non è possibile essere schizzinosi: bisognerà abituarsi a bere anche l’acqua riciclata dagli impianti di depurazione, e dobbiamo tutti iniziare a familiarizzare con l’idea. Anche perché già oggi due miliardi di persone, il 70% delle quali residenti in grandi metropoli, prevalentemente in paesi dell’Africa e dell’Asia centrale, occidentale e meridionale, non hanno abbastanza acqua, e l’Onu prevede che entro il 2050 la domanda salirà del 20-30% a livello globale.

Inizia così un lungo articolo pubblicato su Nature nel quale Cecilia Tortajada, dell’Institute of Water Policy della Lee Kuan Yew School of Public Policy dell’Università di Singapore, e Pierre von Rensburg, del Department of Urban and Transport Planning di Windhoek (Namibia), raccontano le storie dei paesi dove la lavorazione delle acque reflue è molto avanzata, e dove percentuali non piccole della popolazione già oggi le usano per tutti gli impieghi domestici, compreso quello potabile.

Negli ultimi anni, spiegano gli autori, diverse città hanno iniziato a riutilizzare l’acqua proveniente dagli impianti di depurazione, che talvolta è l’unica opzione disponibile. Altrove si potrebbe fare lo stesso, ma la rappresentazione negativa data dai media e le informazioni scorrette o carenti fornite dalle autorità preposte hanno spesso generato una tale diffidenza nella popolazione interessata da impedire lo sviluppo di progetti che sarebbero stati all’insegna della sostenibilità.

Per avvicinarsi all’obbiettivo dell’accettazione piena bisognerebbe agire su più fronti, il primo dei quali è quello del trattamento. Oggi nei paesi occidentali la maggior parte delle acque reflue viene lavorata affinché non sia pericolosa, e poi scaricata nel mare o nei fiumi. Ma basterebbe migliorare il processo per poterla riutilizzare anche come acqua potabile, per esempio inviandola a un secondo ed eventualmente a un terzo impianto di depurazione (dopo quello classico) affinché venga trattata con agenti biologici, fisici o chimici in grado di depurarla del tutto. Da lì potrebbe essere reimmessa nel sistema degli acquedotti, oppure scaricata nei mari, nei laghi e nei fiumi, ma con un grado di purezza che la renderebbe indistinguibile da quella di sorgente, con evidenti vantaggi per l’ambiente, per la salute umana e soprattutto per i corsi di acqua dolce.

L’acqua riciclata è il prodotto del trattamento intensivo delle acque reflue

Un altro aspetto sul quale si potrebbe puntare è la conservazione: ovunque i sistemi vanno migliorati, avvalendosi anche di metodi moderni e basati sul controllo da parte dell’intelligenza artificiale, per migliorare la qualità e contenere sprechi e rischi. Allo stesso tempo, la popolazione andrebbe sensibilizzata molto di più affinché riduca gli sprechi, e conosca i benefici ambientali dell’acqua riciclata.

Quest’ultimo punto è particolarmente delicato, e potrebbe essere la chiave di tutto, scrivono gli autori, citando alcuni casi come quello della San Fernando Valley, in California. Lì già nel 1995 era stato proposto un piano per riutilizzare le acque, ma il Los Angeles Times aveva parlato del progetto con toni allarmistici, ripresi da alcuni politici locali, e alla fine l’unico impiego consentito era stato quello agricolo-industriale.

In Australia, nel 2006 i cittadini di Toowoomba (il 62% dei 95 mila residenti) hanno fermato un progetto simile, e nel 2009 è stato bocciato un grande programma, il Western Corridor Recycled Water Scheme, nonostante in quegli anni si fosse registrata la peggiore siccità mai riscontrata nella zona. Il progetto sarebbe costato 1,6 miliardi di dollari e avrebbe fornito 230 mila metri cubi d’acqua al giorno, pari al 30% del fabbisogno della zona, ma la mobilitazione popolare ha posto un limite: l’acqua riciclata per uso domestico avrebbe potuto essere prodotta solo quando i livelli del bacino idrico fossero scesi al di sotto del 40% del normale, ed è diventata quindi solo una sorta di misura di emergenza.

Bisogna quindi lavorare molto e con intelligenza sul fronte dell’informazione al pubblico, perché questo può fare la differenza. Esemplare, in tal senso, quanto accaduto a San Diego, in California, negli anni Novanta, dove era stato proposto un progetto di riciclo volto a diminuire la dipendenza dal fiume Colorado, anch’esso inquinato e soggetto a periodi di siccità ricorrenti e sempre più frequenti. Inizialmente la popolazione lo aveva appoggiato, ma in un secondo tempo l’orientamento era mutato per la scarsità delle informazioni sulla sicurezza fornite, oltreché per articoli e reportage con titoli come “berremo l’acqua di fogna”. Il risultato era stato che, anche in quel caso, era stato permesso solo un uso industriale o agricolo, e il problema dell’approvvigionamento idrico aveva continuato ad aggravarsi. Nel 2004, solo il 26% approvava il riutilizzo delle acque.

Pfas
Diversi progetti per il riutilizzo dell’acqua riciclata sono stati bloccati per l’ostilità e i timori della cittadinanza

Poi la svolta, basata su un’adeguata campagna informativa: nel 2012 la percentuale di cittadini favorevoli era salita al 72% e l’anno successivo la città ha approvato il Pure Water San Diego, un programma grazie al quale gli impianti di depurazione e riciclo dovrebbero produrre 114 mila metri cubi di acqua al giorno entro il 2023, e fornire un terzo dell’acqua necessaria alla città entro il 2035. Il successo è stato possibile grazie al continuo coinvolgimento dei cittadini, dell’amministrazione locale e nazionale, delle aziende coinvolte, di medici e scienziati ambientali, di leader religiosi e, non ultimo, dei media.

Lo stesso è accaduto durante la realizzazione di tre progetti analoghi. Il primo è il caso di Windhoek, in Namibia, città che sorge in una zona desertica, dove i lavori del Goreangab Water Reclamation Plant sono iniziati addirittura nel 1968: oggi l’impianto fornisce alla città il 24% dell’acqua potabile (21 mila metri cubi al giorno), quota che è salita al 30% nel biennio 2014-2016, flagellato da una tremenda siccità durante la quale le fonti normali avevano potuto fornire solo il 10% dell’acqua potabile.

Il secondo è quello della Contea di Orange, in California, nella quale dal 2008 è operativo l’Orange County Groundwater Replenishment System, ovvero il sistema di purificazione delle acque più grande del mondo, che produce ogni giorno 379 mila metri cubi d’acqua. Infine c’è Singapore, che ha lavorato per molti anni al suo NEWater prima di lanciarlo, nel 2003. Oggi il sistema fornisce addirittura il 40% di tutta l’acqua necessaria alla città, potabile e non, e dovrebbe salire al 55% nel 2060.

Va detto – ricordano Tortajada e von Rensburg – che i timori sulla sicurezza delle acque non sono del tutto infondati, e che è necessario quindi lavorare con particolare scrupolo su di esso. Uno dei casi più famosi è quello di Flint, in Michigan, che nel 2014 dovette fare i conti con acqua pesantemente contaminata con il piombo, e casi analoghi si sono avuti negli ultimi mesi in alcune cittadine canadesi. Nel 2019, invece, in alcune città della California l’acqua è risultata contaminata da Pfas. Anche per questo bisognerà mettere a punto sistemi di controllo sempre più efficaci e sensibili per le possibili contaminazioni batteriologiche o virali (in crescita a causa del riscaldamenti globale), ma anche chimiche, poiché è in costante aumento il numero e la varietà delle sostanze che vengono scaricate in acqua (si pensi, per esempio, a detersivi, cosmetici e farmaci).

Ma le esperienze dei paesi più avanzati e attenti dimostrano che fornire acqua riciclata del tutto sicura è possibile, e conveniente per tutti. E presto potrebbe essere necessario.

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gianni
gianni
20 Gennaio 2020 20:13

Proprio così , è ora che anche noi che fortunatamente dimoriamo in un territorio solo parzialmente lambito finora dalla siccità , cominciamo a ragionare sul problema della disponibilità e utilizzo dell’acqua dolce pulita
I cambiamenti climatici alterano le stagionalità spostando i cicli delle risorse idriche e tolgono sicurezze in alcuni territori , siccità e inondazioni sempre più frequenti richiedono già ora una gestione accurata su cui ci giochiamo il futuro.
L’uso oculato, il riciclo, la dissalazione dell’acqua marina, l’estrazione di acqua fossile sembrano porre finora solo problemi secondari nella convinzione generale che l’acqua non verrà mai a mancare neanche negli agglomerati umani più difficili da considerare sostenibili.
I pericoli per me oltre ovviamente alla sovrappopolazione sono l’inquinamento di aria , mare e terra che richiedono sempre maggior lavoro per l’approvvigionamento di materia prima pulita , e lo sfruttamento eccessivo nell’estrazione delle acque fossili , ormai i pozzi in territori sovrappopolati come l’India o altrove devono andare a pescare a km di profondità , non so cosa comporterà tutto ciò in futuro, ma sospetto ci saranno migrazioni e problemi sociali.

emy
emy
21 Gennaio 2020 09:13

Per quel che mi riguarda in Italia bisognerebbe imporre il doppio impianto per riutilizzare l’acqua piovana, perchè per lo sciaquone e l’irrigazione del giardino devo utilizzare l’acqua potabile?

Franco Vialardi
Franco Vialardi
Reply to  emy
22 Gennaio 2020 20:38

Vero.A casa mia utilizzo l’acqua piovana da 40 anni per il gabinetto e l’orto. L’ho proposto a molti professionisti, enti vari ma nessuno ha veramente fatto qualcosa purtroppo. Sovente la pigrizia mentale gioca un brutto ruolo.

Giuseppe Lorenzi
Giuseppe Lorenzi
21 Gennaio 2020 09:42

Ovvia conseguenza del fatto che sulla Terra siamo quasi 8 miliardi di persone. Un secolo fa ce n’erano un miliardo e mezzo.

Roberto Farina
Roberto Farina
21 Gennaio 2020 11:14

Il problema del riuso dell’acqua, e di accesso a fonti alternative di acqua (pioggia, acque grige) è un problema annoso. Come giustamente detto nell’articolo uno degli aspetti da considerare è sicuramente quello dell’accettabilità da parte della popolazione. Non più piccolo però è il problema tecnologico, economico e regolamentatorio. portare le acque di fogna a qualità potabile è assolutamente fattibile, (gli astronauti riciclano da sempre le loro acque) ma il costo di questa tecnologia non è ancora accettato dall’utenza e dalle utility. Inoltre nelle acque reflue attualmente c’è la presenza di moltissime sostanze, molte delle quali sconosciute alle norme sulla qualità delle acque ad uso potabile. Ftalati e PFAS sono due esempi di sostanze che sono state regolamentata solamente in tempi recenti nonostante la loro presenza fosse nota da tempo. La soluzione più logica potrebbe essere la doppia linea domestica per acqua potabile e per acqua non potabile al fine di ridurre i consumi di acqua potabile che sono circa il 10% dei consumi totali. Purtroppo questa soluzione se è applicabile nelle nuove abitazioni, richiederebbe un pesante intervento sul patrimonio edilizio esistente.