La presenza di residui inquinanti nelle acque superficiali è passato da 118 a 166 diverse tipologie di pesticidi rispetto al biennio 2007-2008. La fotografia scattata dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel rapporto nazionale pesticidi nelle acque 2013è impietosa. Il dossier è stato elaborato dopo l’attenta analisi delle informazioni trasmesse dalle Regioni e dalle Province autonome relative a oltre 21mila campioni.
Purtroppo la situazione è simile agli altri Paesi dell’Unione Europea, dove si concentra un terzo della produzione chimica mondiale e sono rintracciate sul mercato più di 100mila sostanze tossiche.
Su 355 composti cercati, ne sono stati trovati 166: principalmente residui di prodotti fitosanitari usati in agricoltura, ma anche pesticidi per uso non agricolo impiegati in vari settori. «Fra le criticità c’è la contaminazione dovuta agli erbicidi triazinici e ai loro principali metaboliti – si legge nel rapporto – sono ancora largamente presenti sostanze ormai fuori commercio, come l’atrazina (bandita da oltre due decenni) e la simazina, vietata in anni più recenti. Tale riscontro è dovuto è al residuo di una contaminazione dovuta al forte utilizzo delle sostanze nel passato e alla loro elevata persistenza ambientale».
Il documento affronta anche il problema dell’acqua potabile, che al Sud è ricavata soprattutto da acque superficiali, mentre al Nord viene attinta con maggior frequenza dalle falde. Le concentrazioni rilevate sono state confrontate con i limiti di qualità ambientale, recentemente introdotti, basati sulla tossicità delle sostanze per gli organismi acquatici. In questo caso il 13,2% dei punti delle acque superficiali e il 7,9% di quelli delle acque sotterranee hanno concentrazioni superiori al limite.
«Queste sostanze non devono essere del tutto assenti dalle acque, ma sono tollerate in bassissime quantità: variabili a seconda del composto in esame e della relativa tossicità», spiega Pierluigi Viaroli, docente ordinario di ecologia all’Università di Parma. Pur oscillando i valori della singola contaminazione (sempre entro i limiti), è comunque scontata la potabilità delle acque che arrivano sulle nostre tavole.
A livello di macroarea geografica, la contaminazione appare più diffusa nella pianura padano-veneta. «Questo dato non sorprende – prosegue Viaroli – poiché qui si concentra il 55% della zootecnia nazionale e il 40% delle produzioni agricole. Inoltre il dilavamento dei suoli in periodi piovosi come questo rimette in circolo nel terreno diverse sostanze tossiche». Ma anche al centro sud i miglioramenti del monitoraggio stanno portando alla luce una contaminazione significativa.
Le analisi hanno mostrato una vasta eterogeneità dei composti: fino a 23 sostanze diverse sono state individuate in un solo campione. «Le conseguenze non sono stimabili – spiegano dall’istituto di ricerca – poiché mancano in letteratura dati sugli effetti combinati delle miscele. Motivo per cui occorre massima prudenza anche al cospetto delle contaminazioni più basse». I pesticidi più rilevati nelle acque superficiali sono stati: glifosato, terbutilazina, metolaclor, cloridazon, oxadiazon, lenacil eazossistrobina. Nelle acque sotterranee, con frequenze generalmente più basse, sono emerse maggiori quantità di bentazone, terbutilazina, atrazina, 2,6-diclorobenzammide, carbendazim, imidacloprid, metolaclor e metalaxil.
Dal 2001 al 2011 la quantità di principi attivi contenuti nei prodotti fitosanitari è diminuita complessivamente di 5.600 tonnellate. Sono calate, in particolare, le sostanze attive insetticide, erbicide e fungicide. In crescita, invece, l’utilizzo di trappole e prodotti di origine biologica (da 11,9 a 385,2 tonnellate). Chiosa Viaroli: «Ci sono alimenti normalmente privi di questi residui. Il consiglio è quello di consumare, nei limiti del possibile, prodotti stagionali. Un pomodoro mangiato a dicembre o un cavolo acquistato in agosto richiedono senz’altro un maggior impiego di sostanze chimiche».
Fabio Di Todaro
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Ancora un avvertimento per gli “scienziati” che polemizzano e svalutano, anche con argomenti strumentali, l’impegno per una agricoltura, allevamento e trasformazione biologica degli alimenti, di pochi coraggiosi ecologisti emarginati e bistrattati.