La plastica ecosostenibile del futuro potrebbe arrivare da gusci d’uovo e potrebbe essere utile, nelle sue diverse versioni, per tutto: dalle buste agli imballaggi per alimenti, dai presidi medici ai materiali da costruzione. I ricercatori del consorzio Food and Drink iNet, nato dalle Università di Nottingham, Leicester, Lincoln e da altri gruppi pubblici e privati del Southglade Food Park, in Gran Bretagna, stanno infatti studiando nuovi metodi di lavorazione di uno degli scarti domestici industriali e alimentari più significativo, quello appunto dei gusci di uovo (vedi link).
La chiave del nuovo approccio sta nei glicosamminoglicani, proteine legate a zuccheri, molto presenti nei gusci e già impiegati in alcune bioplastiche; in particolare, gli sforzi dei ricercatori inglesi sono concentrati in diversi passaggi che potrebbero portare a una “seconda vita”: un pretrattamento per rendere i gusci sterili; un’estrazione sostenibile ed economica dei glicosamminoglicani; la messa a punto di metodi di analisi per verificare il risultato; un trattamento successivo per realizzare diverse bioplastiche in base alla quantità di glicosamminoglicani e di altre componenti riciclabili presenti; una serie di test per verificare le proprietà meccaniche, come sulla resistenza ai diversi agenti fisici e chimici, e sul possibile carico di peso.
Lo smaltimento dei gusci è un problema non indifferente per le aziende alimentari che impiegano uova, che devono raccoglierli, trasportarli in discarica e pagarne la distruzione. Per esempio, una delle aziende che sta collaborando con il consorzio britannico, la Just Egg, specializzata in uova sode (molto popolari nei paesi anglosassoni), in media ogni settimana utilizza 1,3 milioni di uova, e ottiene circa dieci tonnellate di gusci da portare in discarica.
In un anno, solo Just Egg smaltisce 480 tonnellate di gusci, spendendo una media di 30mila sterline. Denaro che, come ha fatto notare il direttore operativo Pankaj Pancholi (il secondo nella foto), potrebbe essere invece impiegato per pagare un operaio in più o per finanziare nuovi progetti di ricerca.
Ci sono poi gli scarti domestici, che oggi nella migliore delle ipotesi finiscono nell’umido, ma che potrebbero essere raccolti separatamente, in maniera simile a quanto accade per altri materiali, e poi conferiti alle aziende che li riciclano.
Il progetto è stato in parte finanziato con i fondi dello European Regional Development Fund (Erdf) e in parte dal Consorzio, e vede la partecipazione di diverse aziende del settore, molto interessate a trovare il modo di risparmiare e, perché no, di dare una mano all’ambiente.
Agnese Codignola
foto: Photos.com
Da sinistra, la consulente di Food and Drink iNet Stevie Jackson, il direttore di Just Egg Pankaj Pancholi e il docente di chimica fisica dell’Università di Leicetser Andy Abbott.
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