Quanto inquina davvero l’olio di palma? Un lettore si chiede quale sia il vero impatto del grasso tropicale, tra incendi, deforestazione e trasporto
Quanto inquina davvero l’olio di palma? Un lettore si chiede quale sia il vero impatto del grasso tropicale, tra incendi, deforestazione e trasporto
Redazione 28 Novembre 2016Spesso si afferma che la coltivazione dell’olio di girasole libera nell’atmosfera più CO2 di quanto ne liberi la coltivazione dell’olio di palma e che, dunque, la coltivazione dell’olio di palma contribuisce meno al riscaldamento globale della coltivazione dell’olio di girasole. Ammesso che ciò sia vero, forse da adesso in poi l’olio di palma produrrà meno CO2 rispetto all’olio di girasole. Ma prima? Spesso ci si dimentica del prima. Perché, per predisporre la coltivazione dell’olio di palma in Indonesia, è stata bruciata un’area di foresta tropicale pari alla Germania e quegli incendi hanno prodotto anidride carbonica.
Allora mi chiedo: è stato messo in conto anche il CO2 liberato nell’atmosfera dagli incendi delle foreste? Perché se dovessimo includere nel conto dell’anidride carbonica prodotta per la coltivazione dell’olio di palma anche quello degli incendi, io non sarei più tanto sicuro che il saldo finale vada a vantaggio dell’olio di palma! Purtroppo, per valutare la bontà di una scelta (nel nostro caso quella di coltivare l’olio di palma) si guarda troppo spesso al solo al guadagno futuro, dimenticandosi di includere nel conto le perdite passate. È come se noi, investendo in borsa, ci rallegrassimo se oggi abbiamo guadagnato il 3%, dimenticando però che il giorno prima abbiamo perso il 10%: sarà pur vero che oggi guadagniamo il 3%, ma siamo pur sempre ancora in perdita del 7,3%!
Anche Ferrero, guarda caso, quando difende a spada tratta l’olio di palma, pone l’accento sul fatto che la coltivazione dell’olio di palma ha una resa superiore a quella di altri oli e richiede meno acqua, e che dunque è più conveniente rispetto alla coltivazione, ad esempio, dell’olio di girasole. Peccato però che nei decenni passati, per raggiungere questi volumi produttivi, abbiano raso al suolo ettari ed ettari di foreste, il cui costo sociale non è certamente a carico di Ferrero. Quelli, però, vogliamo metterli nel conto? Si tratta di foresta che non si recupererà più, definitivamente distrutta, come quella distrutta in Brasile per far posto ai pascoli dei bovini con cui si fa la Bresaola italiana, nostro fiore all’occhiello.
C’è chi sostiene che i prodotti provenienti dai paese asiatici, se fossero prodotti qui in Italia, costerebbero certamente di più, e dunque questo è un aspetto a favore della globalizzazione. Ma vogliamo metter in conto i costi legati all’inquinamento e alle emissioni prodotte dalle fabbriche di quei paesi, che tutti noi subiamo e su cui abbiamo scarso controllo? E quelli delle navi che trasportano le merci da una parte all’altra del pianeta e inquinano gli oceani quando puliscono i motori, scaricando in mare i prodotti inquinanti del lavaggio? Quei metalli pesanti li troviamo poi nel pesce che viene pescato e raggiunge anche le nostre tavole!
E dove mettiamo i costi sociali che dobbiamo sostenere noi italiani, quando le nostre fabbriche si trasferiscono all’estero e chiudono e dobbiamo mantenere i disoccupati? Tutti questi costi li vogliamo considerare? Perché, allora, non è vero che la merce che arriva dall’asia costa di meno di quella prodotta una volta in Italia. Costa uguale, o anche di più, se includiamo nel conteggio quei costi nascosti! Quando acquistiamo una merendina Ferrero, una parte dei soldi spesi va certamente ai produttori di olio di palma, ovvero va fuori dall’Italia. Se la stessa merendina Ferrero fosse prodotta con olio di girasole italiano, quei soldi rimarrebbero in Italia e contribuirebbero a far funzionare la nostra economia.
Premesso ciò, ha ragione chi afferma che non esiste solo il problema dell’olio di palma, che non esiste solo Ferrero e che certe colpe non si possono addossare solo a questa azienda. Ma Ferrero, in questo momento, sta portando avanti una campagna mediatica a favore dell’olio di palma per proteggere i propri interessi commerciali ed è giusto allora ribattere a Ferrero e non stare zitti e subire tutto quello che viene detto, non solo a proposito ma anche a sproposito.
Alberto
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Certamente non è stata bella la storia riguardo all’olio di palma, tra incendi e deforestazioni.
Non capisco però perchè giustificare l’olio di girasole sulla base di questo fatto. Se si fa una campagna contro solo l’olio di palma questo verrà semplicemente sostituito da un altro olio (girasole) che come dice lei emette molta più C02 a parità di mq di coltivazione. Solo per spiegarmi, è come dire che siccome nella storia ha inquinato di più un certo materiale (oggi meno inquinante di altri) allora dobbiamo utilizzarne un altro (oggi il triplo più inquinante). Sulla parte dei costi sociali, pur condividendo certe preoccupazioni, non capisco come potremmo riuscire a sostenere la produzione di merendine Ferrero con solo olio di girasole italiano e, ammesso ciò, quanta deforestazione ciò provocherebbe.
Lavorando nel settore ho anche assistito a fornitori che hanno cambiato la loro ricetta togliendo qualsiasi tipo di olio e il prodotto che ne risultava, nella maggior parte dei casi, era praticamente immangiabile. Per bilanciare questi aspetti secondo me la produzione sostenibile, non l’eliminazione totale, è una buona anche se difficile via percorribile.
Dopo aver letto l’articolo e il suo commento, la domanda che mi viene in mente: tralasciando il danno provocato dalla deforestazione per far posto alle piantagioni di palme, conviene più un ettaro di piantagioni di palme considerando anche il trasporto o un ettaro di girasoli in Italia?
Perché se considerassimo il danno economico provocato dal trasporto, non solo in termini di CO2, ma anche di altri inquinanti, la domanda sarebbe teorica.
Dato che lei è esperto del settore, potrebbe fornire dei dati?
Grazie
Naturalmente dei costi in termini di vite di esseri senzienti e non non ce ne importa nulla vero?
Buongiorno Sig.ra Franca,
certo che ce ne importa! E Lei ha fatto bene a sottolinearlo.
Grazie,
Alberto
BRAVO ALBERTO … MOLTO CHIARA LA SPIEGAZIONE E CONDIVIDO IN TOTO
Certo ci sono molte problematiche da affrontare ma in questo momento è sotto torchio la ferrero perché sta difendendo a spada tratta il suo grasso …
purtroppo siamo circondati da “fornitori” che guardano solo il loro guadagno … se il GIRASOLE esiste e cresce anche senza coltivarlo … vuol dire che per l’ecosistema ha una sua funzione … e sono sicura che è molto meglio del oliodipalma. SONO CONVINTS CHE TUTTO STA PERCHE’ I PRODOTTI ITAIANI SONO ECCEZIONALI e vengono contraffatti da tutti …. ORA DA CONSUMATORE DICO DI GUARDARE OGNI VOLTA LE ETICHETTE (alcune poco chiare) ED ACQUISTARE SOLO PRODOTTI 100XCNTO ITALIANO E A KM ZERO … tutto questo succede per la globalizzazione ma noi Italiani abbiamo i prodotti migliori e quindi aiutiamo le nostre aziende che lavorano sul territorio Italiano così facendo ci saranno meno disoccupati
Sono completamente d’accordo con le osservazioni dell’articolo e vorrei però rinforzare un concetto che ritengo primario nella questione impatto ambientale delle coltivazioni, tutte e non solo quelle del palma.
Sono convinto che qualsiasi coltivazione autoctona, realizzata vicino agli stabilimenti di trasformazione e che non stravolge il territorio, inteso come gestione colturale nelle estensioni territoriali già esistenti in alternanza stagionale o annuale con altre coltivazioni tradizionali, abbia un minor impatto ambientale di qualsiasi altra coltura importata a lunga distanza.
I costi energetici ed ambientali calcolati con l’attuale pallottoliere, sono falsati da ammortamenti sociali ed economici sul lungo periodo ed a carico delle comunità mondiali, assolutamente sottostimati e lacunosi.
Quale sia il costo sociale ed economico di disboscamenti selvaggi, sfratto ed impoverimento di popolazioni autoctone, inquinamento dell’aria, delle falde, dei mari, ecc.. per tutte le operazioni connesse con l’impianto, la raccolta, le trasformazioni industriali delocalizzate, tutti i trasporti intermedi e finali di semilavorati, lo stoccaggio e la movimentazione di ingenti quantità di materiali, con persone e mezzi dislocati in tutto il mondo, nessuno lo sa e non è calcolabile.
Quello che conta per le aziende alimentari utilizzatrici finali, è solamente il prezzo delle materie prime o ingredienti da utilizzare in ricetta e generalmente non sono minimamente interessate alle questioni suddette, salvo il claim sul prodotto nazionale Made in Italy.
In conclusione per nostra fortuna e merito, i prodotti nazionali sono più remunerativi perché maggiormente valutati in tutto il mondo ed indirettamente sono molto meno impattanti di tutto ciò che è importato, indipendentemente dal tipo di prodotto coltivato e trasformato.
Il vero costo dell’economia globale selvaggia ed incontrollata è incalcolabile e lo pagheranno intere generazioni prossime future.
condivido pienamente e ricordo che più di 130.000 persone sono morte in Indonesia per i roghi delle foreste. CENTOTRENTAMILA. Non so se vi rendete conto. Dati forniti da Greenpeace. Gli animali non si contano nemmeno…
Credo che sia ora che la gente si ponga qualche domanda riguardo al costo del proprio tornaconto e del proprio cosiddetto benessere. Ricordandosi però che quest`ultimo è inscindibile dalla sopravvivenza del ns pianeta blu.