Greenpeace ha avviato una campagna di denuncia contro la compagnia malese IOI Group, che opera nel settore dell’olio di palma e che da anni. La società è al centro di polemiche per le pratiche di distruzione delle foreste tropicali e delle torbiere in Indonesia, nonché per la violazione dei diritti umani delle popolazioni locali, lo sfruttamento dei lavoratori e l’utilizzo del lavoro minorile. Il 27 settembre, gli attivisti dell’associazione ecologista hanno cercato di impedire l’attracco nel porto di Rotterdam di una nave che trasportava olio di palma grezzo di IOI. Poi con la nave Esperanza, hanno impedito lo scarico del prodotto in raffineria, sino a che sono stati fermati dalla polizia. “Stiamo chiedendo al colosso malese, che ha sede anche in Italia, di firmare un impegno ad assicurare una catena di approvvigionamento sostenibile dell’olio di palma. Essendo sconosciuto al grande pubblico, IOI crede di poter proseguire a vendere olio di palma senza attirare l’attenzione, ma deve sapere che non c’è mercato per l’olio di palma che mette in pericolo le Foreste del Paradiso”, ha dichiarato Greenpeace
In contemporanea con l’azione nel porto di Rotterdam, Greenpeace ha pubblicato un dossier di denuncia contro IOI, intitolato A Deadly Trade-Off, ricordando che il gruppo è tra i maggiori produttori mondiali di olio tropicale e uno dei fondatori della Tavola Rotonda per l’olio di palma sostenibile (RSPO) (iniziativa globale nata nel 2004 e supportata da diverse categorie di soggetti attivi nella filiera ). “Sfortunatamente – afferma Greenpeace – la RSPO non si è mai dimostrata in grado di garantire una produzione veramente responsabile dell’olio a causa degli standard poco ambiziosi. All’interno della RSPO, infatti, ci sono anche aziende che non sono in grado di dimostrare l’assenza di pratiche come l’incendio delle foreste torbiere o altri tipi di deforestazione nella propria filiera”.
Nell’ultimo anno IOI, che è uno dei membri fondatori della RSPO, è stata protagonista di una vicenda senza precedenti. Lo scorso 25 marzo, IOI Group era stato sospeso dalla RSPO, perché colpevole di aver violato le leggi sulla concessione di terre da destinare a piantagioni di palme e sui permessi ambientali, in relazione alle coltivazioni situate nel Ketapang, sull’isola del Borneo, in Indonesia. Contro il provvedimento di sospensione IOI Group aveva fatto ricorso al tribunale di Zurigo, ritirando successivamente l’azione giudiziaria. In seguito alla sospensione diversi multinazionali del settore alimentare – Unilever, Kellogg, Mars, Nestlé e Cargill – avevano deciso di interrompere i rapporti di fornitura. Il 5 agosto, la RSPO ha deciso di riammettere il gruppo malese alla certificazione, ritenendo soddisfacente il piano d’azione della società, che dovrà comunque presentare relazioni trimestrali da sottoporre a verifica. La decisione era stata subito definita “scioccante” da Greenpeace, perché adottata senza che IOI avesse compiuto significativi miglioramenti. “Questa decisione – afferma Greenpeace – ha purtroppo dimostrato che RSPO è più interessata ad aiutare uno dei sui fondatori a ritrovare i propri clienti, che al rispetto dei propri standard.”
Nel dossier dell’associazione ecologista, si afferma che il gigante malese continua a drenare le torbiere intorno alle proprie concessioni nel Ketapang, nel sud della provincia indonesiana del West Kalimantan. Inoltre, società non ha ancora pubblicato un piano globale in cui si dice che i propri fornitori non distruggono la foresta pluviale e le torbiere. Manca anche una dichiarazione sulle azioni intraprese per il rispetto dei diritti delle comunità tradizionali del Long Teran Kanan nel Sarawak, Malesia orientale, che da anni ne denunciano i soprusi.
Per questo, Greenpeace continua a chiedere alle aziende del settore dell’olio di palma di non riprendere i rapporti commerciali con IOI, che, indipendentemente dallo status della certificazione RSPO, continua a non applicare politiche “No Deforestazione”. Secondo l’associazione ecologista, “acquistare olio di palma da questa società significherebbe rendere complice la propria azienda e i propri clienti della distruzione delle foreste del paradiso e della violazione dei diritti delle comunità tradizionali e dei lavoratori”.
A IOI Group, Greenpeace avanza 15 richieste, tra cui quella di interrompere i rapporti con tutti fornitori indicati nel dossier e accusati di non rispettare le politiche di non deforestazione e di non sfruttamento. Il gruppo malese ha reagito alla pubblicazione del dossier con un comunicato di disponibilità ad impegnarsi maggiormente, accettando la sfida di Greenpeace e invitandola ad un confronto diretto.
Negli ultimi 15 anni, ricorda Greenpeace, l’area occupata dalle piantagioni di palma da olio in Indonesia è raddoppiata, passando da quattro a otto milioni di ettari. Si prevede che entro il 2020 crescerà di ulteriori cinque milioni di ettari. Quest’espansione ha causato deforestazione e drenaggio delle torbiere per anni, creando le condizioni ideali per il dilagare dei vasti incendi boschivi che hanno devastato l’Indonesia negli ultimi due decenni. Tra luglio e ottobre 2015 più di 2 milioni di ettari di torbiere e foresta indonesiana sono stati consumati dalle fiamme. Questa nube soffocante ha anche causato, sempre lo scorso anno, oltre centomila morti premature in tutto il Sud-est asiatico, come ha rivelato pochi giorni fa uno studio delle università statunitensi di Harvard e Columbia.
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ci manca forse la forma mentis per capire appieno la portata di queste notizie. dobbiamo probabilmente ancora metabolizzare il significato di “milioni di ettari” di foreste in fiamme o “100mila morti premature” per renderci conto di cosa stia accadendo in certe regioni del mondo…