Finiva sulle navi da crociera, nei ristoranti e nel pet food parte della carne scaduta lavorata nei macelli Bervini di Mantova e Reggio Emilia. È quanto emerge dalla nuova puntata di Report, andata in onda il 21 dicembre, con l’inchiesta curata da Giulia Innocenzi. Secondo quanto ricostruito dalla trasmissione, il macello riforniva anche Simmenthal e Star, che hanno sospeso i rapporti in via precauzionale. Bolton ha dichiarato a Report che solo il 6% della carne in scatola proveniva da Bervini; Star parla di circa il 5%, precisando che non è stata utilizzata per il dado. Un operaio intervistato riferisce che controllori Bolton erano presenti nello stabilimento di Trento durante la cottura. L’aspetto preoccupante è che l’allerta sanitaria è scattata solo 40 giorni dopo la segnalazione alle autorità. Un tempo inconcepibile.
Dove è finita la carne scaduta
Le immagini mostrano l’assessore alla Salute dell’Emilia-Romagna, Massimo Fabi, mentre ricostruisce la destinazione dei lotti rintracciati: 1.500 kg destinati alla ristorazione su navi da crociera, circa 100 kg finiti in un ristorante della provincia di Modena, già consumati al momento della notifica, circa 3mila kg destinati a un’azienda di pet food, anch’essi già utilizzati. Una filiera opaca, che coinvolge alimenti destinati sia all’uomo sia agli animali. Va detto che non è mai stata pubblicata una lista completa dei destinatari della carne. Considerando che, secondo la trasmissione Report il comportamento di Bervini andava avanti da anni, i numeri riferiti dall’assessore Fabi son ridicoli. Dopo l’inchiesta, l’Ats Val Padana ha chiesto di rintracciare i lotti a partire dal 28 dicembre 2024.

Perché l’allerta è partita con 40 giorni di ritardo?
Il macello avrebbe inizialmente rifiutato di fornire i dati (una motivazione inconcepibile), parlando di problemi informatici, ma la spiegazione appare fragile. In ogni caso non è stata diramata una comunicazione ufficiale su scala nazionale per informare consumatori, distributori e locali dei lotti effettivamente commercializzati. Per la trasmissione, la pratica di scongelare e lavorare carne importata (soprattutto dal Sud America) era in corso già dal 2018. Le testimonianze parlano di pezzi lasciati a scongelare all’aperto, fuori dal capannone, prima della lavorazione.
Etichette cambiate e il ruolo degli altri stabilimenti
Un altro impianto del gruppo, quello di Trento, sarebbe stato coinvolto nella cottura della carne scaduta. Secondo un operaio, ad alcune confezioni veniva sostituita l’etichetta, con una nuova scadenza spostata in avanti di due anni. Su parte dei prodotti compariva il marchio Gj, riconducibile al gruppo della brasiliana Marfrig, il maggiore produttore mondiale di hamburger. Sarebbe stato coinvolto anche lo stabilimento di Salvaterra (Reggio Emilia), da cui la carne veniva inviata a Mantova.

Simmenthal e Star tra i clienti di Bervini
In consiglio regionale, l’assessore al Welfare della Lombardia Guido Bertolaso ha chiarito che l’allerta ha riguardato solo i lotti “privi di evidenza di trattamento termico”, escludendo quindi la carne cotta. Alla domanda diretta di Innocenzi, Bertolaso ammette: “Me l’hanno fatto dire i tecnici, verificherò”. Un altro elemento critico sollevato dalla trasmissione riguarda la rintracciabilità dei lotti. Secondo quanto dichiarato durante l’inchiesta, i dati sugli invii e sulle destinazioni degli stock di carne possono essere estratti dalle banche dati in poche ore: un processo rapido, ma che di fatto non si traduce in una comunicazione trasparente e pubblica.
Salute pubblica o faccenda privata
A rendere questa vicenda ancora più grave non è solo ciò che è accaduto nei macelli Bervini, ma il silenzio che l’ha circondata dopo.
Il Fatto Alimentare ha presentato una richiesta formale di accesso agli atti, respinta. Ha chiesto due interviste sul caso all’Ats Val Padana respinte perché ” le indagini sono in corso”. Abbiamo inviato alcune domande all’Ats Val Padana per chiarire il loro modo di operare e scui controlli senza successo. Abbiamo chiesto chiarimenti all’azienda Bervini, senza riscontri. Ha chiesto un’intervista all’assessore al Welfare della Lombardia Guido Bertolaso rimasta lettera morta. Un muro di silenzio che non può essere liquidato come una semplice difficoltà organizzativa. Perché quando tonnellate di carne scaduta finiscono nella ristorazione, nelle navi da crociera e nel pet food, non si è più nel campo delle verifiche interne, ma in quello della tutela della salute pubblica.

Il sistema di allerta funziona, ma non sempre
Eppure, per oltre 45 giorni, non è arrivato alcun comunicato pubblico, alcuna allerta nazionale, alcuna lista dei clienti coinvolti.
Come se la questione riguardasse solo i rapporti tra un’azienda e l’autorità sanitaria locale. Come se i cittadini non avessero diritto di sapere dove sia finito ciò che hanno mangiato – o dato da mangiare ai propri animali. Eppure in Italia il sistema dei richiami alimentari funziona abbastanza. Quest’anno il nostro sito ha rilanciato notizie su 266 richiami ufficiali, per un totale di 580 prodotti di aziende e marchi diversi. Dunque lo strumento esiste, viene utilizzato ed è operativo. Per Bervini però sembra che qualche cosa si sia inceppato. Difficile considerare un incidente l’assenza di un’allerta completa e trasparente o di avvisi ufficiali nei due scandali emersi a carico di ATS Val Padana: Bervini e La Pellegrina.
Bervini e La Pellegrina: due scandali, lo stesso copione
| Bervini | La Pellegrina | |
|---|---|---|
| Irregolarità documentate | Carne scaduta scongelata, lavorata e commercializzata | Condizioni igieniche e sanitarie gravi |
| Destinazione dei prodotti | Ristorazione, navi da crociera, pet food | Filiera alimentare |
| Durata presunta delle pratiche | Fino a 5 anni, secondo testimonianze | Anni |
| Allerta nazionale completa | No | No |
| Lista pubblica dei clienti | Mai pubblicata | Mai pubblicata |
| Comunicazioni ufficiali ai cittadini | Assenti o tardive | Assenti |
| Risposte a richieste giornalistiche | Nessuna | Nessuna |
L’allerta mancata
La sensazione è che l’allerta scatti solo quando non crea problemi sistemici, mentre venga ridimensionata quando tocca filiere grandi, clienti numerosi e interessi rilevanti. A questo punto la domanda non è più tecnica, ma politica e istituzionale: chi decide quando un problema alimentare merita un’allerta pubblica e quando può restare confinata negli uffici? E soprattutto: perché, davanti a casi così gravi, la tutela dei consumatori sembra diventare un elemento secondario? Finché a queste domande non verrà data una risposta chiara, il sistema di controllo alimentare resterà credibile solo a intermittenza. E la sicurezza alimentare rischierà di dipendere non dalla gravità dei fatti, ma dal peso dei soggetti coinvolti.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24


