I burger vegetali possono tirare un sospiro di sollievo, ma non sono ancora salvi. Il loro destino, infatti, resta appeso alle discussioni tra Parlamento e Consiglio europeo sulla proposta di un divieto per l’uso di denominazioni legate alla carne per i prodotti plant based. Discussioni che sono state rimandate al 2026, dopo il colossale fallimento andato in scena lo scorso 10 dicembre. Come riferisce Politico, infatti, le trattative tra i Paesi membri e il Parlamento sono collassate senza raggiungere un accordo.
Il Parlamento UE contro i burger vegetali
Lo scorso 8 ottobre il Parlamento europeo ha approvato un emendamento alla Politica agricola comunitaria (PAC) che introduce la definizione di carne come “parti commestibili di animali” e vieta l’uso di sette denominazioni – burger, hamburger, scaloppina, salsiccia, bistecca, bianco d’uovo e rosso d’uovo – per i prodotti vegetali e coltivati in vitro (ne abbiamo parlato in questo articolo). Per diventare esecutiva, tuttavia, la norma necessitava di una discussione tra Parlamento, Commissione e Consiglio, che si è tenuta una settimana fa, senza raggiungere un accordo.

Secondo fonti di Politico, l’europarlamentare francese Céline Imart (PPE), autrice della proposta di divieto, avrebbe presentato al Consiglio una lista ancora più ampia di termini da vietare, che comprendeva anche ‘prosciutto’ e ‘fegato’, oltre ad aver chiesto di riaprire alcuni punti del negoziato che erano già dati per approvati. Di fronte a queste ulteriori richieste, i rappresentanti dei Paesi membri hanno dichiarato di non avere il mandato per riaprire le discussioni e la trattativa è rapidamente collassata. “È stato un gran casino” ha detto a Politico un ufficiale del Parlamento UE.
Un provvedimento inutile
Il dossier dovrebbe essere ridiscusso a gennaio, quando la presidenza di turno dell’Unione Europea passerà a Cipro. Questa non è necessariamente una buona notizia per i burger vegetali e gli altri sostituti della carne: la presidenza attuale danese era molto favorevole al settore plant based e ha spinto per una riduzione dei termini da vietare, come rivela Euractiv. Non è detto che quella cipriota lo sia altrettanto.
Anche se il divieto alla fine fosse confermato, secondo molti esperti non avrà alcuna influenza sui consumi in UE: diversi studi, infatti, avevano mostrato che consumatrici e consumatori europei sono capacissimi di comprendere la differenza tra un burger vegetale e uno di origine animale, qualsiasi denominazione abbiano, e che i timori di ‘confusione’ e ‘ingannevolezza’ usati come giustificazione al divieto sono totalmente infondati. Chi ci rimetterà, almeno in un primo momento, saranno le aziende del settore plant based, costrette a modificare packaging e pubblicità: un comparto che una certa parte della politica europea ha deciso di sacrificare per tutelare gli interessi degli allevatori e di pochi grandi produttori di carne.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.


