Allerta alimentare

Uno dei più completi studi mai effettuati sul tema, appena pubblicato su Nature Microbiology, getta una luce preoccupante su decine di sostanze chimiche considerate finora relativamente innocue per gli esseri umani. Molte di esse sarebbero infatti tossiche per il microbiota intestinale, e l’esposizione cronica cui tutti siamo sottoposti comporterebbe rischi mai considerati tali.

L’indagine in laboratorio e con l’AI

Per verificare il potenziale effetto di centinaia tra i composti più presenti nell’ambiente, nelle acque, nel suolo e perfino nell’aria come i pesticidi, i plastificanti, i ritardati di fiamma, i coloranti, gli onnipresenti perfluoroalchili (PFAS), e altre categorie di molecole industriali, i ricercatori dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, hanno chiesto aiuto a un’intelligenza artificiale (AI) per interpretare i test di laboratorio estesi a 1.076 singole molecole e alla loro azione su 22 tra le specie batteriche più rappresentate a livello dell’intestino umano. Hanno così evidenziato ben 588 diversi effetti negativi di 168 molecole, nella stragrande maggioranza dei casi non considerate tossiche per il microbiota intestinale fino a ora.

Le sostanze chimiche peggiori

Tra i peggiori, dal punto di vista della flora residente, ci sono i derivati usati nelle lavorazioni industriali e i fungicidi, responsabili del 30% degli eventi negativi emersi, mentre tra le conseguenze biologiche si registrano diverse perdite di funzionalità, trasferimenti di resistenze agli antibiotici e alterazioni di vario genere nei meccanismi cellulari nate dallo sforzo dei batteri di resistere all’attacco delle sostanze chimiche.

Il panorama è dunque molto preoccupante, e non è chiaro come ci si possa difendere da sostanze che sono ubiquitarie, in molti casi indispensabili e particolarmente presenti nel cibo, attraverso il quale vengono assunte ogni giorno.

Ciò che si può fare, sottolineano gli autori, è usare il sistema di AI per prevedere le conseguenze di altre sostanze chimiche, sia esistenti sia di nuova progettazione, e tenere conto dei risultati in sede di autorizzazione per un certo impiego. Inoltre è indispensabile andare avanti con gli approfondimenti sia su parte dei circa 4.500 tipi di batteri che popolano l’intestino sia su ciò che accade in situazioni più reali rispetto al laboratorio.

Una persona versa acqua bollente da un bollitore elettrico a una tazza sostanze chimiche
L’FDA e l’EFSA hanno documentato la presenza di centinaia di pesticidi negli alimenti, e contaminazioni ancora più ampie nell’acqua

Un pianeta malato

La fotografia scattata dai ricercatori di Cambridge è uno squarcio su una realtà che sembra irreversibile, e le cui conseguenze emergono con forza ogni volta che le si cerca. Come ricordato nell’articolo, sia la Food and Drug Admnistration (FDA) statunitense sia la European Food Safety Agency (EFSA) hanno documentato la presenza di centinaia di pesticidi negli alimenti, e contaminazioni ancora più ampie nelle acque. E lo stesso hanno fatto i ricercatori di numerosi paesi. Per esempio, si stima che il 95% dei cittadini statunitensi e l’intera popolazione olandese abbiano PFAS nel loro sangue, mentre un’indagine sulle urine di un campione di cittadini britannici ha svelato che in tutti erano presenti livelli misurabili di pesticidi come la cipermetrina e la permishrina, rilevati in più del 96% delle urine, il dietilfosfato (75% dei campioni) e il glifosato (53%).

Analogamente, uno studio tedesco ha mostrato che nel plasma ci sono centinaia di sostanze e loro metaboliti derivanti da cosmetici, alimenti e prodotti di vario genere. È quindi facile presumere che il microbiota intestinale sia esposto ogni giorno a innumerevoli composti i cui effetti sono stati con ogni probabilità sottovalutati, e comunque poco studiati.

Un approccio virtuoso

Mentre in tutto il mondo ci si interroga su come invertire la rotta, quale approccio alternativo indica in che direzione ci si dovrebbe muovere, per cercare quantomeno di non continuare a incrementare la quantità di sostanze nocive introdotte nell’ambiente e quindi in tutti gli esseri viventi. Una possibile strada, almeno per la produzione di carne, è quella che arriva da uno studio pubblicato su Veterinary Research Communications dai ricercatori dell’Institute for Aqua Regeneration della Shinshu University di Nagano, in Giappone, che indicano un’alternativa agli antibiotici per gli animali allevati.

Analizzando gli studi sul ruolo dei probiotici, ossia dei ceppi batteri benefici, dei prebiotici, cioè delle sostanze che favoriscono la crescita di questi ultimi, e dei sinbiotici, combinazioni di entrambi, pubblicati tra il 2015 e il 2025, gli autori hanno dimostrato che una supplementazione di questo tipo raggiunge gli stessi risultati ottenuti di norma con gli antibiotici (quando usati come promotori della crescita), con indubbi vantaggi, in diverse specie animali. Il mantenimento in salute dell’intestino dei bovini, suini, ovini, polli e conigli rafforza il loro sistema immunitario, favorisce l’acquisto di peso e migliora la resa alimentare, assicurando uno sviluppo che non richiede farmaci e conferendo una migliore digeribilità alle carni.

Oltre a ciò, interventi di questo tipo riducono al minimo la somministrazione di antibiotici e quindi il rilascio nella carne, nel latte, nel letame e nell’ambiente di antibiotici, e sono facili da adottare per gli allevatori. Con l’aumento della resistenza agli antibiotici sta crescendo in tutto il mondo l’attenzione a quelli usati negli allevamenti, e stanno aumentando le restrizioni. L’intervento sul microbiota potrebbe rappresentare una valida soluzione, contribuendo a preservare indirettamente anche il microbiota umano.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos.com

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Redento Picello Desio
Redento Picello Desio
4 Dicembre 2025 09:18

Sarebbe interessante analizzare le acque delle reti idriche delle zone di Brianza e milanese, storicamente fortemente industrializzate già dal 1850 in poi, e quelle delle pianure, fortemente agricole, ma anche a soave, piuttosto che a Barolo. E, dove presenti, analizzare, a confronto, le acque delle casette dell’acqua comunali. Il rischio peggiore è la demagogia

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