Impiegato che mangia noodles in auto durante l'ingorgo.

Lancet, una delle riviste mediche più autorevoli del mondo, periodicamente pubblica le Series, raccolte di articoli dedicati a un unico tema affrontato da diversi punti di vista. L’ultima in ordine di tempo ha come argomento gli alimenti ultra processati, sui quali il giornale vuole accendere un faro grazie al contributo di 43 tra i principali esperti internazionali del settore, e chiama tutto il mondo a un’azione paragonabile a quella intrapresa a partire dagli anni Ottanta sul fumo. Perché gli ultra processati fanno male alla salute e all’ambiente, ma la loro avanzata sembra inarrestabile, ed è motivata solo dal desiderio delle aziende di incrementare i guadagni.

Lo sottolinea l’editoriale di presentazione, e lo riassume un’infografica con tutte le informazioni principali.

La parola a Carlos Monteiro

La classificazione degli alimenti in base al livello di lavorazione è stata proposta dal brasiliano Carlos Monteiro, docente dell’Università di San Paolo, nel 2009, e prevede quattro categorie principali: alimenti poco o per nulla trasformati (NOVA1), ingredienti culinari come zucchero, sale, olio o burro (NOVA2), alimenti trasformati (NOVA3), alimenti ultra-trasformati (NOVA4). Quest’ultima categoria è spesso caratterizzata sia da elevati livelli di grassi saturi, sale e zuccheri, sia da additivi in quantità, aggiunti al fine di rendere questi prodotti iperpalatabili, e da ingredienti di scarsissimo valore nutrizionale, e molto economici. Da allora Monteiro è intervenuto regolarmente nel dibattito sugli ultra processati, con ricerche e valutazioni di vario tipo, ed è lui a firmare il primo e principale studio della serie.

Uno studio diviso in tre

Innanzitutto, spiega l’esperto, va preso atto del dilagare degli ultra processati in tutto il mondo, e del fatto che hanno sempre più rimpiazzato, talvolta fino ad annientare, le tradizioni culinarie locali. Negli ultimi quarant’anni, la percentuale di calorie fornita dagli ultra processati è passata in Cina dal 4 al 10%, in Spagna dall’11 al 32%, in Messico e Brasile dal 10 al 23%, mentre negli Usa e nel Regno Unito rappresenta da vent’anni ormai, stabilmente, più della metà di quelle giornaliere.

La seconda parte illustra che cosa ciò abbia significato: la perdita di gran parte dei nutrienti più preziosi come quelli derivati dai vegetali freschi per lasciare spazio a ciò che conferisce agli ultra processati al tempo stesso un’elevata concentrazione calorica, una consistenza irresistibile e una bassissima qualità generale. Inoltre, consumare ultra processati comporta assumere anche composti sulla cui tossicità ci sono dubbi, quando non certezze, come certi dolcificanti e coloranti, e altre categorie di molecole dannose come gli PFAS o il bisfenolo A: un mix micidiale, le cui conseguenze sull’organismo sono ancora in gran parte sconosciute.

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Gli ultra processati hanno sempre più rimpiazzato, talvolta fino ad annientare, le tradizioni culinarie locali

In questo contesto, la terza parte, scritta dopo la revisione di 104 studi di lungo termine, mostra chiaramente che in almeno 92 di essi sono emersi danni pressoché a ogni organo e tessuto verificato, con associazioni certe ad almeno 12 malattie croniche non trasmissibili quali obesità, diabete di tipo 2, patologie cardio-e cerebrovascolari, depressione, tumori e morte precoce.

I dati sono talmente chiari, hanno commentato gli autori, che anche in attesa di capire esattamente in che modo gli ultra processati danneggino l’organismo è indispensabile agire.

Che cosa fare

Il secondo lavoro, firmato da Gyorgy Scrinis, nutrizionista dell’Università di Melbourne, in Australia, e Marion Nestle, la celebre esperta della New York University, parte da una constatazione: quanto è stato fatto finora, in tutta evidenza, non basta, probabilmente perché ci si è affidati da una parte alla buona volontà delle aziende, e dall’altra alla responsabilità dei consumatori che, però, hanno un potere limitato, essendo accerchiati dagli ultra processati ovunque vadano. Inoltre, finora ha puntato quasi tutto sulla diminuzione degli zuccheri, del sale e dei grassi, ma la questione coinvolge anche, in misura non certo irrilevante, gli additivi e i metodi di lavorazione.

Occorre quindi fare decisamente di più e meglio, intervenendo in tutti gli ambiti che riguardano questi alimenti: i prodotti e i produttori, il marketing, il sistema dei fast food, quello dei supermercati e quello dei fornitori di cibo pronto. Parallelamente, si deve incentivare l’accesso al cibo sano e semplice per tutti, comprese le persone che abitano nelle zone più sfavorite e quelle che hanno limitate disponibilità economiche.

Ultra processati e strategie

L’articolo illustra una serie di strategie adottate in diversi paesi, sottolineando come sia indispensabile conoscere la realtà locale, per poi impostare politiche adatte a essa e alla sua cultura specifica.

Tutto ciò che è contenuto in un prodotto, spiegano ancora gli autori, dovrebbe essere riportato in modo chiaro sulla confezione, nella parte frontale.

Inoltre, si dovrebbero varare restrizioni molto più severe di quelle attuali per il marketing, con un’attenzione specifica a quello rivolto ai bambini anche sui media digitali.

Tra i provvedimenti, si dovrebbe vietare qualunque pubblicità in luoghi pubblici come scuole, ospedali e mezzi di trasporto, e imporre limiti alla quantità di ultra processati che si possono vendere in un singolo negozio (in proporzione al totale delle merci).

Un libro dei sogni? Forse, ma con il fumo, indicato come riferimento in tutta la Serie, è andata così, e anche nei confronti dell’alcol la situazione oggi è molto diversa rispetto a quella di qualche anno fa, anche se molto resta da fare. Alcuni paesi, del resto, ci stanno provando: il Brasile, per esempio, ha eliminato gli ultra processati dalle mense scolastiche pubbliche, ed entro il 2026 dovrebbe dare ai bambini alimenti freschi o minimamente processati fino a ricoprire il 90% delle calorie fornite.

L’accesso al cibo fresco dovrebbe essere assicurato a tutti grazie ai proventi delle tasse sugli ultra processati, aiutando i più bisognosi con appositi sussidi.

Frutta estiva assortita: albicocche, fragole, mirtilli e pesche nettarine
Si deve incentivare l’accesso al cibo sano e semplice per tutti

Uno sforzo globale

Il terzo lavoro, la cui prima firma è quella di Phillip Baker, dell’Università di Sidney, in Australia, si focalizza sulle grandi aziende, perché è da loro che parte la spinta al consumo di ultra processati, e non dai cittadini. Il risultato è che, con un fatturato annuale di 1,9 trilioni di dollari, quello degli ultra processati è il settore che assicura i ricavi maggiori in ambito alimentare. I produttori, da soli, rappresentano oltre la metà dei 2,9 trilioni di dollari che arrivano agli azionisti. Per questo, nel tempo le aziende hanno lavorato per modificare profondamente il mercato e le abitudini alimentari in tutti i paesi, rendendole sempre più a misura di ultra processato.

Tutto ciò ostacola la volontà dei governi di migliorare la qualità dell’alimentazione dei cittadini in molti modi. Per esempio, con azioni internazionali di lobbying portate avanti da un network di centinaia di soggetti collegati tra loro, con la promozione di iniziative che non hanno nulla di concreto (ma servono per offrire un’immagine virtuosa), con interferenze indebite nel settore della ricerca (attraverso finanziamenti e sponsorizzazioni strumentali), con insinuazioni di dubbi sui risultati scientifici, con infiltrazioni nelle agenzie governative, con contenziosi miliardari e con qualunque altro mezzo serva a frenare eventuali riforme restrittive.

Le strategie

Infine, il lavoro illustra alcune strategie per intraprendere un’azione globale, smontando il modello di business incentrato sugli ultra processati e indirizzando la redistribuzione delle risorse agli alimenti più sani, preservando le iniziative pubbliche e le attività di professionisti e ricercatori dai conflitti di interesse e da interferenze di qualunque tipo.

Tutto ciò presuppone di inquadrare gli ultra processati come una questione di sanità pubblica globale prioritaria, difesa e gestita da professionisti esperti in questioni legali, di marketing, di informazione e comunicazione, oltreché di nutrizione, per riequilibrare il sistema e far sì che gli stati promuovano solo tipologie di alimentazione sane e sostenibili.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos.com

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