Messico e nuvole, cantavano Enzo Jannacci, Paolo Conte e Lucio Dalla. Oggi, è proprio il caso di urlare Messico e bibite: il paese si aggiudica il primo posto al mondo per consumi di bibite zuccherate e gassate con 180 litri all’anno pro-capite, seguito dagli USA con 118 litri a testa. Apporti eccessivi di zuccheri semplici, diete squilibrate e stili di vita tutt’altro che salutari sono una piaga per i messicani e non si tratta di supposizioni, ma di statistiche ed elaborazioni confermate dall’università di Harvard.
Non sorprende che il diabete sia diventato un problema nazionale: affligge tra i 7 e i 10 milioni di cittadini; 400mila sono giovani e per loro la malattia costituisce la prima causa di mortalità. Si tratta di una vera epidemia che ha provocato mezzo milione di decessi dal 2007 a oggi, sette volte più delle 70mila vittime del crimine organizzato tradizionale.
E non è tutto. A ciò si aggiungono gravi effetti collaterali: obesità e sovrappeso colpiscono oltre due terzi della popolazione, con gravi conseguenze sulla sanità pubblica i cui costi sono aumentati in media del 130% (380 milioni di dollari USA sono stati spesi per il solo trattamento dei pazienti diabetici).
«E non é facile procurarsi frutta e verdura – spiega Yuritzin Flores, direttrice delle campagne di Oxfam México – mentre le gazzose nel nostro paese abbondano in ogni negozio».
«Sovrappeso e obesità colpiscono principalmente le classi meno abbienti», precisa Xiuh Tenorio, presidente onorario della Fundación Mídete, sottolineando come le abitudini alimentari si siano degradate negli ultimi 30 anni.
52 milioni di persone, pari al 46,5% della popolazione, secondo gli ultimi dati del Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social (Coneval), vivono in situazioni di povertà. Negli stati del sud-est, come Guerrero, Oaxaca e Chiapas, molti non hanno accesso all’acqua potabile, e si dissetano perciò con i soft drink, l’unica bevanda sempre disponibile.
«Un progetto di legge presentato al Senato lo scorso anno prevedeva di applicare una tassa del 20% sulle bevande gassate e zuccherate, come già per l’alcol e il tabacco», fa notare Xiuh Tenorio. La proposta tuttavia è fallita poichè i suoi oppositori sostenevano che in questo modo milioni di famiglie a basso reddito non avrebbero potuto accedere a un prodotto a buon mercato. C’è qualcosa che non quadra in questo e Tenorio lo sa bene: «Il Governo dovrebbe preoccuparsi che i cittadini possano ricevere acqua potabile, anziché comprare bibite zuccherate».
Una famiglia messicana spende in media 1.000-1.200 pesos (pari a 69-71 €) in acqua potabile, più del doppio del salario mensile minimo (1.900 pesos, pari a 117 €). La tassa sui refrescos (le bevande gassate e refrigerate) avrebbe garantito al governo un’entrata di 20 milioni di pesos, abbastanza per realizzare una rete idrica in grado di raggiungere l’intero paese.
Neppure le misure governative a sostegno delle famiglie meno abbienti si sono rivelate in grado di garantire un miglioramento della dieta. I soli consumi di soft drinks in Messico valgono 14,3 miliardi di dollari ogni anno (quasi 11 miliardi di euro, secondo il rapporto di Smart Planet), una somma cui gli interessati non intendono rinunciare. Per questo, i rivenditori di cibo sparsi nel paese, i cosiddetti puestos, continuano a offrire un micidiale mix di prodotti tanto economici, quanto insalubri, rigorosamente accompagnati da bibite infarcite di zuccheri.
Anche le scuole sono invase da snack, patatine fritte, gelati e bibite, con buona pace dei dati agghiaccianti sull’incidenza di sovrappeso e obesità nei bambini e negli adolescenti, denunciano i volontari di Fight Against Obesity, un programma designato a promuovere diete equilibrate presso i giovani messicani.
Chi in questa storia ha maggiori responsabilità?
I grandi gruppi industriali e le loro reti distributive disattendono qualsiasi impegno nel fornire alla popolazione messicana alimenti sani e nutritivi. «Soffriamo ancora le malattie del sottosviluppo», si legge nel rapporto di Smart Planet. «Alle malattie infettive, alla malnutrizione, tipiche dei paesi poveri, in Messico si sommano i mali dei paesi industrializzati, come cancro, obesità, diabete e malattie cardiovascolari».
Tornano allora alla mente gli allarmi lanciati da Otaviano Canuto e da Michael Moss sui danni legati alla diffusione del junk food in ogni parte del globo, accanto ai rapporti di Oxfam sullo sviluppo sostenibile. Non solo i governi, ma anche gli operatori privati devono assumersi delle responsabilità sulla sicurezza alimentare, da intendersi anche e soprattutto come sicurezza nutrizionale.
Sfamare gli affamati é indispensabile, ma gli alimenti di bassa qualità nutrizionale non sono affatto utili.
Dario Dongo
© Riproduzione riservata
Foto: Photos.com
Per maggiori informazioni:
- un articolo di The Economist del 10 aprile 2013
- un articolo de El Paìs del 23 marzo 2013
- un post dal blog Occam’s Razor del 21 marzo 2013
- un servizio della testata Voxxi del 29 aprile 2013
- un servizio della testata Bariatric News del novembre 2012
Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade