Gruppo di ragazzi e ragazze adolescenti appoggiati a un muro mentre guardano gli smartphone

 

Le pubblicità di alcolici anche di pochi secondi veicolate tramite i social sono correlate a un aumento del consumo, che si riflette in ogni parametro che misuri l’abitudine a bere. Bisognerebbe tenerne conto, soprattutto perché gli effetti più rilevanti sono a carico dei più giovani, che acquisiscono consuetudini sbagliate fino dalla prima adolescenza, senza rendersi conto di essere stati stimolati a farlo. Questa la conclusione di una grande metanalisi di decine di studi condotti in diversi paesi negli ultimi anni, confermata anche da un test effettuato dagli autori su un loro campione di ragazzi, sull’insidiosa influenza dei messaggi video sui comportamenti di più giovani.

Il bicchiere e l’algoritmo

Per verificare che cosa si è capito dell’impatto degli spot di alcolici più o meno espliciti proposti dagli algoritmi dei social, i ricercatori della Rutgers University di New Brunswick (New Jersey) hanno analizzato sei database diversi e trovato decine di studi che hanno affrontato il tema. Dopo una rigorosa selezione ne hanno tenuti in considerazione 31, che avevano studiato l’argomento coinvolgendo, in totale, oltre 62.700 giovani di diversi paesi. In più di otto casi su dieci i partecipanti, metà ragazze e metà ragazzi, erano adolescenti, di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, mentre gli altri erano maggiorenni.

Ragazza tiene in mano smartphone con TikTok aperto su un video di una ragazza con in mano una bibita alcolici
Gli influencer non fanno una pubblicità diretta ma bevono mentre parlano di altro

Come riferito su Lancet Public Health, il lavoro ha confrontato alcuni indicatori, cercando differenze tra i ragazzi esposti a qualche pubblicità tramite social e chi no. Il risultato è stato che i primi avevano una probabilità di avere assunto alcolici nei trenta giorni precedenti superiore del 75% rispetto ai secondi. Analogamente, il loro rischio di avere avuto episodi di consumo eccessivo (binge drinking) era più alta dell’80%, e quella di essere predisposti al consumo del 78%. Interessante anche la grande varietà di contenuti di promozione: si andava infatti dai video esplicitamente sponsorizzati all’intervento degli influencer, che a volte non fanno una pubblicità diretta ma bevono mentre parlano di altro, e poi c’erano campagne promozionali, concorsi a premi e altro ancora.

Una stretta associazione

Lo studio non dimostra che vedere un video causa un certo comportamento, ma che esiste una stretta associazione tra le due cose, e per questo gli autori si augurano che siano presto effettuate ricerche specifiche. Loro stessi hanno sperimentato gli effetti dei video su un campione di circa duemila ragazzi, e dimostrato che chi aveva visto una pubblicità digitale aveva una probabilità da 1,5 a 2,5 volte più alta di esprimere interesse verso l’alcol rispetto a chi non aveva visto alcun contenuto, e questo restava valido anche quando i secondi avevano bevuto alcolici nei 30 giorni precedenti. La forza dei messaggi veicolati tramite il cellulare sembra quindi superare anche quella delle esperienze reali.

L’editoriale di commento

Una lettera pubblicata dai medesimi autori su Addiction, ribadisce gli stessi concetti ed è scritta a commento di un editoriale nel quale, parlando altri dati simili, alcuni esperti giungono alle stesse conclusioni, suggerendo misure che potrebbero aiutare ad avere più controllo su ciò che viene proposto agli adolescenti.

Tra le altre, si potrebbe gestire in modo diverso il registro di utilizzo degli smartphone, o la raccolta passiva dei dati tramite il browser, o si potrebbero sfruttare le app con un’intelligenza artificiale che automaticamente registrano il tempo di navigazione e il tipo di contenuti: gli strumenti tecnici, in altre parole, non mancano.

Ed è ora di agire. Ormai gli studi che hanno dimostrato l’associazione tra esposizione e comportamento pericoloso e suscettibile di dipendenza sono molto numerosi, e portano tutti alle stesse conclusioni. Ma poiché sono stati spesso studi di associazione, è facile per i produttori di alcolici (o di tabacco, o per i gestori di giochi online) affermare che non è dimostrata l’esistenza di un rapporto diretto, e schivare divieti e vincoli.

Che sia possibile mettere in campo misure preventive lo dimostra la vicenda, simile, delle sigarette elettroniche. Da quando sono state vinte diverse cause perché si è potuto fare affidamento su dati scientifici rigorosi, sono state via via introdotte norme più restrittive (per esempio, è vietato mostrare e-cig nei video musicali, in Europa). La conseguenza? La diffusione tra i più giovani ha rallentato molto la sua corsa.

Agire è possibile, basta volerlo.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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