I bollitori elettrici sono sempre più diffusi anche nelle case degli italiani, grazie alla loro praticità, alla velocità con la quale portano l’acqua a ebollizione e al fatto che permettono di non usare pentole. Spesso, però, chi li usa si pone una domanda: quando non tutta l’acqua del rubinetto viene utilizzata, è corretto lasciarla nel bollitore per sfruttarla la volta successiva oppure, come affermano alcuni messaggi sui social e non solo, è meglio cambiarla ogni volta, perché può diventare pericolosa?
A fornire una risposta è Faisal Hai, docente e direttore della School of Civil, Mining, Environmental and Architectural Engineering dell’Università di Wollongong, in Australia, su The Conversation, che spiega perché non bisogna affatto avere timore dell’acqua rimasta nel bollitore, che può essere utilizzata più volte senza esporsi ad alcun rischio.
La qualità dell’acqua conta
Innanzitutto, premette Hai, com’è noto la bollitura disinfetta l’acqua, e questo dovrebbe rassicurare. Ma l’argomento che più spaventa, sui social, è quello della supposta concentrazione di sostanze, come l’arsenico, il fluoro o i nitrati, che aumenterebbe utilizzo dopo utilizzo: una rappresentazione della realtà falsata, che non corrisponde a quanto accade. Per spiegare perché, Faisal parte dalla composizione dell’acqua del rubinetto della sua zona, fornita dalla Sidney Water, il più grande gestore pubblico australiano, che rende noti i valori delle analisi.
Secondo quanto si legge, l’acqua ha un pH leggermente alcalino, una concentrazione di sali tale da non provocare accumulo di calcare nelle tubature o negli elettrodomestici, un contenuto di fluoro adeguato per supportare la salute dentale di chi la beve, ed è ‘dolce’, nel senso che ha una durezza totale inferiore a 40 milligrammi di carbonato di calcio per litro. Contiene poi tracce di metalli come ferro e piombo, livelli di magnesio così bassi da non essere percepiti al gusto e concentrazioni di sodio inferiori a quelle presenti nelle bevande analcoliche più diffuse. Tutti i valori rientrano ampiamente nei limiti fissati dalle autorità sanitarie del paese.

Fatta questa seconda premessa, e cioè posto che l’acqua fornita dall’acquedotto abbia le carte in regola, secondo Hai non c’è alcun rischio. Ed ecco perché.
Il bollitore concentra sostanze potenzialmente nocive?
Anche se si mettessero in pratica comportamenti inusuali come, per esempio, lasciare che un bollitore, scoperto, continui a bollire, riaccendendolo dopo che la valvola, presente in tutti o quasi i dispositivi, ne abbia causato lo spegnimento per il raggiungimento della bollitura, i sali, i metalli e le altre sostanze presenti sono in quantità troppo basse per concentrarsi fino a livelli pericolosi. Durante la bollitura, le sostanze volatili evaporano (per lo più al raggiungimento dei 100 °C, anche se una parte evapora anche prima), ma quelle non volatili come i sali no, restano in soluzione. La concentrazione di questi ultimi può dunque effettivamente aumentare con la bollitura, ma mai a livelli tali da destare preoccupazione.
Facciamo due conti
Facciamo un esempio pratico. Al mattino si mette nel bollitore un litro di acqua con una concentrazione di fluoro pari a 1 mg (valore che rientra nei limiti delle linee guida australiane) e poi si prepara una tazza di tè da 200 millilitri (ml). Quindi, nel pomeriggio, si prepara un’altra tazza con la stessa acqua. Se il bollitore funziona a dovere, e cioè interrompe l’ebollizione subito dopo che è iniziata ed è dotato di coperchio (che permette al vapore acqueo di condensare e poi ricadere giù, senza disperdere acqua), la quantità effettiva di acqua perduta nelle due bolliture è minima. E ciò significa che la concentrazione di fluoro è aumentata di pochissimo.
Anche se, quando si prepara la seconda tazza, si lasciasse bollire l’acqua fino a perderne 100 ml, e quindi se ne diminuisse sensibilmente la quantità, con la seconda tazza si assumerebbero circa 0,23 mg di fluoro, cioè una quantità appena superiore a quella assunta con la prima, di 0,20 mg.

Lo stesso principio vale per tutto ciò che è dissolto nell’acqua, come il piombo. Nelle analisi del gestore, la concentrazione iniziale era di 0,0001 mg/l, e quella considerata pericolosa è cento volte superiore, ossia di 0,01 mg/l. Per ottenerla dall’acqua di partenza, sarebbe necessario far bollire venti litri di acqua fino a quando non ne restano 200 ml: un’evenienza che di fatto non si verifica mai (anche perché, come detto, quasi tutti i bollitori, anche i più rudimentali, hanno un meccanismo di spegnimento automatico).
Il bollitore altera il gusto dell’acqua?
Quindi, l’unica variabile veramente importante è l’acqua di partenza, ma poiché si suppone che l’acqua degli acquedotti sia controllata e abbia i parametri in regola, il rischio è quasi nullo. Ci può essere un effetto sul sapore o l’odore che, però, dipendono esclusivamente dalle specifiche dell’acqua della zona, da variabili di altro tipo, e dai gusti e dalla sensibilità personali. La leggera perdita di sali o le variazioni nella concentrazione di ossigeno durante la bollitura possono alterare il sapore o l’odore, ma di poco e in relazione sempre alla percezione del singolo. La conclusione non può quindi che essere rassicurante: se l’acqua del rubinetto è conforme a quanto previsto, rimane potabile e soprattutto sicura anche dopo numerose bolliture.
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Giornalista scientifica


