Una sentenza storica in Galizia (Spagna) ha riconosciuto per la prima volta in Europa che l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi può violare i diritti fondamentali della popolazione. Il Tribunale Superiore di Giustizia di Galizia (TSXG) ha condannato la Xunta (il governo regionale) e la Confederación Hidrográfica Miño-Sil per non aver controllato, per oltre vent’anni, l’impatto ambientale degli oltre 300 megallevamenti di suini e pollame attivi nella comarca (regione) di A Limia, attorno al bacino idrico di As Conchas. L’area è oggi satura di nitrati, antibiotici e cianobatteri, con un grave degrado ambientale e condizioni di vita definite dai giudici “intollerabili”.
Secondo la Corte, le amministrazioni hanno violato il diritto alla vita e all’integrità personale, in relazione all’inviolabilità del domicilio, alla proprietà e all’accesso all’acqua potabile. Gli abitanti, infatti, da anni convivono con odori nauseabondi, gas irritanti e la costante ansia di utilizzare l’acqua dei pozzi o del rubinetto. La sentenza – 113 pagine approvate in tempi record – obbliga le autorità a porre rimedio immediato al degrado ambientale e a garantire acqua sicura. Prevede inoltre un risarcimento mensile di mille euro ai cittadini coinvolti, fino a un massimo di 30mila euro per ciascuno.

La causa contro l’inquinamento degli allevamenti intensivi
La causa – riporta il quotidiano spagnolo El País – intentata da sette residenti, dall’Associazione di quartiere del villaggio di As Conchas (Lobeira, provincia di Ourense) e dalla Confederazione Spagnola dei Consumatori e degli Utenti (CECU) con il contributo legale di ClientEarth e Friends of the Earth. In aula gli esperti hanno evidenziato la presenza nell’ambiente di nitrati, il problema degli odori insopportabili e delle falde contaminate. Fatti che hanno portato il tribunale a stabilire come le autorità abbiano ignorato gli obblighi previsti sia dalla Costituzione spagnola sia dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
Per la prima volta, un tribunale europeo applica il paradigma dei diritti umani alla gestione degli allevamenti intensivi. Non si tratta solo di una questione ambientale, quindi ma di salute pubblica, trasparenza istituzionale e giustizia sociale. La sentenza riconosce il disagio causato dall’emissione di gas e dagli odori provenienti dal bacino idrico. I magistrati sottolineano che la “situazione di rischio per la salute derivante dal consumo e dall’uso dell’acqua, a causa dell’alta concentrazione di nitrati e cianobatteri” provoca “angoscia e ansia” per il prolungarsi nel tempo, “quasi 24 anni”. I Giudici evidenziano anche la gestione inefficace dei rifiuti, che finivano in luoghi non controllati senza verificare la possibile presenza di antibiotici e sostanze chimiche derivate da farmaci veterinari, che hanno saturato il terreno, con un danno ambientale evidente.
Anche in Italia emergono criticità simili
In Italia, il tema dell’inquinamento da nitrati legato alla zootecnia intensiva è da tempo oggetto di attenzione da parte di ARPA e ISPRA. La Relazione ISPRA-Sintai per il quadriennio 2020-2023 (la più recente) conferma che molte falde acquifere nelle regioni del Nord – in particolare Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – mostrano concentrazioni di nitrati superiori ai limiti di legge (50 mg/l), soprattutto in zone con alta densità di allevamenti suinicoli e avicoli. In alcune aree della provincia di Brescia, ad esempio, si registrano superamenti sistematici in oltre il 30% dei punti di monitoraggio.
A causa della dispersione di liquami zootecnici non sempre gestiti in modo corretto, il carico di azoto complessivo spesso supera la capacità dei suoli di assorbirlo, provocando accumuli pericolosi per la salute umana e l’ecosistema. Alcune province lombarde e venete sono state infatti individuate come “zone vulnerabili ai nitrati” (ZVN), soggette a vincoli per l’uso dei fertilizzanti organici. Nell’ultima relazione, tuttavia, si evidenzia un leggero miglioramento della qualità delle acque sotterranee e superficiali.
La situazione italiana, sebbene regolata da normative nazionali e direttive europee, risente della difficoltà a far rispettare limiti e controlli in territori con una forte pressione produttiva. La sentenza galiziana può rappresentare un precedente giuridico e culturale importante anche per il nostro Paese, richiamando le istituzioni alla responsabilità e i cittadini alla consapevolezza.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare




Ultima frase dell’articolo riferita al nostro paese “richiamando le istituzioni alla responsabilità e i cittadini alla consapevolezza”. In Italia i cittadini hanno già la consapevolezza…le istituzioni non si assumono mai le responsabilità. E come ha detto Papa Francesco bisognerebbe avere “Vergogna di aver perso la vergogna”.
il maggior profitto derivante dall’abbattimento dei costi ha portato a concentrare sempre più capi in zone sempre più ristrette nella vicinanza di mattatoi e mangimifici premendo sulla popolazione che se và bene si è vista offrire un posto di lavoro per loro e/o i loro figli.
I vantaggi erano carne latte e uova allora a bassi prezzi quindi accessibili a tutti, ora si è persa la percezione del valore e si subiscono le speculazioni della grande distribuzione.
Alcuni imprenditori hanno voluto concentrare gli allevamenti intensivi costruendone di nuovi e sempre più grandi ed impattanti per emissioni gassose, consumi idrici e scarichi di acque reflue nei suoli forzatamente resi agricoli. Altri hanno sostenuto costi di trasporti e distribuzione più alti lasciano un territori molto ampi allevamenti medio piccoli a gestione familiare meno impattanti e più socialmente accettati dalle popolazioni locali.
Indietro non si torna, sarà il mercato e i costi di gestione più alti dei mega allevamenti dovuti ad impianti aggiunti di abbattimento odori, barrire verdi , eventi socio ambientali, contributi e partecipazioni a forme di agricoltura sostenibile ed extra sostenibile a decretarne l’uscita dal mercato o la riconversione.
Bisognerà solo attendere.
Non condivido la “confusione” tra mancato rispetto di norme relative alle emissioni inquinanti e, genericamente, “allevamenti intensivi”. Ritengo che tra i “diritti della comunità” ci sia anche quello di alimentarsi con fonti proteiche a costo contenuto.Gli allevamenti intensivi hanno, appunto, questa finalità. Bisogna solo trovare un giusto equilibrio tra legittime esigenze, senza utopici ritorni al passato ( che comporta minore produttività, maggiori costi del prodotto, maggiore consumo di suolo…) e senza inseguire irreali “umanizzazioni” del mondo animale.
Che le Istituzioni intervengano per sanare gravi situazioni è sicuramente un bene, come è avvenuto in Galizia, ma è una Giustizia applicata a posteriori: vera Giustizia sarebbe quella applicata a priori per prevenire le speculazioni di allevatori e distribuzione creando un Piano di Igiene Ambientale così come si fa con i piani urbanistici depositati nei comuni e applicati al momento del rilascio dei permessi.
Mi pare una cosa profondamente corretta. Anche in Italia sarebbe buona cosa. Sono decisamente favorevole
Sarebbe possibile avere i titoli di un paio di saggi riguardanti gli allevamenti intensivi, con un taglio scientifico più che di denuncia. Mi servono per fare lezioni ad adulti. Grazie in anticipo. Saluti.
Era ora che si riconoscesse non solo il danno ambientale, ma anche alla salute! Che poi trovo le due cose strettamente collegate