
Dopo un decennio di fortune altalenanti, le proteine alternative a quelle animali, chiamate anche ALT, stanno conoscendo un momento di grande riscossa in Europa. E questo accade perché le aziende e diversi paesi stanno sostenendo la ricerca per ottimizzare gli aspetti più critici, e rendere il prezzo del tutto abbordabile da parte di tutti.
Il rapporto del Good Food Institute
La rinascita delle ALT europee è certificata da un dato, su tutti: l’enorme crescita dei brevetti presentati all’autorità dell’Unione, che negli ultimi anni sono aumentati del 960%. Lo riporta un documento appena pubblicato dal Good Food Institute, che fa il punto sulla situazione nel vecchio continente.
Va premesso un fatto: i brevetti presentati non sono necessariamente approvati; anzi, solo una piccola parte di essi lo è. Anche tenendo conto di questa precisazione, però, osservando i dati dal 2015 a oggi si vede un chiarissimo incremento: se dieci anni fa le candidature sono state 124, e le approvazioni 26, nel 2024 le prime sono state 1.191, le seconde 173, con un rapporto, quindi, quasi di uno a dieci per le richieste, indicatori di vivacità del settore.
Interessante, poi, il panorama geografico dei brevetti: al primo posto spicca la Svizzera, con 1.232 domande presentate in 126 tipologie di prodotti, seguita dall’Olanda, che ne ha chiesti 884. La Germania è stato invece il paese in cui c’è stato il numero più elevato di soggetti singoli che hanno ottenuto un via libera: 82, su 596 domande. I paesi nordici come Finlandia, Danimarca e Svezia ne hanno depositati il maggior numero in relazione agli abitanti. L’Italia si trova nella parte bassa della classifica, con solo 133 dossier presentati in dieci anni: un numero molto piccolo, soprattutto se rapportato agli abitanti.

Le proteine alternative
Per quanto riguarda le tipologie, ben 4.000 richieste riguardavano sostituti vegetali della carne, che rappresentano il 74% del totale, e che costituiscono un settore considerato ormai maturo, anche se con margini di miglioramento.
Una quota inferiore è stata invece quella dedicata sia alle carni coltivate sia alle proteine ottenute da fermentazione, con particolare interesse per le uova, il latte e i derivati non ricavati da animali, un ambito in cui l’attenzione dei consumatori – e le richieste – stanno crescendo a vista d’occhio.
Solo l’1% dei brevetti riguardava invece il pesce, segno di un interesse inferiore o, più probabilmente, di meno ricerca. Fatto che, però, indica anche che i sostituti del pesce potrebbero crescere molto, nei prossimi anni.
Tra le aziende si trovano poi sia le grandi come Unilever (con 210 brevetti presentati), Givaudan (142) e Nestlé, che guida la classifica con 744 richieste, sia altre più piccole, nazionali come Roquette Frère (con 324 dossier), DSM-Firmenich (221).
Gli ambiti nei quali ferve la ricerca
Per capire quali siano i settori dove c’è maggiore fermento, si devono osservare gli oggetti dei brevetti. Moltissimi riguardano possibili ingredienti o tecnologie per migliorare alle condizioni nelle quali far crescere grandi quantità di proteine alternative, ed emerge una grande attenzione verso la texture e il gusto da una parte, e tutto ciò che può rendere i processi più efficienti e quindi più economici dall’altra. Questo non stupisce, dal momento che tutte le ricerche di mercato svolte negli ultimi anni hanno individuato proprio questi due punti deboli: il gusto, ancora perfezionabile, e il costo.
Oltre alle uova e ai formaggi ottenuti da fermentazione, l’interesse riguarda le carni coltivate e la nuova frontiera delle stesse, ovvero le carni ibride, che potrebbero superare sia alcuni limiti organolettici (soprattutto per la texture) sia gli ostacoli relativi ai costi.
Secondo Food Navigator, uno degli ultimi sondaggi effettuati da YouGov indica che una percentuale compresa tra il 35 e il 63% degli europei è disponibile a provare la carne coltivata, e che metà è pronta ad assaggiare le uova e i formaggi non derivanti dalle fonti tradizionali. Ma resta ancora molta strada da fare. Stando a un’altra indagine recente il gradimento per le proteine animali, tra gli europei, è ancora 2,3 volte superiore a quello per le ALT, e se io 30% ama queste ultime, il 35% non le gradisce affatto.
Gli investimenti pubblici e privati
In Italia, secondo dati presentati a un incontro svoltosi in febbraio, i consumi di ALT sono aumentati del 16% in due anni, e le opportunità di crescita non mancherebbero, anche perché la ricerca punta molto sul gusto e potrebbe fornire prodotti che potrebbero avere successo anche all’estero. Quello che tuttavia non si vede, in rapporto ad altri paesi che stanno investendo moltissimo come la Spagna, il Regno Unito, o la Finlandia è la volontà politica di sostenere la ricerca e lo sviluppo. E ciò si riflette nel numero di brevetti.
Per confronto, sempre secondo stime del GFI, la Germania, grazie ai suoi investimenti, entro il 2045 avrà 250.000 nuovi posti di lavoro e ricavi per 65 miliardi di euro dalle ALT.
Il mercato globale delle ALT è di poco inferiore ai trenta milioni di dollari, con una crescita prevista del 14,1% nei prossimi cinque anni, e tocca tutti gli ambiti: dalle carni ai formaggi, dai gelati al latte, fino al poco sfruttato (per ora) pesce.
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Giornalista scientifica
la ricerca scientifica ha dimostrato che i cibi ultra processati sono dannosi per la salute; tutti questi sostituti della carne sono ultra processati; vergognoso che una rivista seria come Il Fatto Alimentare li propagandi; per chi non vuole mangiare carne meglio mangiare legumi o latticini, non cibi industriali che della carne sono una malsana imitazione
Gentilissimo, abbiamo più volte trattato il tema degli alimenti ultra processati e ne abbiamo fatto anche un libro. Non si tratta di propaganda, ma di informazione.
Questi ‘sostituti’ non devono sostituire legumi o verdure ma gli equivalenti animali – prosciutti, salsicce ecc. Inoltre la ricerca ha dimostrato che non tutti gli ultra-processati sono uguali: se guardiamo alle categorie prese in esame non ci sono mai i prodotti vegan ma quasi unicamente bibite zuccherate e carne rossa processata
da quanto mi risulta dalle mie letture, gli ultraprocessati potrebbero essere dannosi in quanto contenenti sostanze atte a stabilizzare, addensare, colorare, esaltare, regolare, emulsionare, antiagglomerare, conservare, edulcorare, ecc., e, in particolare, se queste svolgono azioni ambigue e non ben definite da studi approfonditi. allo stato apparente delle conoscenze attuali, se tali additivi sono naturali, ridotti all’essenziale e, almeno finora, non adombrati da dubbi scientifici, non dovrebbero essere considerati malsani. certo, conviene sempre adottare delle scelte più semplici, se si desiderano alternative alla carne, come i legumi, vari tipi di semi o cereali con più alto tenore proteico, ecc. e chissà se domani dovremo e vorremo aggiungere anche gli insetti…