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Chi soffre di sclerosi multipla dovrebbe dare ampio spazio al pesce, nella dieta quotidiana, perché un consumo regolare sembra essere associato a un significativo rallentamento della progressione della malattia.

La sclerosi multipla è una patologia di origine autoimmune, nella quale gli autoanticorpi reagiscono contro la mielina, la guaina che protegge le fibre nervose, distruggendola. Ciò porta a danni irreversibili ai nervi che, nel tempo, provocano la perdita di mobilità e la progressiva neurodegenerazione. Le cause sono sconosciute, anche se è accertato che un nutriente del pesce, la vitamina D, giochi un ruolo, insieme a fattori genetici, e forse a infezioni virali.

Come tutte le malattie autoimmuni, la sclerosi multipla ha un andamento ciclico: a periodi di acutizzazione, con crisi anche molto dolorose, ne seguono altri di relativa calma immunologica, nei quali la situazione è tranquilla, e l’attacco alla mielina a bassa intensità. Per questo lo scopo di molte delle terapie oggi disponibili è quello di tenere sotto controllo il sistema immunitario, preservando il più a lungo possibile gli intervalli tra una crisi e l’altra, e cercando di renderli duraturi. A queste cure, però, presto potrebbe essere affiancato un consiglio dietetico: quello di mangiare molto pesce, sia a carne magra, sia con elevati valori di acidi grassi insaturi. Uno studio appena pubblicato su Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry suggerisce infatti che i benefici di una dieta nella quale il pesce sia molto presente possano essere rilevanti, sulla progressione.

Un’osservazione durata due decenni

Per verificare un eventuale ruolo del pesce, i neurologi del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, hanno attinto all’Epidemiologic Investigation of Multiple Sclerosis (EIMS), uno studio epidemiologico lanciato nel 2005. Lì hanno verificato i dati di oltre 2.700 pazienti arruolati fino al 2015, che all’ingresso nella ricerca avevano in media 38 anni.Orate e branzini alternati sul ghiaccio

I partecipanti, che dovevano fornire dettagliate informazioni sulle proprie abitudini, comprese quelle alimentari, sono stati suddivisi in diverse categorie, a seconda della quantità media di pesce mangiato: coloro che non ne mangiavano mai, coloro che ne consumavano da una a tre porzioni al mese e coloro che erano soliti mangiarne tutte le settimane. Inoltre, si è tenuto conto del fatto che i pesci più consumati fossero a carne magre oppure grasse, oppure mix di entrambe le tipologie.

Per quanto riguarda la progressione della malattia, si è misurata con una delle scale ufficiali, chiamata Expanded Disability Status Scale (EDSS), secondo la quale il peggioramento si verifica quando c’è un incremento di almeno un punto tra un controllo e il successivo, avvenuto dopo sei mesi.

I benefici del pesce

Incrociando dati clinici e dietetici, il risultato è stato che coloro che mangiavano le quantità più elevate di pesce avevano avuto una diminuzione del rischio di peggioramento della disabilità del 44%, e una dell’andamento della malattia verso stadi più gravi di entità simile, rispetto a chi ne mangiava di meno. L’associazione, che non dimostra un rapporto di causa ed effetto, ma solo una relazione, è risultata del tutto simile con le diverse tipologie di pesce, ed è rimasta evidente anche dopo l’introduzione di fattori correttivi come l’età, il genere, il peso o il fumo.

Il cambio di abitudini

L’indagine ha avuto un’evoluzione nel 2021. In quell’anno, infatti, i ricercatori hanno chiesto a circa 1.700 partecipanti di riferire su eventuali cambiamenti nelle abitudini alimentari e, in effetti, si è visto che circa uno su quattro aveva modificato il proprio apporto di pesce: due terzi lo avevano aumentato, un terzo diminuito. Anche in questo caso, chi aveva incrementato il pesce nella propria dieta aveva avuto una diminuzione del rischio di peggioramento della disabilità del 20%, rispetto a che non ne mangiava mai, o lo faceva solo saltuariamente. L’effetto è stato poi spettacolare tra coloro che erano passati dai livelli minimi a quelli massimi: per loro, il rischio era calato addirittura del 59%, rispetto a quello di chi non aveva mai introdotto il pesce.

I nutrienti misteriosi

Oltre alla tendenza generale, c’è stato infine un dato che ha destato particolare interesse: il fatto che l’efficacia del pesce si sia vista con tutti i tipi di pesce, a carni magre o grasse. Il che significa che, oltre agli acidi grassi omega-3, il cui effetto antinfiammatorio è noto, e positivo per i malati di sclerosi multipla, quasi sicuramente c’è qualcos’altro che esercita un’azione benefica. Secondo gli autori, potrebbe trattarsi dell’aminoacido taurina, di cui il pesce è ricco. La taurina è infatti l’aminoacido più presente in forma libera nel cervello, e l’organismo non lo produce in quantità sufficienti dall’organismo, ma deve assumerlo anche con la dieta. Le sue funzioni sono, tra l’altro, antiossidanti e protettive nei confronti delle cellule nervose, e questo potrebbe spiegare perché consumare abitualmente alimenti che ne contengano elevate quantità sia positivo, per i malati.

L’ipotesi merita un approfondimento. Nel frattempo, ciò che emerge con forza è l’importanza della dieta nel contrastare la progressione della malattia, probabilmente superiore rispetto a quanto si sia sempre pensato.

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Clay
Clay
12 Marzo 2025 10:38

Ipotesi della taurina intrigante, che va oltre l’assunzione dei più famosi acidi grassi a catena lunga epa e dha, insieme a vitamina D.
Scomporre un alimento in singoli nutrienti da assumere come integratori non è sempre saggio ma il pesce è davvero troppo inquinato. Attendiamo sviluppi

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