
Che cosa accade se si adotta una dieta che ha lo scopo di ridurre drasticamente la presenza di alimenti ultra processati (o UPF), di cui, in molti paesi, è ormai composta almeno la metà delle calorie assunte ogni giorno? La domanda, posta dai nutrizionisti della Drexel University di Filadelfia, è anche, indirettamente, un interrogativo sul ruolo degli ultra processati nel dilagare dell’obesità e delle malattie correlate. Secondo molti espetti ci sarebbero proprio i prodotti industriali all’origine del fenomeno, non del tutto spiegabile con l’eccesso di calorie o con la sedentarietà. Per questo, più che cercare di convincere le persone ad aderire ai dettami di regimi quali la dieta mediterranea o simili, o a rinunciare a intere categorie di nutrienti come i carboidrati, o a ridurre drasticamente le calorie, si è cercato di tornare a un’alimentazione basata su cibi poco lavorati e di modificare stabilmente le abitudini.
Lo studio
A tale scopo, gli autori hanno selezionato 14 persone in sovrappeso o già obese che consumavano abitualmente UPF, e le hanno inserite in un programma della durata complessiva di due mesi, che prevedeva diversi tipi di approcci. Come riferito su Obesity and Science Practice, oltre a ricevere consigli su come dimezzare la quantità di alimenti industriali e pianificare i pasti in anticipo, i partecipanti si dovevano sottoporre ad alcune sedute di mindfulness, la tecnica psicologica incentrata sulla consapevolezza del momento.
Il programma prevedeva sedute settimanali con un coach, attività a due e di gruppo, e percorsi finalizzati a comprendere i propri comportamenti alimentari, le strategie più efficaci per combattere il desiderio di UPF e altri sui benefici di cucinare in casa, autonomamente, i propri pasti con ricette semplici, veloci e gustose. Inoltre, tutti ricevevano un incentivo economico (cento dollari) finalizzato ad acquistare alimenti di qualità, anche se un po’ più cari di quelli abituali.
Tutti, infine, si impegnavano a compilare un questionario convalidato nel quale dovevano segnare ogni giorno tutto ciò che mangiavano, compresi gli eventuali snack, sia durante la settimana che nei week end, giorni nei quali è frequente l’assunzione di alimenti diversi da quelli soliti.

I risultati della dieta
I risultati sono andati anche al di là delle aspettative. I volontari hanno infatti dimezzato (-48,9%) la quantità di ultra processati acquistati e consumati, e questo ha consentito loro di assumere mediamente 600 calorie da UPF in meno ogni giorno (da 1944 a 992). Il numero di UPF assunti quotidianamente è passato da 11,5 a 6,2, e la percentuale di calorie dal 74,4 al 50,5%. Dopo i due mesi, tutti avevano migliorato decisamente la propria dieta, e ottenuto benefici evidenti. Il consumo di acidi grassi saturi era sceso del 37%, quello di zuccheri del 50% e quello di sale del 28%. Le calorie totali sono scese da 2.561 a 1.949, e il peso era diminuito in media di circa 2,5 chilogrammi.
Uno degli aspetti più significativi rispetto al ruolo degli ultra processati è stato il fatto che i partecipanti non hanno incrementato in misura rilevante il proprio consumo di frutta e verdura. In altre parole, il solo fatto di eliminare dalla propria dieta una porzione significativa di UPF ha avuto un effetto davvero notevole. Il che significa, anche, che non è necessario che le persone cambino radicalmente abitudini per stare meglio, ma solo – si fa per dire, vista la pervasività di questi prodotti – che cerchino di eliminare quelli peggiori, e di trovare il corrispettivo degli UPF in alimenti meno lavorati, possibilmente freschi e cucinati a casa.
Sostegni economici e psicologici
Un altro aspetto interessante di uno studio che, dal punto di vista delle dimensioni del campione – solo 14 persone seguite per due mesi – potrebbe essere criticato, è il fatto che, oltre ai consigli dietetici, i partecipanti sono stati sostenuti dal punto di vista psicologico, così come da quello economico. È noto che gli UPF inducono dipendenza, per accentuare le quali sono appositamente formulati. Non deve quindi stupire che un supporto di tipo psicologico possa fare la differenza, e che chi ne usufruisce riesca a combattere le tentazioni in modo più efficace e duraturo.
Un discorso analogo vale per il sostegno economico. In questo caso, infatti, i partecipanti hanno avuto un voucher da spendere in negozi che vendevano frutta e verdura fresche, e tutti ne hanno usufruito pienamente.
Nelle interviste che hanno accompagnato le rilevazioni antropometriche e cliniche, tutti si sono detti entusiasti per l’aiuto ricevuto, e hanno affermato di sentirsi di buon umore e pieni di energie, anche perché hanno avuto riscontri tangibili in un tempo molto breve.
Un modello da approfondire
I risultati ottenuti dai ricercatori di Filadelfia mostrano l’efficacia di un approccio multidisciplinare, che non si limiti alla sola riduzione delle calorie o all’esclusione di certe categorie di alimenti. Modificare le proprie abitudini è un compito più complesso di quanto si potrebbe pensare, e le probabilità di successo aumentano in misura significativa se c’è un aiuto psicologico mirato. A maggior ragione, crescono se a questo si unisce un incentivo economico, perché è dimostrato che spesso le persone ricorrono a cibo di cattiva qualità mosse dal desiderio di risparmiare.
Lo studio, che era un progetto pilota, dovrebbe essere ora replicato su un campione più ampio di persone, allo scopo di mettere a punto un protocollo standardizzato da proporre a chiunque voglia o debba perdere peso, e migliorare i propri parametri metabolici, imparando a mangiare meglio.
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Giornalista scientifica