
New York come la Cina: con un ordine esecutivo, la governatrice Kathy Hochul ha ordinato la chiusura immediata di tutti i mercati che vendono animali vivi (volatili ma non solo) per una settimana, come misura preventiva per contenere la diffusione dell’influenza aviaria ad alta patogenicità H5N1 HPAI. L’ordine riguardava la città di New York e le contee di Nassau, Suffolk e Westchester, ed era valido per tutte le rivendite, comprese quelle nelle quali non era stato trovato neppure un uccello malato.
Anche se il rischio rimane basso per gli uomini, la misura si è resa necessaria dopo che, nelle scorse settimane, sono stati trovati focolai di virus H5N1 HPAI in sette mercati che vendevano animali vivi nel Bronx, nel Queens e a Brooklyn, durante i normali controlli effettuati fino alla fine di gennaio da parte del Department of Agriculture and Markets.
Le misure prevedevano l’interruzione della vendita di pollame vivo tra il 7 e il 14 febbraio, l’esecuzione di approfondite procedure di pulizia e disinfezione e la compilazione di dettagliati inventari. In caso si fosse trovato qualche animale infetto, era obbligatorio segnalarlo immediatamente all’AGM, e tenere chiusa la rivendita per un periodo minimo di cinque giorni dopo la disinfezione. La riapertura sarebbe stata consentita solo dopo un’ispezione dello stesso AGM. Come sia andata ancora non si sa, ma quanto accaduto esprime la gravità della crisi dell’aviaria negli Stati Uniti, dove a fine gennaio si stimava che fossero stati infettati 24 milioni di uccelli in 85 allevamenti. Parallelamente, è cresciuta molto la diffusione del contagio tra i bovini, con novità preoccupanti.
Il secondo ceppo tra i bovini
La notizia che ha fatto alzare la guardia è arrivata pochi giorni fa: in Nevada, un secondo ceppo di aviaria, chiamato D1.1, ha colpito i bovini da latte. Finora, infatti, tutti i 957 focolai scoperti tra i ruminanti e tutte le 70 persone infettate erano stati contagiati da un altro ceppo, chiamato B3.13. L’arrivo di D1.1 è una pessima novità, perché questo ceppo è già molto diffuso tra il pollame, ed è anche all’origine del primo caso di malattia grave nell’uomo, segnalato in Louisiana in dicembre.

Il salto di specie dai polli ai bovini sembra indicare che quest’ultima variante del virus H5N1 si stia adattando ai mammiferi, e stia prendendo piede insieme alla B3.13. Lo scenario è dunque in peggioramento, e ciò può spiegare sia le misure adottate a New York sia il fatto che il Governatore della California Gavin Newsom abbia dichiarato lo stato di emergenza. La buona notizia è che D1.1 è stato scoperto grazie ai test sul latte, resi obbligatori nello scorso mese di dicembre. Inoltre, in questi giorni è stato pubblicato uno studio che indica una soluzione che potrebbe aiutare a contenere il contagio.
Il potere del pH acido
Uno dei grandi problemi della diffusione dell’aviaria è il fatto che il virus, probabilmente, si è diffuso (e continua a farlo) da un allevamento all’altro viaggiando sui mezzi di trasporto, passando attraverso i macchinari e approfittando dei sottoprodotti, di solito non sottoposti a misure particolarmente stringenti. Tra questi ultimi, il principale è senza dubbio il latte di scarto, che non si vende perché, per esempio, è prodotto da animali malati e quindi trattati con farmaci, e che di solito gli allevatori eliminano insieme al colostro.
Questo latte, finora poco considerato, in realtà può diventare un formidabile veicolo per la diffusione del virus dell’aviaria eventualmente presente, perché viene pastorizzato in meno della metà degli allevamenti, essendo la pastorizzazione un procedimento costoso. Per ovviare a questo limite, i ricercatori dell’Università della California di Davis propongono un metodo economico, alla portata di qualunque allevamento, da quello familiare a quello industriale, e rapido: l’acidificazione.
Influenza aviaria e pH
Come illustrato sul Journal of Dairy Science, abbassare il pH del latte di scarto fino a un valore compreso tra 4 e 4,4 significa eliminare il virus dell’aviaria, senza bisogno del calore necessario per la pastorizzazione. Inoltre, l’acidificazione può essere fatta con una sostanza estremamente economica e facile da reperire: l’acido citrico. In sole sei ore, questo composto disattiva i virus dell’aviaria, rendendo il latte di scarto totalmente sicuro. Gli autori stanno compilando un documento con linee guida specifiche per la procedura (i cui dettagli sono già presenti nel lavoro pubblicato), con la speranza di diffonderle quanto prima e convincere così gli allevatori ad agire almeno su questo fronte.
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Giornalista scientifica