Maiali in un allevamento intensivo; concept: peste suina

A fine 2024 il 60% della popolazione di Berkeley (California) ha approvato la cosiddetta “Misura DD”, un provvedimento che vieta sia la costruzione sia il mantenimento di allevamenti intensivi. Con la Ballot Measure DD, Berkeley è diventata la prima città statunitense a mettere al bando i Concentrated Animal Feeding Operations (CAFO), decisione che ha un forte valore simbolico. Sebbene nella cittadina californiana non sia operativo alcun CAFO e, nel giugno 2024, dopo più di 80 anni di attività, sia stato chiuso anche un ippodromo che ospitava circa 1.400 cavalli accusato di maltrattamenti nei confronti degli animali, la situazione nel resto degli USA è molto diversa.

Su tutto il territorio statunitense sono distribuiti 450.000 allevamenti intensivi; nel 2019, nel solo Missouri, sono stati contati 502 CAFO e 90.294 abitanti dello Stato vivono nel raggio di 5 km da una di queste strutture. Questi numeri sono spiegati se si pensa che in media il 90% della carne e delle uova prodotte negli Stati Uniti viene da allevamenti intensivi.

Il caso Tyson Food

Come oramai è noto, l’impatto degli allevamenti intensivi sull’ambiente è estremamente negativo, ma all’interno di questo scenario comune, esistono realtà che attentano in maniera ancora più spietata all’ecosistema. È questo il caso della Tyson Foods, multinazionale statunitense seconda produttrice al mondo di carne di pollo, manzo e maiale, che negli USA conta 123 impianti di lavorazione causa di un forte inquinamento idrico.

Le strutture di trasformazione animale possono generare milioni di litri di acque reflue al giorno, utilizzate per lavare gli animali, pulire la carne, sanificare le attrezzature e l’ambiente. Queste acque sono una miscela complessa al cui interno possono esserci: nutrienti come l’azoto e il fosforo, resti animali tra cui sangue e feci, patogeni e microrganismi. Come si legge nello studio condotto da Union of Concerned Scientists (UCS), tra il 2018 e il 2022 la Tyson ha generato oltre 87 miliardi di galloni di acque reflue, una quantità che potrebbe riempire oltre 177.000 piscine olimpioniche. Secondo l’analisi di UCS, dagli impianti di trasformazione della Tyson sono stati scaricati 371,72 milioni di libbre (una libbra equivale a 453,6 grammi) di inquinanti nei corsi d’acqua degli USA, con oltre la metà del carico di inquinanti concentrati in soli tre Stati: Nebraska, Illinois e Missouri.

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Gli allevamenti intensivi sono la causa del 75% di tutte le emissioni di ammoniaca in Italia e la seconda fonte di polveri sottili

Multe irrisorie

A causa delle violazioni del Clean Water Act – la legge federale statunitense che regola l’inquinamento delle acque – la Tyson Food è stata sottoposta a controlli e a sanzioni in diverse occasioni, misure che però non colpiscono la multinazionale. Sebbene solo tra il 2018 e il 2021 l’azienda abbia ricevuto multe per un totale di oltre 5 milioni di dollari, la potenza economica della Tyson è talmente grande da non essere minimamente scalfita. Il fatturato del 2024 è stato infatti pari a 53 miliardi di dollari, una quantità di ricchezza che consente di continuare a inquinare senza che le ammende rappresentino un vero ostacolo.

La situazione in Italia

Spostiamoci ora ad altre latitudini. Nel 2021 in Unione Europea sono stati allevati 76 milioni di bovini, 142 milioni di suini, 60 milioni di ovini, 11 milioni di caprini e miliardi di capi di pollame, la maggior parte dei quali cresciuto in allevamenti intensivi. Focalizzandoci sull’Italia, è il Nord il territorio che ospita la maggior parte degli impianti di allevamento e trasformazione e, di conseguenza, nel Nord Italia si registrano livelli particolarmente alti d’inquinamento ambientale.

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) dichiara che gli allevamenti intensivi sono la causa del 75% di tutte le emissioni di ammoniaca in Italia e la seconda fonte nel Paese di polveri sottili. Questo pulviscolo molto fine sospeso in aria provoca ogni anno circa 50.000 morti premature in particolare in Pianura Padana. La Pianura Padana detiene, infatti, il triste primato di regione con l’aria più inquinata d’Europa, una situazione comune ad altre zone d’Italia dato che le prime province europee per concentrazione di PM 2,5 sono tutte italiane, con una criticità particolare in Lombardia.

In uno studio pubblicato su ScienceDirect, si quantifica l’influenza dell’allevamento di bovini e suini nell’inquinamento atmosferico in Lombardia. Gli allevamenti sono responsabili di grandi rilasci di ammoniaca, sostanza che a contatto con altri composti contribuisce a gran parte della composizione inorganica di PM 2,5. L’analisi qui citata suggerisce che gli allevamenti di bovini e suini potrebbero essere responsabili fino al 25% dell’esposizione dell’inquinamento locale. In particolare, i risultati indicano che un aumento di 1000 unità di bestiame corrisponde a un aumento giornaliero delle concentrazioni di ammoniaca e particolato in Lombardia, quantificato in 0,26 e 0,29 microgrammi per μg/m3 per i bovini (circa il 2% e l’1% delle rispettive medie giornaliere) e in 0,01 e 0,04 μg/m3 per i suini.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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